All’indomani della bocciatura della proposta di riforma costituzionale targata Renzi-Boschi, l’ipotesi possibile di un ritorno ad un sistema elettorale di stampo proporzionale aveva spinto molti osservatori della politica a parlare di un “ritorno alla prima repubblica”. Con l’anno nuovo, se un ritorno del nostro sistema politico alla prima repubblica appare inverosimile (il Mattarellum, la legge maggioritaria corretta proporzionale, sembra di fatto la favorita nella successione dell’Italicum), è invece la nostra economia ad averne più nostalgia.
Il rapporto Istat dello scorso 4 dicembre infatti parla chiaro: nel 2016 i prezzi al consumo registrano una diminuzione del -0,1%; non accadeva dal lontano 1959 (quando la flessione fu del -0,4%). A quel tempo, però, l’Italia era un’economia in forte crescita, al contrario della condizione attuale di lenta e difficoltosa ripresa. Per l’Istituto nazionale di statistica il dato appare come un segnale della deflazione. L’istituto presieduto da Giorgio Alleva segnala che se da un lato esiste un’“inflazione di fondo” (incremento dei prezzi calcolato al netto dei prodotti freschi e di quelli energetici non regolati) attestantesi ad un +0,5%, dall’altro si registra per il 2016 una netta flessione dei prezzi di elettricità, abitazioni, acqua e combustibili (-1,7%). Cosa significa tutto questo? Le associazioni dei consumatori, il Codacons in primis, rispondono che gli ultimi dati sono una chiara avvisaglia del fatto che l’Italia non è ancora uscita dalla crisi. La deflazione, come sostenuto del Codacons, è infatti “il frutto del crollo record dei consumi” che “negli ultimi 8 anni sono calati di ben 80 miliardi di euro”. Tale crollo dei consumi ha influito nel crollo della domanda aggregata (la somma di consumi, investimenti, spesa pubblica nonché saldo Import-Export). Il conseguente effetto non può essere che l’abbassamento dei prezzi.
Quello che va registrato in positivo è la riduzione della pressione fiscale del -0,2% nel terzo trimestre del 2016, accompagnata da un aumento del potere d’acquisto delle famiglie del +1,8% su base annua. Questi appaiono come segnali positivi, anche se il livello della pressione fiscale rimane comunque a livelli elevati (40,8%), come attestato dallo stesso Istat. Solo nell’ultimo periodo si attesta una lievissima ripresa dei consumi (+0,3), che però appare scarsa per un impulso positivo verso la ripresa economica. In una prospettiva economica globale, il rialzo dei tassi d’interesse operato dalla Fed (la Banca centrale statunitense) non appare come un problema per l’area euro e per le economie sviluppate. Anzi, da un punto di vista commerciale, potrebbe quasi sicuramente incentivare le esportazioni europee. Fondamentale per la ripresa economica sarà la fiducia di imprese e cittadini verso investimenti e consumi. Una fiducia che l’Europa dovrà catturare attraverso politiche monetarie espansive, sulla scia del Quantitative Easing, e quindi con operazioni di mercato aperto volte all’espansione monetaria, nonostante le possibili ritrosie tedesche. Il prossimo rapporto Istat si attende per il prossimo 16 gennaio. Ma i dati che contano arriveranno solo a 2017 inoltrato.