Strage di Bologna

L’orologio, lì, alla stazione di Bologna, è fermo alle 10.25.

E lo è dal 2 agosto 1980, da ben 37 anni. Dal dì di quella che può essere considerata una delle stragi più importanti del secondo dopoguerra italiano.

Dall’atto eversivo più significativo degli Anni di piombo (o strategia della tensione, fate voi), in cui, per oltre dieci anni, sovversivi di estrema destra ed estrema sinistra hanno tentato di mettere in ginocchio lo Stato, non riuscendoci. Uccidendo giornalisti, poliziotti, e rappresentanti delle istituzioni.

Colpendo a piazza Fontana. A piazza della Loggia. Facendo esplodere l’Italicus, e anche il rapido 904. Tentando il colpo di Stato con Junio Valerio Borghese.

E altro ancora.

Ma quello che succede a Bologna, uno dei più importanti nodi ferroviari dell’intero stivale, fa ancora rumore a 37 anni di distanza. Per quello che ha rappresentato. Per le indagini successive. Per i tanti, troppi – e alcuni anche voluti – depistaggi. E ancora con troppi punti interrogativi.

Sono le 10.25 del 2 agosto, appunto.

Una bomba a tempo, contenuta in una valigia abbandonata, esplode nella sala d’aspetto della seconda classe. Perdono la vita 85 persone, mentre 200 sono i feriti. A causa della virulenza dell’esplosione, crolla un’intera ala della stazione, è investito in pieno il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario e il parcheggio dei taxi antistante.

L’ordigno,  di fabbricazione militare, era composto da 23 kg di esplosivo.

Oltre ai soccorsi immediati da parte dei cittadini, che prestarono i primi soccorsi alle vittime, e contribuirono ad estrarre le persone sepolte dalle macerie (simbolo della strage è anche l’autobus della Linea 37, quello più usato per arrivare in ospedale), il primo elemento a scattare per primo è il depistaggio, che va avanti per anni e porterà alla condanna Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza.

E che metterà in mezzo la Loggia Massonica P2. La banda della Magliana. La Camorra. Improbabili mozziconi di sigaretta, che avrebbero innescato un’esplosione per colpa di una fuga di gas. Un potentissimo e articolatissimo complotto internazionale. False rivendicazioni. E tanti, innumerevoli, dossier fasulli ed errate informazioni. La pista libica. E, per ultima, anche quella arabo-israeliana.

Le indagini, quelle serie, capiscono (quasi) subito che dietro il botto ci sono gli eversivi di estrema destra, appartenenti ai Nuclei armati rivoluzionari (Nar), ma le condanne arrivano soltanto nel 1995, allorché la Cassazione mette alla sbarra definitivamente Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, “come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna”, e per aver “fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato”. Nel 2007, invece, è condannato anche Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti.

Aver assicurato gli esecutori materiali, però, non basta a guardare in faccia la realtà, perché le grandi stragi italiane hanno sempre quella malassa gelatinosa che non si riesce a scoperchiare. Perché, ancora oggi, non si conoscono i nomi dei mandanti e si fanno soltanto ipotesi sui perché di quella bomba fatta esplodere. Ma c’è chi scommette che dietro ci siano stati i Servizi segreti, rigorosamente deviati, e la criminalità organizzata.

C’è chi ha parlato di un “diversivo” dopo la strage di Ustica, successa soltanto un mese prima.

Altri di risposta all’ordinanza di rinvio a giudizio dei neofascisti toscani accusati del botto all’Italicus, depositata due giorni prima, il 31 luglio.

Altri ancora hanno dato altre spiegazioni: niente strategia della tensione, ma contrasti internazionali tra la Nato e il Patto di Varsavia, tra gli Stati Uniti e la Libia, con l’Italia che si trovava in mezzo a questa guerra segreta.

Chiacchiere, voci, soltanto ipotesi.

Quelle 85 persone, invece, sono morte davvero…