“…la guerra non è una canzone, che si può dimenticare la guerra è una favola funesta, che ogni giorno si manifesta…” (Milena N. Kosovo, 12 anni).

“Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d’aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all’intraprendere l’azione militare…”. Così, il 23 marzo 1999, l’allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l’inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare.

L’aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/Serbia era motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale, cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell’umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l’aggressione alla Jugoslavia il 24 Marzo 1999. La realtà sul campo è esattamente il contrario delle verità ufficiali raccontate dalla NATO, dall’UNMIK, dall’OSCE o dalla cosiddetta Comunità Internazionale.

Dopo 19 anni dove sono la cosiddetta “pulizia etnica”, il “genocidio”, “le fosse comuni” con le decine di migliaia di albanesi kosovari dentro? Quando, secondo i documenti CIA, FBI, OSCE, Unmik, NATO….a tutt’oggi: sono stati ritrovati 2108 corpi di tutte le etnie. Secondo l’UNCHR i primi profughi sono stati registrati il 27 marzo 1999, cioè 3 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti.

Sono stati uccisi dal giugno ’99 in poi 3.000 serbi, rom, albanesi jugoslavisti, e di altre minoranze; sono stati rapiti 1300 serbi; oggi si sa (tramite le memorie della ex procuratrice del tribunale dell’Aja per la Yugoslavia, Carla Del Ponte) che loro sapevano dei 300 serbi rapiti dalle forze terroriste dell’UCK portati in Albania per estirpare loro gli organi ad uno ad uno.

“Ora viviamo come in gabbia, prigionieri, ma gli stranieri dicono che siamo liberi…”. Jovan 10anni, enclave di Gorazdevac, Kosovo

Durante l’aggressione NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo al 10 giugno 1999, l’aviazione della NATO ha effettuato numerosi attacchi, bombardando civili e obiettivi non militari.

Molti bambini sono periti durante questi attacchi, e sono anche morti molti malati ricoverati negli ospedali, passanti, persone nelle strade, nei mercati, nelle colonne dei profughi. Sono stati distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri.

Questi attacchi sono stati cinicamente definiti dagli ufficiali della NATO come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione con l’intimidazione intenzionale come strumento. Ecco alcuni esempi di bombardamenti in cui le vittime sono stati i civili:
4 aprile – stazione di riscaldamento urbano a Belgrado (un morto)
12 aprile – treno viaggiatori nella gola di Grdelica (20 morti)
14 aprile – una colonna di profughi in Kosovo (73 morti)
23 aprile – la sede della Radio-Televisione di Serbia (16morti)
1 maggio – un ponte in Kosovo (39 morti)
3 maggio – un bus nei pressi del villaggio Savine Vode in Kossovo (17 morti)
7 maggio – la città di Nis (17 morti)
8 maggio – un ponte a Nis ( morti)
13 maggio – un campo profughi in Kosovo (tra 48e 97 morti)
19 e 21 maggio – la prigione Durava nel Kosovo (23 morti)
30 maggio – il ponte nella città di Varvarin sul fiume Morava, durante una religiosa (10 morti tra i quali una liceale Sanja Milenkovic e un prete della locale chiesa)

Non è che un piccolo numero delle vittime civili dell’aggressione NATO. Come esseri umani e come persone coscienti, abbiamo un obbligo morale di rendere omaggio a queste vittime e a tutte le altre vittime dell’aggressione. In questa lunga lista di vittime menzioniamo la piccola Milica Rakic, una bimba di 2 anni della periferia di Belgrado, così come le piccole vittime del bombardamento della sezione infantile dell’ospedale Misovic a Belgrado e molti altri.

La rete stradale e ferroviaria distrutte, altrettanto un gran numero di fabbriche, di scuole, ospedali, installazioni petrolchimiche, di monumenti e siti culturali. Il danno diretto è stato stimato in 100 miliardi di dollari americani. Intere regioni della Serbia e in particolar modo, il Kosovo sono stati inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito.

Le conseguenze per la popolazione e soprattutto per i nuovi nati si manifestano in orrende malformazioni che si acutizzano con il passare del tempo. Decine di migliaia di serbi resistenti, continuano a vivere in enclavi, tuttora protetti per evitare violenze ed assalti. L’aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia ha rappresentato un colpo senza precedenti all’ordine giudiziario internazionale, ai principi delle relazioni internazionali e alla carta delle Nazioni Unite.

A seguito delle motivazione e delle sue conseguenze, quest’aggressione ha rappresentato il primo avvenimento globale più importante dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si è trattato di una guerra contro l’Europa, le cui conseguenze si vedono oggi. L’aggressione contro la Jugoslavia ha lastricato la strada per l’utilizzo unilaterale della forza nelle relazioni internazionali ed ai successivi attacchi all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia e in questi mesi i venti di guerra sono in Ucraina, ai confini della Russia.

Durante questa aggressione una stretta alleanza tra la NATO e l’organizzazione terroristica, chiamata Armata di Liberazione del Kosovo (UCK) è stata realizzata, garantendo a questi ultimi la trasformazione da terroristi a governanti dell’attuale stato fantoccio del Kosovo. Le conseguenze di questa alleanza si sono continuate a manifestare anche in questi 16 anni, attraverso la continuazione di forme di intimidazione e terrorismo contro la popolazione serba ed ogni altra popolazione non albanese in Kosovo e Metohija; tra cui anche attacchi e distruzioni di monumenti della cultura cristiana, antifascista e jugoslavista.

La dimostrazione più evidente di tutto quanto sopra descritto sono stati gli avvenimenti accaduti dal 17 al 19 marzo 2004, quando i terroristi albanesi hanno cacciato altre migliaia di serbi dalle proprie case e distrutto altre 35 chiese e monasteri serbi risalenti al medio evo. Le conseguenze di questa aggressione sono molteplici: presenza e rete di collegamenti e di cellule jihadiste nei Balcani, sono documentati in alcune centinaia gli jihadisti kosovari partiti da lì per la Siria e la Libia, in questi ultimi anni. L’impossibilità a tutt’oggi del rientro in Kosovo di 250.000 tra serbi e altre minoranze non albanesi, che furono cacciati dopo l’arrivo dell’UNMIK e della KFOR.

Pochissimi dei 150, tra chiese e monasteri, che sono stati distrutti, dal 10 giugno 1999, è stato ricostruito e tutto ciò malgrado le promesse fatte. Sono tutti indifferenti nei confronti di tutto ciò? I Balcani, la Serbia e i paesi della regione necessitano di pace, di stabilità e di sviluppo.

Tutto ciò è possibile solo nel rispetto delle risoluzioni dell’ONU, sancite tra le parti nel 2000, alla cessazione dei bombardamenti, in particolare la Risoluzione 1244 che assicurava le garanzie ed i diritti uguali per tutte le popolazioni dell’area. Ma essa è tutt’ora calpestata e rimossa.

Enrico Vigna, 24 marzo 2018

Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali

Forum Belgrado Italia – Assoc. SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija