Il 12 maggio 1941, radio Monaco diffondeva uno strano comunicato ufficiale del partito nazista: «il partito nazionalsocialista rende noto che il membro del partito Rudolf Hess, sofferente da anni di una malattia nervosa progressivamente aggravatasi, nonostante gli fosse stato dal Fuhrer severamente proibito volare, sabato 10 maggio scorso è decollato da Augusta, senza fare ritorno. Una lettera da lui lasciata dimostra purtroppo la presenza di disturbi mentali a carattere allucinatorio. Si presume che il camerata Hess sia stato vittima di un incidente durante il volo».
La stranezza era già nella notizia: non si sapeva che fine avesse fatto non un qualsiasi “membro del partito”, ma uno dei massimi dirigenti nazisti, lo “Stellverteter”, il rappresentante permanente, del Fuhrer, il numero 2 designato nella eventuale successione, dopo Goering. Del quale, di punto in bianco, i tedeschi apprendevano non solo la sparizione, ma che fosse, e da tempo, mezzo matto.
Il giorno dopo, 13 maggio, l’organo ufficiale del partito, il Völkischer Beobachter , riportava in prima pagina lo stesso comunicato evidenziando però in grassetto l’ultima frase: che non si sapeva dove fosse finito Hess.
Come dire: non credete a quel che già dall’11 sera aveva annunciato la radio inglese. Ossia, che Hess era vivo, ed era atterrato in Scozia. Ma perché Hess era andato in Scozia? E soprattutto: era davvero ammattito, come hanno sostenuto poi, in singolare accordo, tedeschi e inglesi?
Va detto subito: Hess è e resterà (chissà fino a quando) uno dei grandi enigmi del XX secolo. Per cui, non vi aspettate una risposta. Qui, ci si limiterà a spiegare perché è un enigma. Perché sia la versione inglese che quella tedesca sono state (e restano) da un lato poco convincenti. Dall’altro, però, tutto sommato, plausibili. E sennò non sarebbe un mistero.
Innanzi tutto: di certo Hess non era matto nel senso patologico del termine. Lo prova il suo stesso volo, lucidissimamente progettato e attuato. Parte alla 18 sera dall’estremo Sud della Germania (Augusta è nelle vicinanze di Monaco), e, pur essendo abbastanza esperto di aerei, compie un’impresa per quei tempi straordinaria: vola per 2.000 chilometri, di notte, da solo, senza radar, e, arrivato sui cieli inglesi, si dà pure a spericolate e abili manovre per evitare la caccia inglese. In più non è andato a casaccio: elabora un piano volo, calcola il tempo (metereologico) , orari; e, infine, atterra dove voleva atterrare: nei pressi della tenuta del duca Douglas Hamilton, da lui conosciuto durante le Olimpiadi di Berlino. Per fare cosa?
Almeno questo, è acclarato: andare a proporre al governo inglese , tramite il duca di Hamilton, un’offerta che, secondo Hess, Churchill “non poteva rifiutare”: se la Gran Bretagna avesse concluso una pace separata con la Germania, avrebbe avuto garantita la conservazione dell’impero, si sarebbe salvata dalla distruzione cui, secondo Hess, sarebbe sicuramente andata incontro se avesse continuato a combattere contro il Reich. Ma soprattutto: avrebbe consentito a Hitler di concentrare tutte le sue forze per l’imminente attacco a quello che Hess riteneva fosse un nemico comune a inglesi e nazisti: l’URSS.
Secondo Hess, dunque, la Gran Bretagna del ferocissimo anticomunista Churchill avrebbe avuto tutto da guadagnarci da una proposta simile. C’era però da accettare, per gli inglesi, il dominio tedesco sul continente; ma, visto che la Germania si impegnava a fare la guerra da sola contro il bolscevismo, tutto sommato, per Hess, era una proposta più che accettabile da parte inglese.
Le cose, però, andarono in modo molto differente da come Hess se l’era immaginate: per qualche giorno, fu ascoltato da funzionari (almeno, secondo la versione ufficiale inglese) di second’ordine (che comunque riferirono a Londra, Churchill incluso). Poi, previo consulto medico, fu deciso che non era il caso di starlo a sentire. E per 46 anni rimase prigioniero: prima degli inglesi, poi, processato a Norimberga, detenuto a Spandau, dove è morto nel 1987, ultimo rimasto dei condannati di Norimberga. Verosimilmente suicida: ma questo è ancora un’altro mistero legato a Hess, di cui magari se ne riparlerà il 16 agosto, data della sua morte.
Ecco dunque il primo mistero mai chiarito: Hess andò di sua iniziativa in Scozia o fu una missione concordata segretamente con Hitler, tipo “se ti va male, è stata solo idea tua; se ti va bene, diventi un eroe”? Più la seconda che la prima. Forse.
Vediamo prima gli elementi a favore dell’ipotesi “accordo segreto” con Hitler.
1) La stranezza della versione ufficiale nazista.
Il 14 maggio, il Völkischer Beobachter pubblicava un secondo articolo sulla vicenda, significativamente intitolato “Chiarimento sul caso Hess”. Era però anche l’ultimo; come dire: questa è la versione ufficiale, e che non se ne parli più.
Non potendo più né smentire né tacere dove Hess fosse finito e soprattutto perché, si ammetteva che era atterrato in Scozia, in un luogo da lui scelto, per compiere un «passo personale» verso «una personalità inglese da lui conosciuta in precedenza», al fine di «trovare un accordo tra Germania e Inghilterra; ma il resto della ricostruzione pubblicata dall’organo ufficiale nazista (che è lo stesso che dire “la versione di Hitler”, ovviamente), va seguita con attenzione tante e tali sono le cose che in essa non quadrano.
La più eclatante: Hess, oltre a essere il “numero 2” del partito era, almeno formalmente, ufficiale della Luftwaffe. Un soldato, insomma. E, per qualsiasi nazione in guerra, in tutti i tempi, un soldato che volontariamente si consegna al nemico (ciò che, indiscutibilmente ma apparentemente, aveva fatto Hess) è un traditore. Eppure, in tutto l’articolo Hess non viene mai presentato come tale.
Infatti: da un lato, si insisteva di nuovo, e con dovizia di particolari sulla salute (mentale e non) di Hess, che «da anni sofferente, si era sottoposto alle cure più diverse, ricorrendo anche al magnetismo e all’astrologia». Precisando che ciò «era noto da anni nel partito». Una stranissima precisazione. In piena guerra, si informava i tedeschi che, da anni, il partito (cioè Hitler) sapeva che ai suoi vertici c’era un mezzo matto e non aveva fatto niente? Non quadra: il partito (cioè Hitler) che si screditava da solo? Più logico (e conveniente) affermare che nessuno ne sapeva niente. O non aggiungere affatto tale precisazione. La quale però assumeva un senso se collegata con le affermazioni seguenti, non meno strane.
In sostanza, si diceva che Hess, forse anche con “l’aiuto” degli astrologi cui si rivolgeva assiduamente, aveva trasformato in sue allucinazioni, in sue fissazioni «le numerose, sincere ed oneste proposte di pace provenienti dal profondo del cuore del Fuhrer». Proposte che Hess «conosceva meglio di chiunque altro». Insomma: altro che traditore; Hess, col suo gesto, non aveva frainteso i desideri di Hitler , li aveva “solo” messi in atto in maniera distorta; ma soprattutto, ancora si ribadiva che sapeva e capiva meglio e più di tutti ciò che Hitler voleva e pensava. Come dire (ma senza dirlo): qualunque cosa abbia detto agli inglesi, viene dal Fuhrer.
Subito dopo, il passaggio cruciale, il più strano e sconcertante di tutto l’articolo: «Probabilmente, Hess è giunto alla convinzione che, attraverso il suo personale sacrificio, sarebbe riuscito a evitare ciò che l’attuale andamento (della guerra, n. d.r) si concluda con l’inevitabile e imminente distruzione dell’Impero britannico». Seguiva un’argomentazione ambigua e contorta: «Hess, i suoi compiti e poteri, com’è noto, erano strettamente limitati all’ambito del partito, non aveva dunque chiaro a se stesso, come del resto dimostrato dalle sue annotazioni, la messa in atto e il seguito del suo gesto».
Non meno stranamente, e persino incredibilmente, l’articolo così proseguiva : «il partito nazionalsocialista deplora (ma il termine usato, “bedauert” significa anche “essere rattristato”) che questo idealista sia caduto vittima (ma anche qui il termine usato “Opfer” significa anche “sacrificio”) di una così tragica, funesta illusione (di nuovo: il termine usato “Wahnvorstellung” vuol dire anche “delirio”)».
Per poi terminare con un avvertimento minaccioso agli inglesi, ma pressoché del tutto slegato dal resto dell’articolo: quanto accaduto non cambiava nulla nel fatto che «il popolo tedesco dovesse continuare la guerra cui era costretto». Guerra che sarebbe proseguita fino a che «la prepotenza inglese fosse stata rovesciata in una reciproca e pacifica relazione».
Dunque, premesso ancora che, formalmente, il gesto di Hess si presentava quello di un traditore e disertore, e che deve darsi per scontato che la versione sostenuta vada considerata come personale di Hitler:
a) incredibilmente però lo si esalta quasi esplicitamente, definendo il suo gesto, ripetutamente e giocando abilmente con le parole, un “sacrificio”; addirittura, Hess è definito un “idealista”;
b) stranamente, si evidenzia che Hess, con tale “sacrificio” si preoccupasse più di cosa potesse accadere al nemico, che alla sua patria; ciò che avrebbe dovuto ulteriormente confermare, e far dire, che si stava parlando di un traditore; ma anche, al contrario, ciò che (negli intenti di Hitler) doveva essere letto dagli inglesi come una implicita conferma pubblica dei contenuti delle proposte di Hess (come dire: statelo a sentire, che vi conviene);
c) si evidenzia che Hess non aveva alcun ruolo al di fuori del partito; cioè, sottinteso, né diplomatico né strategico-militare; una precisazione apparentemente inutile: e allora, perché farla? Forse perché bisognava da un lato tranquillizzare la diplomazia “ufficiale” (Ribbentrop) che non era stata scavalcata; ma dall’altro, sottolineando che Hess era quello che meglio e più di ogni altro era vicino a Hitler, far capire che comunque stava agendo in suo nome?
d) di nuovo, si accennava a annotazioni di Hess come riprova della sua “confusione mentale”. Di nuovo, però senza citarle, né in tutto e in parte. Quando sarebbe stata invece l’unica inequivoca dimostrazione della versione ufficiale: gesto personale di una mente confusa.
E allora, la spiegazione più plausibile di questa serie di ambiguità, e di vere e proprie contraddizioni, pare essere una sola: da un lato, si era data la versione concordata tra il Fuhrer e Hess nel caso la missione fosse fallita; dall’altro, per non far apparire Hess esattamente ciò che non poteva non apparire, ossia un traditore, lo si faceva passare per matto; matto e lucido al tempo stesso, però: visto che ciò che era andato a proporre agli inglesi, non erano sue fantasie, anzi; Hitler (per bocca del Völkischer Beobachter) aveva tenuto a far sapere che erano idee sue, proposte sue. Perché? Non può escludersi che l’articolo del Völkischer Beobachter fosse stato anche un ultimo sottile tentativo, da parte di Hitler, per cercare di convincere gli inglesi che Hess non parlava per conto suo. Oltre che un vero e proprio omaggio a Hess davanti al tutto il popolo tedesco, cui Hitler teneva a far sapere che per lui Hess restava un “idealista”, sacrificatosi per la patria. Una sorta di pubblico ringraziamento.
Ma perché Hess avrebbe dovuto accettare una missione non solo rischiosa per la sua vita, non solo rischiosa per il suo onore di soldato, ma anche di scarse probabilità di riuscita? Paradossalmente, questo è un ulteriore elemento a favore dell’ipotesi di “accordo segreto”.
2) I rapporti tra Hitler e Hess. Non c’è dubbio alcuno che Hess nutrisse verso Hitler quella ammirazione fanatica, quasi idolatra, che però non fu solo sua: anche Goering, anche il ministro degli armamenti Speer, anche Goebbels, anche Doenitz, il Grande Ammiraglio e suo successore, ebbero verso Hitler una sorta di obbedienza reverente fino all’ultimo. E si sta parlando non di sempliciotti di campagna, ma di gente che si era laureata nelle migliori università tedesche (cioè d’Europa: Goebbels, Speer), di assi dell’aviazione (Goering, comandante nel 1918 della squadriglia del mitico “Barone Rosso”, dopo la sua morte), di alti ufficiali usciti dall’Accademia (Doenitz). Fu proprio quest’ultimo a dire, intervistato da Enzo Biagi: «davanti a Hitler mi sentivo una salsiccia insignificante». A maggior ragione, più o meno così doveva sentirsi Hess. Che non era certo più ignorante di un Goebbels, visto che si era laureato in Lettere, diventando pure, dopo la prima guerra mondiale, assistente universitario; né meno eroe di guerra di Goering, visto che era stato ferito due volte, decorato con la croce di guerra e poi non meno abile pilota negli ultimi mesi di guerra, nel 1918.
Ma, a differenza di questi (e tanti altri) capi militari e politici della Germania nazista, in Hess la soggezione, l’ammirazione per Hitler , si trasformò in fedeltà quasi canina. Come Goering, aderì prestissimo al partito nazista; ma, a differenza di Goering, quando Hitler tentò il “putsch della birreria”, nel novembre 1924, Hess addirittura, pur non essendo nemmeno ricercato, si costituì pur di seguire in carcere il suo venerato-amato capo (Goering invece pensò bene di scappare in Svezia).
Esempio quanto mai eloquente della assoluta fedeltà di Hess: durante la comune detenzione ebbe il coraggio (davvero senza pari) di sciropparsi l’intera dettatura del noiosissimo, verbosissimo Mein Kampf. Da allora in poi, Hess fu forse il più devoto (altro termine non può usarsi) tra i più prossimi a Hitler nel partito. Lo si può vedere nel celebre film “Il trionfo della volontà” (piaccia o no, uno dei vertici della cinematografia mondiale) urlare, dal podio del congresso del partito del 1934, con una partecipazione davvero da invasato “Die Partei ist Hitler und Hitler ist die Partei !!!” (“il partito è Hitler e Hitler è il partito”). E Hitler, di cui non c’è dubbio che apprezzava e praticava in sommo grado la lealtà (purché coincidesse in toto con i suoi disegni: per questo voleva bene a Speer. Erano tutti e due architetti megalomani, amanti del gigantismo kitsch), lo ripagò nominandolo, come detto, “numero 2” nel partito, suo “Stellvertreter”.
Perciò, solo Hess poteva accettare un incarico segreto con quelle modalità: innanzi tutto rischiosissima, visto che Hess poteva finire abbattuto o precipitare in mare; in secondo luogo, obbligato al tacito patto per cui se fosse andata bene, avrebbe ricevuto onori e gloria e Hitler avrebbe riconosciuto la paternità della missione; se fosse andata male, Hitler avrebbe detto di non saperne niente, abbandonando Hess al suo destino.
E perciò, tra l’altro, solo Hess, tra i capi nazisti, con la sua fedele devozione, poteva comportarsi come poi s’è comportato fino alla morte: è chiaro che se accordo ci fu, implicava che, in caso di esito negativo, Hess dovesse mantenere il segreto per sempre, comunque andasse la guerra. Cosa che Hess ha fatto per 46 anni.
Oltretutto, Hess aveva un ulteriore motivo per accettare: proprio gli “onori e gloria”. Essendo (a suo modo) un “idealista”, non riusciva a stare dietro alla guerra, ferocissima e senza esclusione di colpi, che, fin da prima dell’ascesa al potere, e fino alla fine, si combatté tra i capi nazisti. Un vero e proprio “tutti contro tutti” alle spalle di Hitler: Bormann, Goebbels, Rosemberg, Himmler. E perciò il posto di Hess di “Stellvertreter” era quanto mai ambito. E lui sapeva bene che tutti gli altri miravano a fargli le scarpe e approfittavano di ogni occasione per sussurrare (più o meno metaforicamente) all’orecchio di Hitler che s’era scelto un “numero 2” mezzo scemo. Dunque, un altro elemento a favore dell’ipotesi “accordo con Hitler”: se fosse riuscito, l’avrebbe avuta finalmente vinta su tutti.
Non pare infine inutile ricordare che, se davvero Hess fosse andato di sua iniziativa in Inghilterra, non poteva non passare per disertore e traditore. Ed è ben noto come trattasse Hitler chi da lui fosse anche solo sospettato di tradimento: basti solo ricordare la fine di Roehm e della SA nella “notte dei lunghi coltelli” del 1934; o Rommel costretto al suicidio nel 1944.
Infine, depongono a favore dell’ipotesi della missione segreta per conto di Hitler,
3) Un paio di strane (e inspiegabili) coincidenze. La prima: lo stesso giorno dell’arrivo di Hess in Scozia, su Londra si era scatenata la più terribile offensiva aerea di tutta la guerra. Opportunamente rimarcata dal Völkischer Bobachter con un titolone a tutta pagina: «OLTRE CENTOMILA BOMBE TEDESCHE SU LONDRA». (occhiello e sottotitolo: «che sia chiaro: per ogni bomba inglese, cento tedesche» e «nuovo durissimo attacco di rappresaglia della Luftwaffe»). E, come detto, tra le “argomentazioni” di Hess vi era proprio questa: se l’Inghilterra avesse continuato la guerra, sarebbe andata incontro a distruzioni senza fine. E citò proprio ad esempio l’incursione sul Londra.
Ma se questa incursione era avvenuta l’11, quando era già prigioniero, come faceva a sapere che era stata tanto devastante, rispetto alle tante che da un anno si abbattevano su Londra, da poterla portare a esempio convincente per gli inglesi?
Seconda (strana) coincidenza, cui si è già accennato: lo stesso Völkischer Beobachter, come s’è visto, aveva parlato di una lettera lasciata da Hess a Hitler prima di partire. Perché non fu pubblicata come prova della pazzia di Hess, e dunque del fatto che aveva agito da solo? Cosa ancor più strana: dopo il 1945, praticamente tutti i documenti tedeschi (diplomatici, militari, di partito, ecc. ) sono caduti in mano alleata. Per fare un esempio: lo storico Shirer racconta di 485 tonnellate di documenti trovati dagli americani nel ’45 nascosti in una miniera. Cioè, all’incirca 400 milioni di fogli. Eppure, anche dopo il ’45, di questa lettera di Hess mai nessuno ne ha visto il contenuto. Tranne Hitler s’intende. Che però non ne ha mai parlato con nessuno. E sì che Hitler era un chiacchierone tale da far addormentare, letteralmente, sul divano i suoi generali (come racconta Ciano). Probabilmente, dunque, nella sua ingenua devozione, Hess aveva fatto un errore, mettendo nella lettera che doveva servire a dimostrare pubblicamente la versione ufficiale, qualcosa che invece faceva capire dell’accordo tra i due. Facendola diventare da prova da esibire, prova distruggere.
Nella seconda parte, tra un paio di giorni, si parlerà dell’altro lato del “mistero di Rudolf Hess”, quello forse più inquietante: davvero Churchill e il governo inglese non presero neanche per un momento in considerazione le proposte di Hess? Davvero Hess parlò solo con funzionari di second’ordine? Davvero né Churchill né il suo ministro degli esteri Eden non hanno mai incontrato Hess? E perché, invece, Stalin non credette mai fino in fondo alla versione inglese?