12 dicembre, ore 16.37: è la strage di Piazza Fontana. Con questo luttuoso episodio, costato la vita a 17 persone, si conclude simbolicamente il ‘68 italiano ed inizia la dolorosa pagina degli Anni di Piombo, che andrà ben oltre gli Anni ‘70. Indro Montanelli, nella sua “La Storia d’Italia”, l’avrebbe definita “la madre di tutte le stragi”, ribadendo poi il concetto nel suo celebre “L’Italia degli Anni di Piombo” pubblicato da Rizzoli nel 1991.

Molte indagini si sono susseguite per capire chi fossero stati i mandanti e gli esecutori di quell’attentato, ma sempre senza successo. Vennero di volta in volta accusati gli anarchici oppure i neofascisti, ma sempre senza raggiungere un adeguato numero di prove o incastrare davvero qualcuno: alcuni di loro vennero assolti in sede giudiziaria, pur venendo condannati per altre stragi, altri, invece, usufruirono molto più semplicemente della prescrizione.

Sebbene si ricordi oggi soprattutto l’attentato dinamitardo di Piazza Fontana, che provocò a Milano la morte di 17 persone ed il ferimento di altre 88 presso la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, è comunque doveroso ricordare come anche altre bombe siano scoppiate in contemporanea anche a Roma, una alla Banca Nazionale del Lavoro in Via San Basilio, col tragico bilancio di 16 morti, e altre due presso l’Altare della Patria.

L’allora Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, venne così avvisato dal Prefetto di Milano Libero Mazza, su segnalazione dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale: “L’ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi”. Quella stessa sera Indro Montanelli, intervistato da Tv7, dubitò però che fossero gli anarchici i veri responsabili della strage, e vent’anni dopo ribadì il concetto affermando: “Io ho escluso immediatamente la responsabilità degli anarchici per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L’anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell’infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa…”. La dichiarazione è contenuta anche in “La notte della Repubblica” di Sergio Zavoli. Certamente non era un attentato anarchico come quello di Bresci che nel luglio del 1900 aveva ucciso Re Umberto I assumendosi pienamente la responsabilità di tale gesto ed era proprio e soprattutto a quell’esempio che Montanelli guardava, prendendolo come termine di paragone.

Una cosa è certa: quel 12 dicembre, tra Milano e Roma, si contarono ben cinque diversi attentati terroristici, compresa la valigia bomba rinvenuta sempre nella capitale morale del paese presso la sede della Banca Commerciale Italiana e che venne fatta brillare dagli artificieri. Quando emerse la possibilità che la regia di tali attentati fosse di matrice neofascista, iniziò la teoria della cosiddetta “strategia della tensione”, un disegno razionale che l’estrema destra perseguiva per creare instabilità e paura nei cittadini e nelle istituzioni, propizia alla rinascita di uno Stato totalitario; ma, in concorrenza ad essa, si fece strada anche quella della “strage di Stato”, voluta da settori del mondo politico, a cominciare dai servizi segreti e da certe determinate consorterie economiche e criminali come la Mafia e la Massoneria, volta a creare un clima di panico che, anche in tal caso, avrebbe reso accettabile alla popolazione il ritorno ad un sistema di potere dittatoriale.

Quella torbida vicenda, com’è noto, diede il via a casi celebri, come quello dell’anarchico Pinelli, sulla cui morte ancora non s’è squarciato il velo del mistero, così come quello del Commissario Calabresi, fino ad arrivare all’ultimo episodio, quello di “Nino il Fascista”, ovvero di Antonio Sottosanti. Ma non mancò neppure il mistero del cosiddetto “Agente Z”, con un processo svoltosi a Catanzaro al quale fu chiamato a deporre anche Giulio Andreotti e che coinvolse il SID, gli allora servizi segreti italiani.

Una cosa è certa: a distanza di quasi cinquant’anni, la strage di Piazza Fontana è destinata a far discutere per molto altro tempo ancora.