Esattamente cinquanta anni fa la storia di un’intera isola, la Sardegna e di un intero popolo, cambiava in per sempre grazie al calcio. Il Cagliari infatti il 12 aprile 1979 battendo il Bari 2 a 0 si laureava campione d’Italia per la prima e l’unica volta nella sua storia trasformando così la percezione di un’isola di pastori e banditi in una delle mete più rinomate del turismo. I due corifei di questo successo storico sono due: Gigi Riva, il cannoniere venuto dal Nord, autentico trascinatore a suon di gol della compagine sarda ed uno strano allenatore che risponde al nome di Manlio Scopigno, un vero e proprio filosofo prestato alla panchina, un personaggio che si trovava già a mal partito con il calcio figuriamoci in quello di oggi.
È però forse riduttivo attribuire questa impresa epocale alle sole figure di Riva e Scopigno in quanto la grande impresa dei sardi ha radici molto lontane ed è il coronamento di un lavoro societario con i fiocchi ma anche di molte fortunose congiunzioni tra calcio, affari e politica. Tutto inizia nel maggio 1962 quando il cosiddetto Piano per la Rinascita della Sardegna, diviene legge dello Stato italiano. E’ in quell’anno che comincia la costruzione della raffineria della Saras a Sarrocch e del complesso chimico della Sir a Porto Torres. Nello stesso anno il Cagliari, per una coincidenza che non è casuale, arriva primo nel girone B della serie C e viene promosso in Serie B.
La prima svolta: arriva Riva al Cagliari (1963)
Nell’estate del 1963 la squadra scopre un giovane lombardo che gioca come ala sinistra nel Legnano, tale Luigi Riva: è nativo di Leggiuno un paese sul Lago Maggiore vicino al confine con la Svizzera ed ha un passato molto difficile e triste alle sue spalle. Orfano del padre a nove anni, il piccolo Gigi viene mandato in collegio, che per il giovane varesotto sembra di finire in un carcere. Dopo aver cercato più volte di scappare il giovane Riva riesce a tornare nel suo paese dove però un’altra serie di lutti sconvolge la sua vita: muoiono infatti prima una sua sorella (Candida) e poi l’amata mamma Edis. Nell’estate del 1962 viene ingaggiato dal Legnano, club di Serie B che lo nota durante uno dei tanti tornei che si disputavano sui campetti delle località sul Lago Maggiore, dove di mattina fa l’operaio e il pomeriggio si allena con la squadra dalla casacca lilla.
Il 13 marzo 1963 a Roma è la svolta sia nella storia personale di Gigi Riva che del Cagliari calcio: il giovane attaccante di Leggiuno gioca infatti con la Nazionale juniores a Roma contro i pari età della Spagna. La tribuna è gremita di osservatori tra i quali Arturo Silvestri ed Omero Tognon, ex glorie del Milan degli Anni Cinquanta che rispettivamente sono capo allenatore e vice del Cagliari, è presente anche il direttore generale del club sardo Andrea Arrica. Durante l’intervallo l’affare è fatto: Riva passa al Cagliari per 37 milioni di Lire, battendo le proposte del Bologna, della Lazio e addirittura della Spal del “re del mercato” Paolo Mazza, presente anche lui in tribuna al fianco di Arrica voglioso di contendersi la giovane ala sinistra. Mazza però, un tipo che nella sua carriera ha sbagliato pochissimi colpi, decide di puntare su tale De Bernardi della Pro Patria dando così il via libera al direttore generale del Cagliari.
Il diciannovenne Riva non ne vuole sapere di trasferirsi in un posto che per lui è più Africa che Italia: piuttosto è disposto a tornare in fabbrica a produrre candele per auto oppure a sistemare le gettoniere degli ascensori. È la sorella Fausta, che dopo la morte dei genitori gli fa un po’ da mamma a convincerlo a prendere un aereo per la Sardegna: mai immaginerà che quell’isola sarà per sempre casa sua e che un giorno sarà chiamato dai sardi semplicemente Giggirriva. Nella stagione 1963/64 l’innesto di Riva permette al Cagliari di centrare la prima storica promozione in Serie A: Gigi gioca all’ala sinistra, è ancora più un tornante che una punta vera e propria e corre a perdifiato su tutta la fascia mancina. In quella squadra ci sono già due giocatori di cui sentiremo parlare: il terzino pugliese Mario Martiradonna e la mezzala friulana Ricciotti Greatti.
Prima volta nel grande calcio (1963/64)
Per affrontare il suo primo campionato di Serie A la società sarda è costretta a dotare di un manto erboso al proprio piccolo stadio dell’Amsicora che in precedenza era in terra battuta. Il duo Arrica-Silvestri nel frattempo continua a lavorare egregiamente sia in campo che fuori: il direttore porta in Sardegna un giovane mediano di Verona che risponde al nome di Pierluigi Cera ed un brasiliano scartato dalla Juventus che risponde al nome di Claudio Olinto de Carvalho detto Nené, mentre il trainer trasforma Riva da tornante di fascia ad attaccante puro, un giocatore con un tiro mancino così potente e mortifero è infatti sprecato a giocare lontano dalla porta.
Il Cagliari è una delle sorprese del campionato: trascinato dai gol di Riva arriva sesto e inizia a vedere da vicino le big del calcio italiano anche se la Grande Inter di Helenio Herrera resta sempre di un altro livello. La stagione 1965/66, che vede l’ingresso in squadra del roccioso stopper Comunardo Niccolai, è invece interlocutoria: la squadra manca il salto tra le big e arriva appena undicesima, il ciclo di “Sandokan” Silvestri sembra davvero concluso e così in estate l’allenatore di San Donà va ad allenare il Milan (senza grossa fortuna) mentre sulla panchina sarda arriva un tecnico rampante si è messo in luce sulla panchina del Vicenza e che è reduce da una breve avventura tutta da dimenticare sulla panchina del Bologna, il suo nome è Manlio Scopigno.
Arriva il “filosofo” (1964/65)
Nato a Paularo, sulle montagne della Carnia da una famiglia originaria dell’Umbria che lì si era stabilita per il lavoro del padre che era una guardia forestale, il giovane Manlio cresce calcisticamente nella sua città d’adozione, Rieti, poi va a giocare prima a Salerno e poi a Napoli in Serie A dove però un brutto infortunio al ginocchio mette fine alla sua carriera di calciatore. E’ un terzino sinistro atipico per l’epoca, dotato di tecnica, eleganza e tempismo negli interventi e veniva paragonato a Virgilio Maroso, fuoriclasse del Grande Torino morto a Superga. Nel frattempo il giovane Manlio non trascura gli studi: si iscrive alla facoltà di Pedagogia alla Sapienza di Roma e da questo fatto verrà ribattezzato forse a torto “il filosofo”. Come credo calcistico Scopigno è un allievo di Roberto Lerici, uno dei primi italianisti e convinti assertori dell’utilizzo del libero, di cui è stato vice allenatore ai tempi del Vicenza nel biennio 1959-61. E’ quindi un allenatore che bada molto al sodo e all’essenziale che ama un calcio pratico e senza fronzoli e che, strano per un “filosofo”, detesta i sofismi calcistici e le astrusità tattiche.
Nell’estate del 1965 Scopigno passa al Bologna in sostituzione del mostro sacro Bernardini dove però non lega con la società rossoblù, vicina alla locale DC che mal vede la presenza di questo allenatore che viene reputato “comunista”: sotto le due torri il filosofo dura solo sei partite e poi viene cacciato. Il giorno dell’esonero Scopigno respinge al mittente la lettera del licenziamento commentando sardonico: “ci sono due errori di sintassi ed un congiuntivo sbagliato!”. L’impatto del tecnico di Rieti con il mondo del Cagliari è estremamente particolare, racconta Pierluigi Cera un famoso aneddoto che ormai conoscono anche i sassi: durante la vigilia di una partita di Coppa Italia la squadra cagliaritana viene sorpresa dal tecnico a fare le ore piccole tra partite di briscola e nuvole di fumo. Scopigno si avvicina ai giocatori che, raggelati temono chissà che punizione, invece prende una sigaretta e afferma serafico “do fastidio se fumo anch’io?”. Mezzora dopo tutti i giocatori saranno a dormire nelle loro stanze!
Da Cagliari a Chicago (1966/67)
Nella stagione 1966/67 il Cagliari, che al centro dell’attacco vanta un nuovo innesto come Roberto Boninsegna, ritorna al sesto posto trascinato sempre dalle prodezze di Gigi Riva (ben diciotto i gol che gli valgono lo scettro di re dei bomber). In estate l’intera squadra, con l’eccezione di Riva che prende parte alla poco fortunata spedizione azzurra ai mondiali inglesi, si trasferisce per un torneo negli Usa ideato dalla United Soccer Association al quale invitò una dozzina di club europei e sudamericani, abbinandoli ad altrettante franchigie locali, il Cagliari cambia denominazione e diventa Chicago Moustangs. Pur facendo arrivare Boninsegna allo scettro di capocannoniere, i sardi ottengono tre vittorie, sette pareggi e due sconfitte, un bilancio che li esclude dalla finale dove il Wolverhampton (Los Angeles Wolves) batte l’Aberdeen (Washington Whips) per 6-5 dopo i tempi supplementari.
Durante il lungo torneo negli USA succede un fatto che però rischia di minare la serenità in casa Cagliari: durante una cena dall’ambasciatore italiano a Chicago in cui era stata invitata l’intera squadra sarda, Scopigno viene scoperto a pisciare in una aiuola davanti al personale dell’ambasciata dopo aver trangugiato bicchieri di whisky. Il presidente Rocca, che già non ama questo allenatore dallo stile cosi bohémien, venuto a sapere del fatto licenzia in tronco Scopigno e affida la panchina a Ettore Puricelli, ex “Testina d’oro” del Bologna che faceva tremare il mondo negli Anni Trenta.
L’oro nero aiuta il Cagliari (1967/68 e 1968/69)
Nel frattempo sul piano societario si verificano dei cambiamenti fondamentali: nell’estate del 1967 due colossi petroliferi come la Saras di Angelo Moratti e la Sir di Angelo Rovelli, acquistano 140 milioni in azioni, e ottengono la maggioranza del Cagliari Calcio, il presidente del club diventa Efisio Corrias, ex presidente della Regione Sardegna dal 1954 al 1968 nonché numero uno del Credito Industriale Sardo, l’ente che aveva avvallato le operazioni con i due colossi petroliferi. Angelo Moratti, che si sta accingendo a passare la mano ad Ivanhoe Fraizzoli, diventa quindi il primo presidente della storia della Serie A ad essere proprietario allo stesso tempo di due club: il primo “effetto” sul piano calcistico di questa operazione è che Scopigno, cacciato dal Cagliari, viene parcheggiato all’Inter dove Helenio Herrera sta per terminate il suo pluridecorato ciclo (poi, per fortuna del Cagliari, un sentimentale come Fraizzoli virerà su Foni, tecnico degli scudetti del 1952/53 e del 1953/54).
Sul campo però Puricelli non riesce a far compiere il fatidico salto di qualità alla sua squadra che ripiomba nell’anonimato del centro classifica. Nell’estate del 1968 così il Cagliari richiama Scopigno ed aggiunge altri tasselli al suo organico: il terzino Giulio Zignoli (dal Milan) il libero Giuseppe Tomasini (dal Brescia), il centrocampista Mario Brugnera ed il forte portiere Enrico Albertosi (dalla Fiorentina) che viene scaricato dalla società viola in quanto la dirigenza gigliata è convinta che a sua riserva Superchi sia più forte di lui. Nonostante Boninsegna e Riva non vadano molto d’accordo dal punto di vista tattico, essendo due punte di peso mancine, il Cagliari vola e si aggiudica il titolo d’inverno ma, a causa di un calo nel periodo primaverile, vengono sorpassati proprio dalla Fiorentina che si aggiudica uno scudetto decisamente insperato.
Estate 1969: a Cagliari si gettano le basi
Nell’estate del 1969 sull’isola c’è voglia di rivalsa e si gettano le basi per la grande impresa: Arrica grazie ai buoni rapporti con l’Inter riesce a cedere Boninsegna per la bellezza di 600 milioni (al club sardo era costato ottanta!) che sbologna in Sardegna anche giocatori reputati non all’altezza della causa nerazzurra come Angelo Domeghini (la moglie di Fraizzoli era innamorato del suo opposto Mariolino Corso: “meglio dieci minuti di Corso che novanta minuti di Domenghini” la sua lapidaria sentenzia), Sergio “Bobo” Gori e Mario Poli, tutti giocatori che saranno fondamentali per gli equilibri tattici nella scacchiera di Scopigno. Un regolarista come Domenghini è fondamentale infatti per dare fiato ad un centrocampo (Cera-Greatti-Nené) dove mancano incontristi puri mentre Gori è il classico centravanti di manovra, che a differenza di Boninsegna, è capace di giocare al servizio di Gigi Riva, ormai ribattezzato a tutti gli effetti “Rombo di Tuono” dal grande giornalista Gianni Brera, suo grandissimo ammiratore.
Scopigno imposta sedute di allenamento molto “light”: in un posto dove il clima è Mediterraneo tutto l’anno basta una mezz’oretta di allenamento fatta bene e con intensità. La squadra prende intanto forma: in porta il mattacchione Enrico Albertosi, probabilmente uno dei più grandi portieri espressi dal calcio italiano assieme a Zoff e Buffon. Originario della Lunigiana (quindi più emiliano che toscano anche se la provincia di Massa e Carrara fa parte della Toscana) Ricky è probabilmente all’apice della forma fisica e vederlo volare da palo a palo è sempre uno spettacolo. Davanti a lui il classico battitore libero è Giuseppe Tomasini, detto Tomas, bresciano di Palazzolo. I marcatori sulle punte avversarie sono il terzino destro Mario Martiradonna (“se ti chiamassi Martin saresti fisso in Nazionale” gli ha detto Scopigno) e lo stopperone toscano Comunardo Niccolai al centro, specialista in autoreti spettacolari. Sulla fascia sinistra il veronese Giulio Zignoli, terzino sinistro, marca il tornante avversario ed ha anche licenza di spingersi in avanti.
Il centrocampo ha tanta qualità: davanti alla difesa l’altro veronese Pierluigi Cera è il mediano in marcatura sul dieci avversario, ma ha anche piedi buoni che gli permettono di avviare l’azione. Il capitano Ricciotti Greatti (friulano di Basiliano) gioca sul centrosinistra con la maglia numero dieci come regista effettivo della squadra e costruttore delle trame di gioco. Dietro le punte giostra invece il brasiliano Nené, che sulla casacca ha l’otto ma è una mezzapunta a tutti gli effetti (era arrivato alla Juventus come centravanti). Sulla fascia destra la corsa del bergamasco Angelo Domenghini assicura sempre tanta copertura ma anche tanto sostegno al duo d’attacco. Il milanese Sergio Gori è il centravanti, ma in realtà svaria su tutto il fronte offensivo per permettere i micidiali tagli sinistra-destra o destra-sinistra di Gigi Riva: Rombo di Tuono è il vero terminale d’attacco della squadra sarda e svaria su tutto il fronte dell’attacco come un ciclone (la coppia Gori-Riva ricorda per compiti, tipologia degli attacanti e movimenti la fortunata coppia Benzema-Cristiano Ronaldo nel Real Madrid del triennio 2015-2018).
Il miracolo si realizza (1969/70)
Nasce una squadra che incarna alla perfezione il credo del suo allenatore, capace di arroccarsi davanti all’area di rigore e di ripartire con fulminei contropiedi sfruttando la qualità del centrocampo, soprattutto i lanci lunghi di Cera e Nené e le sfuriate del tornado Riva. L’avvio di campionato è tutto della Fiorentina campione in carica, poi però il Cagliari esce alla distanza: tra la sesta e la settima giornata i sardi espugnano San Siro sconfiggendo l’Inter e violano anche il San Paolo di Napoli e vanno in testa. Alla dodicesima il Cagliari perde per la prima volta sul campo del Palermo, a fine partita Scopigno imbufalito dice al guardialinee di ficcarsi la bandierina proprio in quel posto e viene squalificato cinque mesi! La reazione del tecnico è spiazzante come al solito: “Meglio così, in tribuna si vedono meglio le partite!”.
Privo del proprio condottiero in panchina, sostituito degnamente dal vice Ugo Conti, la squadra sarda (che in questa stagione gioca spesso per scaramanzia con una maglia bianca con risvolti rossoblu) comunque non subisce grossi traumi e a gennaio si laurea campione d’inverno. Nella partita vittoriosa contro la Lazio (diciannovesima giornata) s’infortuna seriamente ad un ginocchio il libero Tomasini e Scopigno ha la geniale intuizione di arretrare Cera che diventa così il primo regista difensivo della storia del calcio italiano, una mossa talmente fortunata che ai mondiali messicani il CT Valcareggi impiegherà il veronese proprio in questa posizione. Alla sesta di ritorno i sardi conoscono la seconda (e ultima) sconfitta stagionale e la Juventus, rivitalizzata dalla cura Rabitti, va a solo un punto.
Alla ventiquattresima giornata è in programma lo scontro diretto Juventus-Cagliari al Comunale di Torino, per i sardi è l’ora della verità. L’inizio è equilibrato ma uno spettacolare autogol di Niccolai porta in vantaggio la Juventus alla mezzora, allo scadere però pareggia i conti il solito Riva con un colpo di testa. Nella ripresa entra in scena Lo Bello, arrabbiato per la mancata convocazione agli imminenti mondiali in Messico il fischietto siciliano diventa il mattatore del match: al ventesimo vede, lui solo un fallo di Martiradonna in area e concede il rigore alla Juve, tira Haller e Albertosi compie il miracolo, Lo Bello fa ripetere il penalty e Anastasi questa volta segna! I giocatori del Cagliari sono furibondi, Lo Bello però è impassibile: “riprendete a giocare!”. A otto minuti dal termine l’arbitro di Siracusa vede un contatto tra Salvadore e Riva e fischia il secondo rigore, il tiro di Riva non è granché ma Anzolin si fa passare la palla sotto la pancia il gol che spiana la squadra al primo storico scudetto del Cagliari!
Il 12 aprile 1970 un gol di Riva (che sarà capocannoniere con ventun centri) ed uno di Gori battono il Bari all’Amsicora: è la partita che sancisce la matematica vittoria dello scudetto, un’impresa davvero titanica che trascende gli stretti fattori sportivi. Scriverà in quegli anni il grande giornalista Gianni Brera: “Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso”. La vittoria del Cagliari non è infatti solo il successo di una città ma di un intero popolo e di un’intera isola, è inoltre il primo titolo conquistato da una squadra non appartenente al Centro e al Nord Italia. La cosa curiosa è che a parte il pugliese Martiradonna e i toscani Niccolai e Albertosi, tutti i restanti giocatori sono nati al di sopra della Linea Gotica.
Riva crack! e addio sogni di gloria (1970-76)
Come molte favole però il fine non è lieto: la stagione successiva (1970/71) il Cagliari parte fortissimo con un Riva che sembra proprio un’ira d’Iddio. Alla quarta giornata arriva una pesante vittoria in casa dell’Inter (poi campione d’Italia) per tre a uno che sembra davvero ipotecare un altro campionato da dominatori per la squadra di Scopigno. Il 31 ottobre 1970 però arriva il sipario sulla favola cagliaritana: al Prater di Vienna va infatti in scena la giornata inaugurale delle qualificazioni per l’Europeo Austria-Italia. Al 76’, sul risultato di due a zero per gli azzurri, Gigi Riva viene falciato dal terzinaccio austriaco Hof che gli entra in scivolata da dietro con istinti quasi omicidi, la diagnosi è terribile: frattura del perone e distacco dei legamenti della caviglia, stagione finita, carriera a rischio!
Senza Riva il Cagliari perde di fatto mezza squadra, a fine stagione infatti i sardi arrivano appena settimi mentre l’Inter, trascinata dal vecchio Mariolino Corso si laurea campione dopo una lunga rimonta. Gigi Riva ritorna l’anno successivo ad indossare la sua solita casacca numero undici ma ormai non è più lui. La stagione 1971/72 è l’ultimo grande campionato del Cagliari che si classifica al quarto posto. In estate però Scopigno però lascia la panchina e va allenare (senza fortuna) la Roma: lo squadrone del 1970 inizia pian pianino a sgretolarsi (nel 1973 vanno via Cera e Domenghini, Greatti ha appeso le scarpette al chiodo l’anno prima) sotto gli occhi tristi di Gigi Riva che da solo non riesce a risollevare la squadra dalla mediocrità del centro classifica.
Nella stagione 1975/76 il Cagliari naviga in cattivissime acque: alla sedicesima giornata nel nuovo stadio di Sant’Elia arriva il Milan, ai sardi ultimi in classifica con soli sei punti serve a tutti i costi una vittoria per sperare nel miracolo della salvezza e se hai un certo Gigi Riva da Leggiuno in rosa questa speranza non è mai vana. Al 50’ però Rombo di Tuono durate un duello con lo stopper rossonero Bet al’improvviso si accascia al suolo, la diagnosi parla di distacco del tendine dell’adduttore. Per Riva è la fine della carriera di calciatore, per il Cagliari l’ultimo di undici anni consecutivi in Serie A. E’ finita davvero un’epoca anche perché in piena crisi petrolifera e di stagnazione, Moratti e Rovelli non hanno più interesse ad investire in Sardegna. A distanza di cinquant’anni il ricordo di quell’impresa è però ancora vivissimo nell’isola dei quattro mori: Gigi Riva, già proprio lui che non voleva saperne di quell’isola che considerava africana, si aggira per le strade di Cagliari come un eroe omerico. Il legame tra quella squadra e l’isola è ancora fortissimo: con l’eccezione di Albertosi, rimasto nella sua Toscana, tutti gli altri giocatori della rosa vivono in Sardegna in una terra in cui sono tuttora considerati e celebrati a distanza di mezzo secolo come degli eroi.