
Italia – Inghilterra non è mai stata una partita come tutte le altre, soprattutto in Italia giocare contro i “Maestri” d’oltremanica, gli inventori della maggior parte degli sport praticati in età contemporanea, è sempre stato un avvenimento molto sentito dalla critica sportiva. L’Italia calcistica ha sempre nutrito una sorta di inferiority complex nei confronti degli inglesi, la cui cultura calcistica è sempre stata in netta antitesi con quella nostrana. In un paese come il nostro che è sempre stato caratterizzato da un’esterofilia viscerale e spesso ingiustificata giocare contro gli inglesi per decenni è equivalso ad una sorta di “andare a lezione di calcio” almeno fino a quel fatidico 14 novembre 1973, il giorno in cui la Nazionale italiana trionfò per la prima volta in Inghilterra violando il sacro tempio calcistico di Wembley.
I precedenti (1933-1961)
Per quarant’anni esatti l’Italia mai era riuscita a battere l’Inghilterra in un incontro ufficiale. Tutto incominciò il 13 maggio 1933 quando a Roma l’Italia di Pozzo non andò oltre l’uno a uno contro gli inglesi, per l’occasione allenati dal grande Herbert Chapman che proprio nella Capitale impostò i suoi per la prima volta con il famoso WM.
Un anno più tardi, da freschi campioni del mondo, gli azzurri andarono a sfidare gli inglesi a casa loro: gli spocchiosi Maestri però non concessero l’onore ai campioni del mondo di giocare nel tempio di Wembley (riservato solo alle selezioni britanniche) programmando il match a novembre nello stadio di Highbury, tana dell’Arsenal. Fu un’autentica battaglia che terminò con il punteggio di 3-2 per i britannici: in dieci uomini però gli azzurri impressionarono il pubblico londinese e avrebbero meritato il pari. Il regime mussoliniano glorificò l’incontro con il roboante titolo di “Battaglia di Highbury”, chi giocò quell’incontro come il giovanissimo Stanley Matthews parlò invece di una partita con scorrettezze pacchiane da entrambe le parti, una vera e propria vergogna calcistica.
Un altro 13 maggio, questa volta del 1939, furono gli inglesi a degnarsi di venire in Italia: a San Siro fu programmato un incontro tra i Maestri (ancora una volta autoesclusisi dai mondiali) e la selezione azzurra ancora una volta campione del mondo in carica. A Milano un tempo insolitamente piovoso e uggioso aiutò molto gli inglesi che costrinsero sul 2-2 l’Italia: il Sistema dei maestri ingabbiò completamente il centrocampo azzurro e solo un gol di mano di Piola regalò un soffertissimo pari ala selezione di Pozzo che dopo la partita fu travolta dalle polemiche. Il gioco inglese, svelto e sbrigativo, fatto di trame ampie e ritmi frenetici era tutt’altra cosa rispetto al gioco cinico e speculativo praticato da Meazza e soci.
Nove anni più tardi l’occasione sembrava quella buona: 16 maggio 1948, bisognava commemorare il cinquantenario della fondazione della FIGC e quale migliore occasione per festeggiare invitando i Maestri? La Nazionale azzurra selezionata dall’intramontabile CT Pozzo era considerata tra le più forti del Continente contando per 8/11 circa sui giocatori del Grande Torino. In campo accadde l’imponderabile: l’Italia dominò la partita, fece registrare percentuali di possesso palla in stile Guardiola ma gli inglesi vinsero quattro a zero tirando per quattro volte nello specchio della porta azzurra. La chiave di quel successo fu soprattutto tattica: l’ala destra Matthews giocava arretrata per innescare gli inserimenti della finta mezzala destra (in realtà una punta a tutti gli effetti) Mortensen che realizzò il primo gol calciando direttamente da fondo campo.
Pozzo fu così giubilato dopo questa inaspettata disfatta e l’anno dopo, qualche mese dopo Superga, gli azzurri tornarono a Londra, questa volta nel stadio del Tottenham a White Hart Lane. Gli azzurri giocarono meglio ma tornarono a casa con due pappine sul groppone, in quella partita esordì in azzurro Rinaldo Martino, fuoriclasse argentino della Juventus che fu così il primo oriundo a vestire la maglia azzurra nel dopoguerra.
Altra occasione perduta nel maggio 1952: a Firenze l’Italia presentò come centravanti il trentanovenne Piola in una sorta di passerella per l’eroe di Francia 1938, finì 1-1 con Amadei che pareggiò l’iniziale vantaggio di Broadis. Altro pareggio il 6 maggio 1959, questa volta però la cornice era più prestigiosa: agli azzurri fu infatti concesso per la prima volta l’onore di giocare nel tempio di Wembley. Nonostante una clamorosa gaffe iniziale (la banda suonò la Marcia Reale: gli inglesi nel loro splendido isolamento probabilmente neanche sapevano che l’Italia era già una repubblica da più di dieci anni!) l’Italia rimontò l’iniziale 2-0 dei maestri con le reti di Brighenti e Mariani. Protagonista fu in particolare il primo che ingaggiò un duello emozionante con il monumentale centrale difensivo inglese Billy Wright (padre putativo di tutti i “Billy” del calcio italiano come Sandro Salvadore ed Alessandro Costacurta).
Due anni più tardi a Roma, Stadio Olimpico, l’ultima grande occasione sprecata: avanti 2-1 fino al 77’, gli azzurri si fecero prima raggiungere e poi superare dai gol di Hitchens e Greaves (attaccanti inglesi che poi giocheranno rispettivamente con Inter e Milan) grazie alle papere dell’esordiente Vavassori che da quel giorno non giocò mai più con la maglia della Nazionale!

Primo hurrà italiano (6 giugno 1973)
Nell’autunno 1973 gli inglesi stanno affrontando uno dei periodi più travagliati della loro storia calcistica: i fasti dei mondiali casalinghi vittoriosi del 1966 sono ormai un lontanissimo ricordo per il CT Alf Ramsey che dopo l’incredibile sconfitta rimediata ai quarti di finale dei mondiali di Messico (3-2 dopo essere stati avanti 2-0) contro i tedeschi aveva perso molte delle sue certezze costruite in sette anni di grandi risultati alla guida dei Three Lions.
La prima causa dell’improvviso declino delle casacche bianche fu l’addio alla Nazionale di Bobby Charlton, che non aveva gradito la sostituzione con Bell, decisiva secondo molti critici nella sconfitta contro la Germania. Ramsey si vede così privato del giocatore cardine del suo 4-4-2 che tante fortune gli ha portato. Inoltre il fenomeno del calcio totale sta per travolgere il rigido “calcia e corri” praticato dalla maggioranza delle squadre inglesi. Sono ancora i tedeschi nel 1972 a dare il secondo colpo di grazia ai Maestri imponendosi 3-1 a Wembley mostrando un calcio tecnico ma allo stesso tempo pragmatico distante anni luce dal kick and run di marca britannica.
Inserita in un gironcino a tre squadre assieme a Galles e Polonia, l’Inghilterra pensa subito alla qualificazione ai mondiali tedeschi come a una classica formalità. Invece i campioni inglesi faticano addirittura contro i vicini gallesi vincendo con uno striminzito 1-0 a Cardiff e poi pareggiando 1-1 a Wembley. I polacchi però riescono addirittura a perdere in Galles quindi il match di Varsavia in programma il 6 giugno 1973 è accolto con un certo ottimismo. Invece in Polonia il declinante capitano Bobby Moore commette due ingenuità da principiante e i polacchi s’impongono 2-0.
Con il morale sotto i tacchi gli inglesi si presentano il 14 giugno a Torino ad affrontare l’Italia di Riva, Mazzola, Rivera e Zoff. Gli azzurri sono in un momento d’oro: imbattuti da oltre un anno, con il leggendario portiere friulano che non subisce reti da oltre 567 minuti! In campo gli inglesi, in un’insolita maglia gialla, non vedono palla e vengono battuti ancora una volta 2-0, di Anastasi e Capello le reti decisive, il tabù inglese viene così sfatato per la prima volta!
Il “clown” manda gli inglesi a casa (16 ottobre 1973)
Il calvario per gli inglesi non finisce in quella giornata di giugno a Torino: il 16 ottobre a Wembley è in programma lo scontro decisivo contro la Polonia. I polacchi avevano già vinto (3-0) contro il Galles ma, nonostante la sconfitta all’andata, agli inglesi bastavincere 1-0 per staccare il biglietto per la Germania.
A Wembley succede veramente di tutto: trentasei tiri in porta, ventisette calci d’angolo a favore degli inglesi che attaccano a testa bassa per tutti i novanta minuti caricati dai centomila del temple londinese. I polacchi giocano novanta minuti nella loro area di rigore: il portiere Tomaszewski, definito “clown” alla vigilia del match da un certo Brian Clough, eccentrico tecnico del Derby County (nemico giurato di Ramsey), para anche le mosche. Gli inglesi colpiscono due volte i montanti, si vedono annullare un gol e respingere il pallone sulla linea di porta dai polacchi che, invece tirano una sola volta in porta bucando i guanti di Shilton.
Solo un rigore di Clarke evita una delle più incredibili beffe della storia del calcio: in una partita che solitamente sarebbe finita cinque o sei a zero finisce con un beffardo uno a uno che elimina per la prima volta i maestri dalla fase finale di un campionato del mondo!
Inghilterra – Italia, la rivincita (14 novembre 1973)
All’Inghilterra rimane così un’ultima prova d’orgoglio: battere l’Italia nella “rivincita” in programma sempre a Wembley il 14 novembre, trentanovesimo anniversario della “battaglia di Highbury”. Alla vigilia dell’incontro i tabloid inglesi montano a dismisura l’incontro definendo la selezione azzurra come una “squadra di camerieri” alludendo alla vicenda personale di Giorgio Chinaglia che poi analizzeremo.
Per l’occasione Ramsey decide di allestire una formazione super offensiva, sul modello di quella presentata a Torino e a Londra contro i polacchi: 4-3-3 purissimo (invece del canonico 4-4-2) con quattro dietro, un centrocampo a tre privo di incontristi e ben tre centravanti di peso. Per non farsi mancare nulla l’arrogante commissario tecnico inglese si porta in panchina altri due attaccanti (Wortinghton ed Hector) forse per dimostrare all’opinione pubblica che lui non è affatto un difensivista.

Ecco quindi l’undici scelto da Sir Alf, in porta troviamo Peter Shilton, ventiquattrenne del Leicester City, un tipo che a diciassette anni ha soffiato il posto in squadra nientepopodimeno che al campione del mondo Gordon Banks, che allora era considerato dopo Jašin il più forte portiere del mondo. Portiere agile e scattante e dai riflessi felini, Shilton è però ancora acerbo e incline a qualche improvviso black out, sicuramente non immaginerà che ventisette anni dopo sarà ancora in campo a Italia ’90 a quarant’un anni suonati nella finalina di consolazione di Bari contro l’Italia di Roby Baggio…
In difesa Ramsey schiera a destra Paul Madeley, ventinovenne terzino roccioso simbolo del Leeds United, il “Dirty Leeds” di Don Revie per taluni simbolo del gioco duro e scorretto praticato dalle squadre inglesi nei primi anni Settanta. Sulla fascia mancina troviamo Emlyn Hughes, versatile difensore in forza al Liverpool di cui diverrà bandiera e capitano, che assolve i medesimi compiti di Madeley cioè non solo difesa ma anche tanta spinta sulla corsia di pertinenza. Al centro accanto al roccioso stopper del Derby County, il venticinquenne Roy McFarland, Ramsey ripesca il vecchio leone Bobby Moore, colui che nel 1966 a Wembley ha sollevato al cielo la coppa del mondo. Moore nelle giornate migliori era un difensore praticamente insuperabile, imbattibile nell’uno contro uno e chirurgico nel tackle, però a trentatré anni il capitano ha già imboccato il fatidico viale del tramonto.
A centrocampo Ramsey rinuncia completamente agli incontristi e schiera solo giocatori con caratteristiche d’offesa: al centro il metronomo è Colin Bell, “The King of the Kippax”, leggenda del Manchester City che a ventisette anni ha raccolto la pesante eredità di Sir Bobby Charlton. Ai suoi fianchi il CT opta a destra per Tony Currie, ventitré anni dello Sheffield United, centrocampista dalla criniera folta molto eclettico e talentuoso. A sinistra l’esigua mediana è composta dal vecchio leone Martin Peters, il terzo reduce del 1966, trentenne mediano del Tottenham.
In attacco per occasione gli inglesi giocano con ben tre torri: al centro Peter Osgood, considerato come il più grande giocatore ad aver vestito la maglia del Chelsea prima dell’avvento di “Magic Box” Zola e della “Russian Revolution” di Abramovič. “The King of Stanford Bridge” è un centravanti di stazza ma in possesso anche di piedi buoni che Ramsey ha sempre ostracizzato (come molti giocatori tecnici ed estrosi che infrangevano i suoi cari schemi, chiedere a Kevin Keegan, Stan Bowles, Charlie George o Rodney Marsh) ma che per l’occasione ha rispolverato in sostituzione di Chris Chivers, considerato dall’opinione pubblica come il responsabile dell’eliminazione dai mondiali. Ai suoi fianchi completano l’attacco il poderoso Mick Channon, venticinquenne del del Southampton e il terzo panzer, Allan Clarke ventisettenne “Sniffer” (cecchino) del Leeds United di Revie.

Passiamo all’Italia che invece scende in campo con il classico schema all’italiana: il monumentale Dino Zoff tra i pali, a ventinove anni il portierone della Juventus è all’apice della forma ed è indiscutibilmente il miglior portiere del globo e qualche mese più tardi finirà sulla copertina della celebre rivista Newsweek. Davanti a lui agisce il suo conterraneo Tarcisio Burgnich, trentaquattro anni libero (ed ex terzino) dell’Inter, forse il più grande difensore classico prodotto dal vivaio italiano: tecnica di base non trascendentale ma concentrazione e vis agonistica da fuoriclasse. Assieme alla “Roccia” compongono la batteria dei marcatori tre giocatori di grandi doti fisiche: Luciano Spinosi a destra, ventitré anni della Juventus, classico difensore di temperamento, Mauro Bellugi (di anni ventitré anche se ne dimostrava di più) stopper dai piedi buoni dell’Inter e infine Giacinto Facchetti, il primo grande fluidificante della storia del calcio mondiale. Vista la particolare conformazione dell’attacco albionico in questa partita il trentunenne di Treviglio dovrà limitare molto le sue scorribande in avanti che l’han reso molto celebre.
A centrocampo il CT Valcareggi opta per una coppia di mediani nel cuore pulsante del gioco: a destra il carisma ed il senso euclideo di Fabio Capello, ventisettenne mezzala di regia della Juventus che aveva bucato la rete inglese già nel match di Torino. Probabilmente il futuro Don Fabio della panchina non immaginava sicuramente che esattamente trentacinque anni più tardi, dopo aver segnato uno storico gol a Wembley, sarebbe diventato il primo straniero a sedersi sulla panchina della Nazionale inglese. A sinistra invece troviamo Romeo Benetti, ventotto anni del Milan, panzer altoatesino dal proverbiale gioco duro da far invidia a molti giocatori d’oltremanica. Davanti a lui i fari di Wembley sono puntati su Gianni Rivera, trentenne Golden Boy del calcio italiano. Ramsey qualche anno prima ad una domanda di un giornalista che gli aveva chiesto di elencare i quattro giocatori più forti aveva risposto “Rivera! Rivera! Rivera! Rivera!” e detto da un allenatore che non ha mai visto di buon occhio i giocatori talentuosi e leggerini questo era un’autentica investitura!
Sulla fascia destra, stante l’assenza di Mazzola che in nazionale veniva dirottato sull’out di destra, Valcareggi decide di adattare Franco Causio, discontinuo fantasista della Juventus che a ventiquattro anni è ancora lontano dalla consacrazione che avverrà tre anni più tardi quando Giovanni Trapattoni lo impiegherà definitivamente nel ruolo di tornante. Centravanti è Giorgio Chinaglia, ventisei anni che sta trascinando la sua Lazio ad uno storico scudetto. Inutile dire che il carrarese è l’autentica star del match: emigrato giovanissimo in Galles dove il padre da umile minatore divenne ristoratore, Long John da giovanissimo ha alternato al football il rugby, sport nazionale gallese. Con la palla tra i piedi Long John sembrava avere poca fortuna: all’esordio assoluto con il Swansea City in Second Division contro il Portsmouth non vide biglia contro Dickinson, vecchio difensore centrale dei Pompeys (sì, proprio quel Dickinson che era in campo a Wembley nel 1953 contro l’Ungheria!). Rientrato in Italia per il servizio militare, Giorgione sembrava non poter ambire che alla terza serie (Massese, Internapoli) finché incontra sul suo destino Juan Carlos Lorenzo, pittoresco tecnico argentino della Lazio che lo portò nella capitale assieme ad un altro anglo-italiano, il terzino Pino Wilson. E lì iniziò un’altra storia con l’avvento sulla panchina di Tommaso Maestrelli che fa dell’irruenza di Chinaglia il fulcro centrale della sua Lazio all’”olandese”. Completa l’undici Gigi Riva, ventinove anni simbolo del Cagliari: dopo l’intervento omicida di Hof di due anni prima Rombo di Tuono si era completamente ripreso tornando ad essere il temibile attaccante dal sinistro ciclonico che tutti conoscevano.
Gli inglesi vogliono rifarsi a tutti i costi dalla tragedia sportiva di un mese prima e adottano un atteggiamento tattico solitamente accorto per disinnescare il micidiale gioco di rimessa azzurro. Le marcature degli uomini di Ramsey, pur se più fluide e meno dogmatiche di quelle italiane, ci sono tutte: McFarland viene dirottato su Chinaglia con l’altro centrale Moore che gioca pochi passi indietro da libero mascherato, a destra Madeley in fase difensiva sta appiccicato a Riva mentre a sinistra Hughes deve vedersela con Causio. In difesa rigide e serrate le maglie azzurre: Burgnich libero, Spinosi fisso su Clarke, Bellugi su Osgood e infine Facchetti sacrificato sul terzo panzer Channon. Interessanti anche gli accoppiamenti a centrocampo: Bell gioca su Rivera, sul centrodestra Capello fronteggia Peters mentre sul centrosinistra Benetti duella con Currie.
A Wembley c’è un’atmosfera tipica da novembre londinese: pioggerellina fitta, umido e ben centodieicimila spettatori fanno cornice alle due squadre che entrano in campo. Al fischio d’inizio dell’arbitro portoghese Lobo gli inglesi si proiettano subito in attacco: dopo quaranta secondi Channon si gira in area e Zoff inizia il suo personale show bloccando centralmente. L’Italia però non sta a guardare, pochi secondi dopo Causio lancia in profondità Chinaglia ma Madeley anticipa Chinaglia e il portiere Shilton. L’Italia fin dalle prime battute si dimostra più intraprendente della Polonia, che ha giocato per novanta minuti con il pullman parcheggiato davanti alla porta del “clown” Tomaszewski, al 2’ sale in cattedra Rivera che con un calcia un pallone che termina fuori di un metro alla sinistra di Shilton. L’Inghilterra però risponde colpo su colpo: al 3’ si verifica uno scontro di gioco Capello-Currie, sulla susseguente azione lo stesso capellone con il numero sette calcia un fendente potentissimo deviato da Zoff in calcio d’angolo.
Al 12’ su un corner dalla sinistra di Currie, Channon colpisce di testa ma Zoff para in presa centrale. Continua però il ping pong tra le due parti, un minuto dopo Chinaglia scappa via e calcia a rete un pallone che Shilton para con qualche difficoltà sul suo palo. Questo episodio segna la fine della prima fase di studio del match, al quarto d’ora, infatti, gli inglesi prendono le misure degli azzurri dominando il centrocampo: Madeley a destra e Hughes a sinistra spingono come treni ma le loro prevedibili palle lunghe sono sempre preda della difesa azzurra che, in un’area intasatissima, riesce sempre ad avere la meglio. Al 16’ Channon si riesce a liberare dalla marcatura di Facchetti e serve Currie che calcia un fendente sotto il sette di Zoff, il portiere friulano compie però il secondo miracolo della serata e devia il pallone in corner. Al 19’ Moore serve un retropassaggio a Shilton ed i centomila di Wembley iniziano a fischiare all’unisono: nonostante abbia sollevato la coppa al cielo nel 1966 Bobby, in quanto bandiera del West Ham (club del povero Est di Londra), è detestato dalla maggioranza dei supporter londinesi che invece stravedono per “Ossie” Osgood del Chelsea (club del ricco Ovest di Londra). In campo però c’è solo l’Inghilterra: al 27’ triangolo Currie-Osgood-Currie, una delle poche azioni palla a terra dei bianchi, e parata di Zoff questa volta facile.
Al 28’ l’Italia rompe la monotonia dell’assedio inglese ma il cross di Rivera è intercettato in uscita da Shilton. Due minuti più tardi Osgood, il più intraprendente dell’attacco inglese, esegue una bella sponda per Channon che però sparacchia malamente a lato. Al 36’ si rivede davanti l’Italia: cross di Causio e uscita di pugno di Shilton ad anticipare l’accorrente Riva. Due minuti più tardi l’occasione più grossa per l’Inghilterra: su una mischia in area Bell calcia a porta a colpo sicuro, Zoff è superato ma sulla linea si materializza il piede di Facchetti che salva sulla linea di porta il pallone dell’1 a 0. Un minuto più tardi gli inglesi hanno un’altra palla importante per segnare il vantaggio, Currie calcia in diagonale ma Zoff con la punta delle dita devia il pallone dall’angolino basso alla sua destra, terzo miracolo per San Dino! Scampato il pericolo si riaffaccia l’Italia: parete Riva-Causio-Riva con quest’ultimo che viene anticipato in uscita da Shilton. Al 45’ ultima emozione del match con il tiro-cross di Madeley, uno dei più intraprendenti giocatori in campo, che viene deviato in angolo dal libero Burgnich. Termina così 0-0 un bellissimo primo tempo giocato ad altissima intensità dalle due squadre.
La ripresa non è meno emozionante, al 48’ l’Italia conquista il suo primo calcio d’angolo del match, un minuto dopo Channon anticipa Zoff in uscita su una rasoiata da sinistra di Currie, il pallone però schizza a lato. Al 53’ altro cross da destra Peters però cicca clamorosamente il pallone e Benetti salva in corner. Al 55’ si rivedono gli uomini di Valcareggi: fuga di Chinaglia con McFarland che lo atterra al limite dell’area, sulla susseguente punizione Riva ciabatta clamorosamente il pallone che finisce quasi sulla bandierina del corner! Al 59’ Bell aggiusta la mira e dopo un paio di tentativi sfortunati centra la porta, Zoff però para in presa.
Al 61’ Riva, assolutamente anonimo fino a quel momento, si riscatta con un fendente mancino dei suoi a tagliare, Shilton però ha la reattività di un gatto e devia il bolide in corner. Un minuto dopo in area italiana torre di Osgood per Bell il cui tiro è parato in due tempi di Zoff. Al 67’su un lancio di Hughes, Peters crossa in area un pallone che però viene intercettato da Zoff, sul susseguente capovolgimento di fronte Benetti sparacchia fuori. Al minuto sessantotto altro contropiede azzurro, Rivera serve Chinaglia ma questo s’impappina e Moore rilancia l’azione. Al 72’ l’Inghilterra ritorna a farsi molto minacciosa: Hughes scaglia un bolide con il destro e Zoff deve compiere il quarto miracolo della serata con un volo d’angelo alla sua sinistra. Al 73’ Ramsey si decide finalmente ad effettuare il suo primo cambio facendo uscire Clarke per Hector, un corazziere per un altro corazziere. Sul susseguente calcio d’angolo è ancora Hughes a calciare in porta, questa volta però il tiro del terzino del Liverpool lambisce il palo alla destra di Zoff.
Al 75’ l’Italia torna a farsi pericolosa, su un cross di Benetti, Chinaglia si tuffa di tesa ma Shilton risponde “presente!” in tuffo. All’81’ l’Inghilterra crea l’ennesima occasione del suo match, su un cross da destra di Currie deviazione volante di Osgood che termina fuori di poco alla sinistra di Zoff. E’ l’ultimo attacco pericoloso di un’Inghilterra che incomincia a sentire il peso della stanchezza di un match condotto a cento all’ora, all’85’ Madeley scodella una palombella in area che Zoff devia oltre la traversa per il diciottesimo calcio d’angolo a favore dei Tre Leoni.
Un minuto dopo un lampo improvviso squarcia il plumbeo cielo sopra Wembley: su un tiro cross di Chinaglia, Shilton respinge alla bell’e meglio, Capello è lì a pochi passi e quasi non crede ai propri occhi di trovarsi dinanzi la porta sguarnita, piattone di destro e incredibile uno a zero per l’Italia! I “camerieri” italiani stanno per coronare un’impresa storica nel “Tempio del calcio”, il colpo è grande per gli inglesi che prima del triplice fischio dell’arbitro riescono solo ad imbastire qualche azione confusa che però non riesce ad evitare il primo storico successo dell’Italia in casa inglese. Al quarantacinquesimo spaccato, al triplice fischio dell’arbitro portoghese Wembley è invaso da pacifici tifosi italiani, gli inglesi sugli spalti cantano orgogliosamente “England! England!” prima che partano le note di “God Save the Queen” che accompagna l’uscita dei calciatori, si chiude così una serata memorabile per i colori italiani.

PAGELLE INGHILTERRA:
Shilton: come nel match contro la Polonia denuncia limiti di concentrazione. Dimostra prima tutto il suo talento sbarrando la strada prima a Chinaglia e poi a Riva ma sul tiro cross del centravanti della Lazio respinge alla carlona mettendo sul classico vassoio d’argento un pallone che Capello tramuta in un gol storico. Voto: 6
Madeley: un’autentica spina nel fianco sinistro dello schieramento azzurro. Il terzino del Leeds sfrutta alla grande il buco che il tradizionale schieramento all’italiana lascia sulla sinistra correndo come una locomotiva per novanta minuti e sfornando numerosi cross che i suoi compagni non riescono a sfruttare. Voto: 7.5
Hughes: anche il terzino del Liverpool gioca un partitone, sebbene si trovi alle sue calcagna un Causio particolarmente attento alla fase difensiva che mette un tampone alle sue scorribande. Essendo di piede destro, oltre che al cross, prova anche la conclusione a rete e solo un portentoso Zoff riesce a digli di no. Voto: 7.5
Bell: gioca da vertice basso del centrocampo albionico riuscendo a contenere in qualche modo il genio di Rivera, in fase di possesso è l’unico giocatore in maglia bianca a palesare geometrie e senso tattico anche se quando calcia da fuori ammazza spesso qualche piccione! Voto: 6.5
McFarland: lo stopperone del Derby County ingaggia un duello rusticano quasi da calcio italiano con Chinaglia e riesce a vincere quasi tutti i palloni contro Long John. Voto: 7
Moore: in fase difensiva gioca di fatto da libero staccato evitando i contatti face to face con Riva e Chinaglia, una volta conquistata palla prova a comandare le azioni dei suoi con le sue consuete sgroppate, il capitano chiude la sua grande carriera in Nazionale con una prova decisamente sfortunata. Voto: 6
Currie: cavallo pazzo del centrocampo inglese, corre tanto ma spesso senza costrutto anche se c’è da dire che solo la sfortuna e Zoff hanno evitato che segnasse. Voto: 6.5
Channon: il più negativo dell’attacco inglese, legnoso e spesso impiantato per terra, Facchetti lo cancella letteralmente dal match, a parte un assist a Currie non combina nulla di buono. Voto: 5,5
Osgood: è l’unico dei tre attaccanti inglesi che cerca di muoversi anche al di fuori degli ultimi sedici metri e di dialogare palla a terra con i compagni, purtroppo per lui gli spazi angusti ed intasati non gli consentono di trovare la via a rete e finisce imbrigliato nelle maglie azzurre. Voto: 6.5
Clarke: Spinosi lo anticipa sempre e il cecchino del Leeds dimostra di avere le polveri bagnate riuscendo a combinare ancora meno di Channon. Voto: 5 (dal 73’ Hector s.v.)
Peters: unico reduce assieme a Moore della formazione campione del mondo nel 1966, il centrocampista del Tottenham disputa una prova sotto tono sbagliando tanti palloni a centrocampo e lisciando un paio di ghiotte occasioni in area di rigore. Voto: 4.5
Ramsey: chiude la sua comunque grandiosa avventura da CT dell’Inghilterra nel peggiore dei modi, con una sconfitta sfortunata ma che ha fatto emergere la preoccupante involuzione del football dei sudditi di Sua Maestà. Carattere ed orgoglio sono salvi però non sono bastati perché la sua squadra ha palesato una completa assenza di schemi ed idee di calcio. Conferma la sua idiosincrasia con i cambi togliendo troppo tardi uno delle torri d’attacco, goodbye Sir Alf! Voto: 5
PAGELLE ITALIA:
Zoff: l’eroe assoluto di Wembley, senza le sue provvidenziali mani lo storico successo in terra inglese sarebbe stata pura utopia. Super Dino si conferma il miglior portiere del mondo con almeno quattro parate dall’alto coefficiente di difficoltà, anche nelle uscite e nelle mischie la sua sicurezza è assoluta. Voto: 8
Spinosi: cancella dall’incontro Clarke puntando tutto sull’anticipo, c’è da dire che l’inglese gli ha dato una grossa mano per tutta la partita. Voto: 7
Facchetti: prestazione mostruosa del capitano azzurro, nonostante venga schierato fuori dal suo ruolo abituale di terzino fluidificante, dimostra di farsi valere anche da marcatore puro annullando completamente le velleità di Channon coniugando eleganza a tanta potenza fisica. Voto: 7.5
Benetti: il panzer azzurro è tra i più sottotono dei centrocampisti italiani, viene spesso preso in mezzo tra il vivace Currie e le sovrapposizioni a tutta forza di Madeley, ci mette spesso una pezza come può anche se non va oltre la semplice sufficienza. Voto: 6
Bellugi: gioca una gara attenta e accorta in marcatura su Osgood vincendo la maggior parte dei duelli contro il centravanti del Chelsea. Voto: 7
Burgnich: organizza il fortino azzurro con grande diligenza ed intelligenza calcistica, la tattica catenacciara attuata dai suoi compagni lo aiuta molto ma la roccia nerazzurra si conferma un leader assoluto della retroguardia azzurra. Voto: 6.5
Causio: impegnato in una posizione a lui quasi inedita, il talento della Juventus si disimpegna bene correndo come un matto sulla fascia destra, in fase offensiva però la sua fantasia s’intravede solo a sprazzi. Voto: 7
Capello: governa il centrocampo giocando spesso a uno-due tocchi con giocate essenziali ma pratiche per spezzare il monotono assedio inglese, si fa trovare al posto giusto nel momento topico del match e segna un gol storico. Voto: 7.5
Chinaglia: il giocatore più atteso del match lotta come un leone su ogni pallone anche se spesso con troppa foga e poco costrutto, mezzo voto in più per il tiro-cross che ha fruttato il gol in tap-in di Capello. Voto: 6.5
Rivera: pur non avendo la tempra e la stamina tipica per partite del genere, l’Abatino ogni volta che tocca il pallone tra i piedi crea situazioni di contropiede pericolosissime per la difesa inglese che viene spesso spiazzata dalla sua geniale imprevedibilità. Voto: 7
Riva: gioca gran parte del match defilato sulla sinistra, Madeley si rivela un osso durissimo e Chinaglia non lo aiuta sicuramente nel gioco di sponda, esplode solo per una volta il suo ciclonico sinistro e Shilton deve superarsi, sufficienza stiracchiata non però per colpe solamente sue. Voto: 6
Valcareggi: indovina alla grande la strategia per battere gli inglesi: difesa sì ma non ad oltranza unita a rapidi capovolgimenti di fronte, l’unica pecca della giornata è lo sfasamento della coppia d’attacco Chinaglia-Riva, un errore che il CT azzurro commetterà anche ai mondiali tedeschi. Voto: 7
Arbitro Lobo: dirige bene l’incontro dimostrando di avere il match sempre in pugno. Voto: 7
POST SCRIPTUM: Alf Ramsey e Bobby Moore, i grandi artefici del trionfo del 1966, escono di scena a capo chino. Per il CT le sconfitte contro Polonia ed Italia furono un’autentica tragedia, la federazione infatti indovinò in Ramsey il capro espiatorio e Sir Alf fu estromesso così dal pantheon dei “campioni del 1966”, morirà solo e dimenticato dal mondo del calcio nel 1999. I parrucconi della FA comunque non riuscirono a fare tesoro di questa lezione e invece che puntare su un profondo rinnovamento, sia tecnico che nello stile di gioco, decisero di nominare come successore di Ramsey il suo “figlioccio” Don Revie, controverso tecnico del “Dirty Leeds”, famoso per il suo calcio duro e sporco. Per la Nazionale si apriranno anni bui (nel 1978 non si riqualificheranno ai mondiali e Revie fu di fatto esiliato in Arabia Saudita!) mentre al contrario molti club inglesi come il Liverpool e il Nottingham Forest iniziarono a fare incetta di trofei europei esibendo un gioco innovativo fatto di possesso e trame palla a terra. Quella serata di Wembley non servì da lezione nemmeno all’Italia, con un Valcareggi che si crogiolò su troppe false illusioni (la tenuta della coppia d’attacco Riva-Chinaglia, la tenuta fisica dei vecchi Mazzola e Rivera) e in Germania gli azzurri furono cacciati al primo turno proprio dalla Polonia carnefice dell’Inghilterra dopo che il carneade haitiano Sanon aveva posto fine a 1.142 minuti l’imbattibilità di Zoff. Troppe primedonne attempate e uno spogliatoio bollente e diviso capeggiato da sgherri come Chinaglia costeranno caro a “Zio Uccio”, saranno i suoi sostituti Fulvio Bernardini e (soprattutto) Enzo Bearzot a rifondare l’Italia calcistica e a portarla a scrivere le pagine più belle della sua storia.