Gli ultimi momenti di vita di Salvador Allende e dei suoi fedelissimi, nel Palazzo della Moneda sottoposto ai bombardamenti di Pinochet.

L’11 Settembre è certamente una data che ha profondamente segnato la storia e la memoria collettiva, ma non soltanto per quanto riguarda i fatti del 2001. Prima ancora, infatti, vi fu la dolorosa esperienza del Cile, che proprio l’11 Settembre 1973 vide il proprio percorso verso il Socialismo, deciso democraticamente dal suo popolo, infranto dall’azione di un pugno di militari reazionari ed asserviti a poteri stranieri, capeggiati dal Generale Augusto Pinochet Ugarte.

Su spinta della CIA e dell’Amministrazione Nixon, fortemente guidata da Kissinger, proprio quel giorno Pinochet bombardava il Palazzo della Moneda a Santiago del Cile. Allende, asseragliato dentro il Palazzo, tenne un discorso commovente alla propria Nazione, e quindi decise di difendersi indossando un elmetto ed imbracciando il mitra che solo poco tempo prima gli era stato donato da Fidel Castro. Proprio intorno a quel mitra, negli anni seguenti, sono sorte varie ricostruzioni sulla morte del Presidente: secondo alcuni, Allende l’avrebbe usato per togliersi la vita, onde evitare di cadere vivo nelle mani dei suoi nemici e traditori. Si sarebbe dunque sparato alla bocca, e la potenza dei colpi furono tali da fargli saltare la scatola cranica. Secondo altri storici, invece, fu freddato dai soldati di Pinochet.

In ogni caso, per infamare la sua memoria, i militari cileni foderarono il suo studio di riviste pornografiche, allo scopo di farlo passare per un pervertito. Quegli stessi militari avevano talmente paura della sua figura, anche da morto, da impedire a chiunque di visitare la sua tomba: si ricordino a tal proposito le memorie di Craxi, che potrete trovare in questo articolo già precedentemente da noi pubblicato.

Giova ricordare come gli anni di quella feroce dittatura siano stati di totale rimozione e mistificazione della storia: oggi, infatti, più della metà dei cileni ignora cosa sia avvenuto in quel 21 Settembre 1973. A scuola, in proposito, s’insegna poco o nulla e la popolazione cilena, composta da molti giovani, è quindi cresciuta nella totale assenza della memoria.

Quanto a noi europei, si grida alla Birmania o Myanmar, dove vige un regime in cui i militari hanno mantenuto il ruolo di supervisori dello Stato, come del resto si faceva lo stesso nel caso della Turchia del passato, figlia della Costituzione di Ataturk, ma anche il Cile di oggi è così: un paese dove i militari, forgiati nella scuola di Pinochet, condizionano pesantemente la “democrazia” cilena, con diritto d’intervento in qualsiasi questione che possa toccare i loro interessi. Quei militari, ovviamente, non rispondono alla loro Patria, ma a quelli di altri, e sappiamo benissimo chi.

Giova pure ricordare come il regime di Pinochet abbia offerto il Cile quale laboratorio per sperimentare le teorie neoliberiste di Milton Friedman, ovvero della Scuola di Chicago, poi applicate anche da Reagan e dalla Thatcher, dei quali era in ogni caso un diretto subalterno, come dimostrato anche dalla Guerra delle Malvine. In quel caso Pinochet tradì persino un regime “amico”, quello della Junta di Buenos Aires, con cui pure aveva dato vita al famigerato Piano Condor (l’internazionale del crimine, il sistema che permetteva ai vari regimi dittatoriali sudamericani di cooperare fra loro nella cattura dei dissidenti e dei fuggitivi, e valido anche nel territorio degli Stati Uniti), per fornire aiuto strategico e militare agli inglesi. Non dobbiamo stupircene: questa gente è fatta così, sempre la prima a parlare di lealtà, fedeltà ed onore, ma al tempo stesso anche la prima a pugnalare gli “amici” alle spalle.

Sotto Pinochet è stato imposto un sistema ultraliberista che nessuno, dopo il suo pensionamento avvenuto in seguito al referendum del 1988, ha mai potuto mettere minimamente in discussione: a cominciare dai socialisti cileni odierni, Bachelet in primis, che nulla hanno a che vedere con Allende e coi socialisti del passato, come del resto dimostrato anche dal loro atteggiamento di aperto boicottaggio nei confronti dei paesi e dei governi progressisti dell’America Latina.

Da questo punto di vista, persino dei “primi della classe” in fatto di politiche neocolonialiste, antipopolari ed antiprogressiste come i colombiani Uribe e Santos potrebbero manifestare delle invidie verso questi “socialisti del Terzo Millennio”, addirittura più abili e subdoli di loro nel contrastare qualsiasi reale idea d’emancipazione dell’America Latina dalle sue storiche catene.