
Autunno 1953, l’opinione pubblica calcistica europea è convinta che il primato d’imbattibilità inglese contro le formazioni non britanniche (che dura dal 1863, anno di fondazione della FA) sia destinato a terminare presto perché il 25 novembre è in programma “la partita del secolo” tra Inghilterra ed Ungheria, tra gli inventori del gioco più popolare al mondo e quella che è considerata la squadra più forte del mondo, l’Aranycsapat cioè “la squadra d’oro”.
Un mese prima, il 21 ottobre a Wembley, la Nazionale inglese aveva faticato non poco a pareggiare (4-4) una pirotecnica partita contro la selezione del Resto d’Europa trascinata da un grande Boniperti, unico italiano in campo e autore di una doppietta. Dal 1945 gli inglesi, chiusi nel loro splendido isolamento, si sono chiusi a riccio anche dal punto di vista calcistico: le squadre inglesi si confrontano poco con le novità del Continente e, dal punto di vista tattico, sono rimaste ferme al WM, il modulo di gioco inventato da Herbert Chapman nel 1925 e a schemi di gioco ormai superati fatti di continui duelli uomo contro uomo.
Sull’altro versante l’Ungheria sembra davvero una delle migliori squadre mai apparse su un campo di calcio: campioni olimpici nel 1952 e imbattuti da ventiquattro gare, i magiari giocano un calcio paradisiaco, fatto di movimenti senza palla, reparti di gioco corti, pressing volto a recuperare il pallone, passaggi brevi alternati a rapide e verticalizzazioni. Particolare è la tattica offensiva adottata dagli ungheresi detta a M con un finto centravanti al servizio delle due mezzali, che in realtà sono le due punte effettive. Questo particolare dispositivo offensivo va a nozze contro le macchinose difese sistemiste, improntate sulle classiche marcature individuali: il 2 contro l’11, il 3 contro il 7, il 5 contro il 9, ecc. Ma non è solo la fase d’attacco il vero successo di quella leggendaria squadra: sulle fasce infatti le due ali partono molto arretrate per risucchiare i propri diretti controllori (i due terzini avversari) ma anche per permettere la sovrapposizione dei due terzini.
In fase di possesso palla l’MM ungherese può definirsi un 3-2-3-2 con un’impostazione del quintetto difensivo del tutto analoga a quella delle squadre sistemiste, volto a rischiare spesso e volentieri l’uno contro uno e un attacco però completamente capovolto rispetto al classico attacco a W formato dal classico centravanti d’area e dalle due ali e dalle due mezzali che giocano in sua funzione.
La sofisticata macchina ungherese però non è finita qua: in fase di non possesso infatti uno dei due mediani scala sulla linea difensiva formando così un 4-2-4 oppure un 4-3-3 se una delle due ali (spesso quella destra) va ad infoltire il centrocampo. Ma non è solo tattica la chiave del successo dei magiari: il Partito Comunista magiaro infatti, ha conferito un’organizzazione straordinaria al movimento calcistico magiaro convogliando in due squadre (l’Honvéd e il Vörös Lobogó , l’ex MTK Budapest) i migliori talenti.
La sfida tra il sistema liberale capitalista inglese e quello comunista magiaro poi è un piatto propagandistico cui i burocrati di Budapest non sanno resistere: si dice che il Ct Gusztáv Sebes, un comunista duro e puro che da giovane ha lavorato come operaio in Francia, abbia letteralmente persuaso i dignitari del suo partito ad affrontare questa sfida, questi ultimi infatti probabilmente digiuni di calcio, temevano una figuraccia nella terra dei Maestri.
Sebes è comunque consapevole che la trasferta oltremanica nasconda insidie anche ad uno squadrone di marziani come il suo. In occasione della partita tra Inghilterra e Resto d’Europa, si era procurato una muta di palloni e aveva passato mezza giornata a Wembley a provare i rimbalzi e le traiettorie che le sfere di cuoio avevano sul prato fino e umido del tempio londinese. Poi, una volta tornato a Budapest con tre palloni inglesi, aveva obbligato subito i dirigenti della Federcalcio ungherese a tagliare l’erba dei campi di allenamento esattamente come quella di Wembley. Molti osservatori attribuivano il segreto dell’imbattibilità inglese contro formazioni del Continente proprio al terreno di gioco: l’erba corta e dura, spesso bagnata di Wembley, era infatti molto diversa dai prati soffici e dai ciuffi d’erba alti ed asciutti presenti in Continente. E a novembre, su campi del genere, le squadre più veloci e fisiche come quelle inglesi sono sempre favorite…
Sono le ore 14.05 del 25 novembre 1953: i centomila spettatori di Wembley stanno per assistere ad una partita che si prefigura come qualcosa di più di una semplice amichevole. Sebes schiera il suo undici con la più classica delle formazioni: in porta c’è Gyula Grosics, ventisette anni dell’Honvéd; nonostante abbia un tatuaggio delle SS sul petto è lui il titolare della “squadra d’oro” anche perché contro i vecchi nemici in Ungheria i comunisti al potere chiudono un occhio se non tutti e due, ciò che è prioritario infatti è la lotta al sistema liberale-capitalista. E poi la “pantera nera” è un signor portiere: alto, longilineo, capace di schizzare da un palo dall’altro come un acrobata e, soprattutto, bravo ad uscire fuori dall’area di rigore come un libero aggiunto. Nel ruolo di terzino destro c’è Jenő Buzánszky, ventotto anni, l’unico calciatore ungherese a militare in una squadra diversa dall’Honvéd e dal Vörös, il Dorogi. È un vero e proprio pendolino di fascia, tecnicamente non è un granché ma in fase di spinta può trasformarsi in una vera e propria ala. Sull’altra fascia troviamo Mihály Lantos, un venticinquenne biondo di origini teutoniche (si chiamava Lendenmayer), in forza al Vörös. Dal punto di vista tecnico è forse l’unico giocatore non all’altezza dei suoi compagni, anche se in fase di spinta anche lui ci sa fare, soprattutto con il mancino. Al centro della difesa c’è Gyula Lóránt, trentenne dell’Honvéd, un classico stopperone dai piedi così e così ma dal fisico imponente. Davanti alla difesa troviamo l’onorevole József Bozsik, ventottenne dell’Honvéd, uno dei più forti centrocampisti dalla storia del calcio. Amico d’infanzia di Puskás, Cucu è un classico centromediano metodista completo sul piano del repertorio, un costruttore di gioco formidabile, abilissimo nel tessere la manovra e nell’inserirsi come una freccia in attacco. Al suo fianco troviamo l’altro Giuseppe, Zakariás, ventinovenne del Vörös, un motorino instancabile abile soprattutto a coprire. Sulla fascia destra largo a László Budai, venticinque anni dell’Honvéd, un’ala molto diligente e brava anche in fase difensiva. E ora sotto con il magico trio: Sándor Kocsis, ventiquattrenne dell’Honvéd, mezzala sulla carta ma in realtà centravanti effettivo, capace di spaziare su tutto il fronte d’attacco per favorire il movimento di Ferenc Puskás, la stella indiscussa della squadra. A ventisei anni il capitano dell’Honvéd è all’apice della sua maturità: negli schemi di Sebes rappresenta la seconda punta, ma nella realtà dei fatti è una mezzala a tutto campo, polivalente, versatile e geniale nelle giocate e letale sotto porta. Completa il magico trio Nándor Hidegkuti del Vörös, il giocatore più anziano della squadra con i suoi trentadue anni: teoricamente è il centravanti, ma nella realtà è un moderno trequartista capace di lanci al millimetro grazie ad una visione di gioco fuori dal comune. Completa il mitico undici Zoltán Czibor, ventiquattrenne “uccellino pazzo” dell’Honvéd, una classica ala dal baricentro basso, inafferrabile e dal dribbling ubriacante.
Passiamo agli inglesi, schierati con il più classico dei WM (3-2-2-3): il portiere è Gil Merrick, un lungagnone di trentuno anni con i baffetti che difende i pali del Birmingham City, dal punto di vista tecnico è il classico portiere alto e sgraziato che tuttavia incute timore con la sua sola presenza, specialmente sui cross. Terzino destro è il veterano Alf Ramsey, trentatré anni del Tottenham: si dice che ami giocare con una zampa di coniglio infilata nei calzettoni, è il “ministro della difesa” dei Three Lions, l’uomo che dirige le operazioni del pacchetto arretrato (e infatti una volta smessi gli scarpini sarà un grandissimo allenatore!), un terzino non molto mobile ma dalla battuta lunga e secca, specialista in rigori e calci di punizioni. A sinistra Bill Eckersley, ventottenne simbolo del Blackburn che si è imposto in Nazionale nonostante il suo club militi in Second Division. Al centro della retroguardia troviamo il poderoso Harry Johnston, trentaquattrenne centre-half del Blackpool con un passato da mediano. Davanti a lui troviamo a destra il capitano Billy Wright, ventinove anni, simbolo dei Wolverhampton Wolves, reputato uno dei mediani più forti al mondo, perché completo nel repertorio e dotato di un innato carisma. Al suo fianco il gregario Jimmy Dickinson del Portsmouth, soprannominato “Gentleman Jim” per il suo grande fair play. Il classico quadrilatero è completato dalla coppia di interni è formata da Ernie Taylor, ventottenne in forza al Blackpool e Jackie Sewell, ventisei anni, dello Sheffield Wednesday, nulla a che vedere con ciò che schiera in avanti l’Ungheria. La vera stella delle casacche bianche è però un trentottenne che gioca all’ala destra e risponde al nome di Stanley Matthews: nonostante la veneranda età il futuro Sir (che giocherà ad alti livelli fino ai cinquanta…) è all’apice della sua fama avendo appena fatto vincere un’incredibile finale di FA Cup al suo Blackpool assieme al suo partner d’attacco Stanley Mortensen. Anche l’altro Stanlio, trentatreenne famoso per i suoi gol dalla linea di fondo (ne sa qualcosa il povero Bacigalupo…), è presente a Wembley nel ruolo di ariete. Completa l’undici allenato da Walter Winterbottom la veloce ala sinistra George Robb, un ventisettenne del Tottenham arrivato solo da qualche anno al professionismo, che ha l’ingrato compito di sostituire l’altra stella della squadra, la celebre ala del Preston North End Tom Finney, indisponibile per infortunio. Alla vigilia dell’incontro l’allenatore Winterbottom, una sorta di fantoccio che aveva il compito di schierare in campo i giocatori senza poterli selezionare di persona dato che le convocazioni erano ancora stilate da un comitato interno alla FA, si era intrattenuto con la stampa. Un giovane giornalista italiano, Gianni Brera, gli aveva chiesto se intendesse davvero marcare Hidegkuti, centravanti solo nominale, con lo stopper Johnston. Il “sedere d’inverno” lo guardò con un’aria tra il seccato e il spocchioso e gli rispose: “Il nostro centromediano seguirà il centravanti avversario se lo riterrà opportuno, altrimenti back pedalling…”, si dice che Brera gli abbia cortesemente risposto: “dai che così ne prenderete quattro!”. Probabilmente il CT inglese non s’informò che appena dieci giorni prima la selezione ungherese aveva pareggiato 2-2 contro la Svezia allenata da un valente tecnico inglese, George Raynor, il quale aveva fatto marcare Hidegkuti prima con il proprio centravanti e poi con il proprio interno sinistro… Evidentemente Winterbottom, dall’alto della sua superbia, non si era degnato nemmeno di studiare un piano tattico per bloccare i magiari!
Ma torniamo alla partita, le due squadre sono schierate l’una accanto all’altra e tra i giocatori c’è subito aria di sfida. La leggenda dice che Billy Wright, il capitano dei Leoni, abbia rivolto a Mortensen le seguenti parole: “Lo vedi quel ciccione? (Puskás, n.d.a.) Lo faremo a pezzi, insieme a tutti i suoi compagni! Sarà una passeggiata. Non sono neanche attrezzati, giocano in pantofole!”. Già, gli ungheresi hanno delle scarpe con la pianta particolarmente bassa, molto diversa dagli eleganti stivaletti indossati dai Maestri. Anni più tardi Wright smentirà di aver usato un simile epiteto nei confronti di Puskás ma confermerà il discorso delle scarpe.
Dopo la passerella iniziale, le due squadre si schierano al centro del campo: Puskás e Wright si stringono la mano, poi il Colonnello dell’esercito ungherese prende il pallone fermo sul cerchio di centrocampo e inizia a fare dei palleggi: punta coscia e tacco, il pubblico di Wembley lo osserva con curiosità come fosse un marziano, pochi minuti più tardi sapranno che è proprio così!
Fischio dell’arbitro: inizia la partita e subito l’Ungheria si getta all’attacco, su un fallo laterale battuto dagli inglesi sulla sinistra, i ragazzi di Sebes recuperano la palla con un’azione di pressing difensivo da manuale: la palla da Bozsik va ad Hidegkuti, questi si trova dinanzi proprio il suo diretto marcatore Johnston che lo affronta in uno contro uno. Il falso centravanti si libera con una finta perentoria dell’inglese e scaraventa un bolide che finisce proprio sotto al sette alla destra di Merrick, sono passati appena quarantacinque secondi! Per i primi dieci minuti gli inglesi ci capiscono poco o nulla: Johnston continua a seguire Hidegkuti fino a metà campo venendo ripetutamente umiliato ed irriso dal magiaro.
Nei primi minuti lo stopper Johnston (5) segue Hidegkuti (9) per tutto il campo
Dopo pochi minuti la difesa inglese è completamente allo sbando: Johnston smette di seguire Hidegkuti e si piazza a mo’ di libero al limite dell’area, Wright si vede ballare attorno Puskás e lo stesso Hidegkuti, Dickinson si trova così a marcare Kocsis che però è spesso il giocatore più avanzato dell’attacco e per un mediano non è il massimo no?! Al 6’ Puskás potrebbe raddoppiare ma il suo forte tiro viene bloccato da Merrick, all’8’ è ancora Hidegkuti a sfiorare la traversa con una conclusione da fuori area.
L’Inghilterra, pur non capendoci un’acca, prova a ripartire ma gli ungheresi pressano come indemoniati e al 9’ Hidegkuti serve una palla deliziosa, al volo e ad occhi chiusi, a Budai il cui tiro però viene bloccato dal portiere. Un minuto più tardi cross da sinistra di Czibor e Kocsis da mezzo metro sbaglia un gol che sembrava fatto mandando il pallone a lato con un colpo di testa sbilenco. Il copione è sempre lo stesso: l’Inghilterra ogni volta che giunge a centrocampo è travolta dalla marea rossa, al 10’ così Hidegkuti con un magnifico triangolo con Puskás taglia fuori tutta la sbadata retroguardia bianca e segna il gol del 2-0 con un tiro da pochi passi, l’arbitro olandese Horn però annulla inspiegabilmente, probabilmente per troppa clemenza verso gli inglesi. Al 12’, dopo un calcio d’angolo sballato dall’Inghilterra, Puskás lancia Czibor che da posizione defilata non centra la porta con un diagonale. Notate bene: in dodici minuti di gioco l’Ungheria ha già segnato una rete e creato altre sei nitide occasioni contro il zero assoluto degli inglesi.
Uno dei segreti dello squadrone magiaro: la posizione molto arretrata delle ali (qui Budai il numero 7 davanti alla propria area di rigore)
Si sa, i sudditi di Sua Maestà hanno mille difetti, ma nello sport come nella vita hanno il pregio di non mollare mai: al 15’, alla prima occasione l’Ungheria si fa trovare scoperta, Mortensen galoppa palla al piede e serve un pallone che Sewell scaraventa alle spalle di Grosics, 1-1. Wembley è stregato? No è solo un episodio: un minuto dopo Hidegkuti, servito da un assist geniale di Puskás, calcia da pochi passi ma trova il corpo di Merrick. La difesa inglese però è davvero imbarazzante e continua a fare acqua da tutte le parti perché semplicemente nessuno marca nessuno: al 20’ Czibor penetra sulla sinistra e serve un pallone rasoterra a Puskás, Öcsi è falciato da Johnston e poi circondato da quattro maglie bianche, nonostante ciò da terra riesce a passare il pallone a Hidegkuti, stop e altra fucilata che batte Merrick, 1-2.
Da questo momento la partita si trasforma in una sinfonia ungherese: minuto numero ventuno, bella azione in verticale Budai-Kocisis-Budai, tiro in diagonale di quest’ultimo che si spegne a lato. Ventiduesimo: lancio con il contagiri di Bozsik, sponda aerea di Budai che crossa al centro dove prima Hidegkuti e dopo Kocsis non riescono a centrare la porta, sembra di vedere una partita alla PlayStation quarantanni prima che venga inventata! Al 24’ l’apoteosi: Ferenc Puskás prende la palla sulla sua trequarti e serve Bozsik, l’onorevole la passa a Hidegkuti che a sua volta apre a destra su Budai il quale verticalizza su Czibor che da sinistra si è portato sulla fascia destra disorientando completamente il suo diretto controllore Ramsey. L’uccellino pazzo alza la testa e serve Puskás al centro dell’area, Wright, stufo di venire continuamente umiliato, decide di lasciare la sua zona di competenza e di piombare come un falco su quel grassone dai piedi fatati, il capitano degli inglesi giunge di corsa alle spalle di Puskás certamente non animato da buone intenzioni nonostante sia un giocatore corretto ed esemplare, mai ammonito né espulso nel corso della sua carriera. Il buon Billy, con uno dei suoi famigerati tackle scivolati, vuole infliggere una bella punizione a Puskás soffiandogli la palla o scaraventandolo in tribuna! Öcsi però sposta il pallone con la suola sinistra, Wright finisce con il culo a terra sull’erba umida e poi spara una cannonata di sinistro che incenerisce Merrick sul suo palo. Mentre il radiocronista magiaro esulta come un pazzo, i centomila di Wembley si alzano e tributano un lungo e scrosciante applauso a quest’autentico venusiano: sembra di essere tornati al 1928 quando la Scozia di Alex James s’impose a Wembley per 5-1, ma quella sconfitta pur bruciante fu considerata dagli inglesi una semplice “questione interna”…
Il principio dell’azione del 3-1: Puskás inizia l’azione nella sua metà campo e la conclude davanti alla porta inglese
Al 27’ l’Ungheria serve il poker: punizione dal limite di Bozsik, deviazione di tacco di Puskás e palla nell’angolino destro alla destra di Merrick. Al 28’ Hidegkuti spara un altro missile dei suoi, troppo centrale questa volta e Merrick para in due tempi. Al 30’ Puskás scherza un’altra volta Wright con una spaccata volante a centrocampo mandando il pubblico in visibilio, al 33’ Kocsis di testa impegna ancora Merrick su corner di Budai. Al 35’ si vede finalmente l’Inghilterra: cross al bacio di Matthews, incornata di Mortensen e volo portentoso di Grosics sulla sua sinistra. Al 37’ gli inglesi accorciano le distanze con un bel diagonale di Mortensen, e un minuto più tardi Sewell calcia da posizione favorevole (altro assist di Matthews) mandando però il pallone sulla sagoma di Grosics. Al 42’ prima bella azione corale degli inglesi: Mortensen fa l’Hidegkuti e serve Wright in corsa che apre su Matthews. Il futuro baronetto si accentra e serve l’ala sinistra Robb che però si vede la sua conclusione respinta dalla difesa, sul susseguente contropiede Budai calcia malamente fuori da posizione invitante. Si chiude così un primo tempo emozionantissimo con il punteggio di 4-2 per l’Ungheria.
Buzánsky, terzino destro e Budai, ala destra, duettano al limite dell’area inglese
La prima emozione del secondo tempo è un classico spunto di Matthews: finta sulla sinistra e classico scatto sulla destra fermato però da Lantos in corner. Dalla bandierina il mago del dribbling passa corto a Wright, cross teso e inzuccata di Mortensen deviata in tuffo da Grosics. Per qualche minuto non succede nulla di che ma al 50’ l’Ungheria cala il pokerissimo: Bozsik s’invola fino alla bandierina e serve il pallone a Puskás, il Colonnello con il sinistro scodella un pallone morbido verso la testa di Kocsis che sembra partito da una mano, il colpo di testa però viene deviato da Merrick sul palo. La difesa inglese così respinge il pallone alla bell’e meglio ma fuori dall’area sono appostati i due mediani, Zakariás e Bozsik, è proprio quest’ultimo a sparare un colpo di fucile che toglie le ragnatele alla sinistra di Merrick, 2-5.
Ormai la partita è pura accademia e Puskás e compagni si divertono contro gli sconquassati inglesi: al 53’ azione tutta volante che parte dalla testa di Budai, passa per quella di Hidegkuti e finisce sul destro di Puskás, Öcsi stoppa il pallone e con il suo magico sinistro disegna un lob parabolico che Hidegkuti, sempre al volo, scaraventa alle spalle di Merrick: cinque tocchi, tutti al volo, con quattro giocatori diversi per il gol del 6-2. Al 57’ la difesa magiara si concede un piccolo pisolino: Grosics e Buzánsky si addormentano su un pallone innocuo, destinato sul fondo e causa quest’incomprensione il portiere falcia Robb, rigore sacrosanto che viene trasformato da Ramsey con una conclusione chirurgica che finisce nell’angolino destro, è il gol definitivo 3-6.
Al 61’ gli ungheresi si passano nove volte il pallone di fila (!!) prima che Budai con un bel diagonale mandi il pallone a fare la barba al palo sinistro della porta inglese. Poi per aspettare un sussulto bisogna aspettare il 71’ quando Mortensen vince il suo primo duello con Lóránt, venendo però anticipato in uscita bassa da Grosics. Al 77’ un’altra conclusione di Puskás, al termine dell’ennesima fantastica azione corale, viene salvata sulla linea da Ramsey. All’83’ c’è gloria anche per il portiere di riserva Geller che sostituisce Grosics, infortunato al braccio.
L’ultima emozione vera del match è all’84’: Puskás centra da sinistra per Hidegukuti, il cui tiro teso e basso viene deviato con un prodigio da Merrick.
Finisce così con un’autentica umiliazione, un 3-6 che cambierà per sempre la storia del calcio inglese ma che avrebbe potuto benissimo essere un 12-3 o un 14-3 siccome i magiari hanno tirato 35 volte verso la porta avversaria contro le 5 degli inglesi! In tribuna Tom Witthaker dell’Arsenal, uno dei tecnici più avanguardistici, tira un sospiro di sollievo: “ci voleva”, gli ungheresi invece piangono dall’emozione a al loro rientro in patria vengono accolti come eroi nazionali. L’opinione pubblica inglese però non sembra comprendere la portata epocale della disfatta: il giorno dopo infatti un giornale titolerà “our defense outclassed!” facendo passare quest’autentica lezione di calcio per una giornata sfortunata dei campioni in casacca bianca. Il maggio successivo, a Budapest, gli inglesi si ripresenteranno tronfi per la rivincita, con lo stesso schema di gioco: finirà con un 7-1 ancora più umiliante.
PAGELLE INGHILTERRA:
Merrick: il meno peggio dei suoi, si vede che non è un fenomeno, ma almeno prova in qualche modo a salvare la baracca, nel finale compie un’autentica paratona su Hidegkuti che gli alza il voto. Voto: 6.5
Ramsey: continuamente umiliato da Czibor, ci capisce poco o nulla della partita come la maggior parte dei suoi colleghi di reparto, troppo lento e legnoso per fronteggiare certi tipi di avversari. Voto: 4
Eckersley: gioca in Second Division e si vede, Budai dalle sue parti fa quello che vuole e lui finisce spesso a ballare tra Kocsis e il suo diretto avversario, dilettante allo sbaraglio. Voto: 4
Wright: si sognerà Puskás nei peggiori incubi notturni perché è stato continuamente umiliato dal magiaro, anche lui come i suoi compagni poco ci capisce del match, anche se è forse quello che cerca almeno di suonare la riscossa, giornate storte capitano anche ad un campionissimo come lui. Voto: 4.5
Johnston: è l’emblema dell’impotenza dei maestri, non sa se seguire Hidegkuti o tenere la sua zona, semplicemente imbarazzante per tutti i novanta minuti. Voto: 3
Dickinson: resta spesso appiccicato a Kocsis come una cozza su uno scoglio, senza però capire granché di quello che gli sta succedendo attorno, pecorella smarrita. Voto: 3.5
Matthews: il vecchio mago del dribbling è uno dei pochi giocatori inglesi a meritare la sufficienza, qualche buono spunto sulla fascia e qualche assist bastano e avanzano per valutarlo positivamente. Voto: 6
Taylor: completamente inutile e fuori fase, trasparente ed impalpabile. Voto: 4
Mortensen: si sbatte come un leone ma senza molta fortuna, la sua caparbietà viene premiata da un gol e da un assist, il paragone con Hidegkuti è però davvero impietoso. Voto: 5.5
Sewell: segna il gol dell’1 a 1 ma poi di fatto sparisce dal match. Voto: 5
Robb: qualche buono spunto in un mare di mediocrità, non certamente per colpe solo sue. Voto: 4.5
PAGELLE UNGHERIA:
Grosics: inoperoso per larghi tratti del match, il “portiere-libero” magiaro dimostra comunque di che pasta è fatto con due voli portentosi e un paio di uscite molto rischiose. Voto: 7 (dall’83’ Geller s.v.)
Buzánsky: la fase difensiva non è il suo forte, però quando attacca è sempre una spina nel fianco nella molle retroguardia inglese, instancabile per tutti i novanta minuti di gioco. Voto: 7.5
Lóránt: vince quasi tutti i duelli contro Mortensen e troneggia come una quercia al centro dell’area di rigore, anche se i piedi non sono all’altezza di quelli dei compagni. Voto: 7
Lantos: anche lui denuncia qualche impaccio quando deve difendere mentre quando spinge è sempre pericoloso con il suo mancino. Voto: 7
Bozsik: che giocatore ragazzi! E’ il cervello della squadra, il direttore d’orchestra degli splendidi attacchi magiari, Puskás ed Hidegkuti non sarebbero gli stessi senza la sua presenza alle loro spalle. Un po’ sotto la perfezione perché in occasione del primo gol inglese si perde Sewell. Voto: 8.5
Zakariás: rispetto al compagno di reparto ha meno classe, bada di più alla sciabola che al fioretto e si fa notare più in fase di copertura anche se sbaglia sempre pochissimi palloni in uscita, si rivela essenziale per gli equilibri della squadra. Voto: 7
Budai: nel quintetto offensivo è forse il giocatore dotato di minore classe, pur sprecando un paio di occasioni favorevoli, mette il suo personale zampino in almeno due delle sei segnature magiare, ottimo anche in fase difensiva. Voto: 7
Kocsis: “testina d’oro” non è nella migliore giornata e si divora almeno due gol che sembravano fatti, il suo continuo moto sul fronte offensivo ed il suo gioco di sponda però è molto proficuo per i propri compagni e sovrasta il povero Dickinson sotto tutti gli aspetti. Voto: 6.5
Hidegkuti: ha impartito una vera e propria lectio magistralis di calcio ai centomila di Wembley. Con il suo continuo movimento a pendolo disorienta la retroguardia avversaria esponendo il povero Johnston a più di qualche figuraccia. Segna una tripletta d’autore portandosi il pallone del match a casa. Voto: 9
Puskás: non ci sono aggettivi per descrivere un giocatore del genere, gioca praticamente “box to box” da area ad area regalando autentiche perle (il terzo gol e l’assist per il sesto sono autentici colpi di genio) che impreziosiscono un pomeriggio indimenticabile per lui ed il suo paese. Voto: 9
Czibor: il povero Ramsey si sarà accorto della sua presenza in campo a partita finita perché “l’uccellino pazzo” si è mosso su tutto il fronte offensivo scambiandosi spesso di fascia con Budai, gli è mancato veramente solo il gol. Voto: 7.5
Arbitro Horn: evita che il punteggio assuma proporzioni imbarazzanti annullando un gol regolarissimo ad Hidegkuti, unica grave macchia di una partita ben diretta. Voto: 5.5
POST SCRIPTUM: quel giorno tra i centomila spettatori di Wembley c’era un anziano signore sulla settantina, che allenava ignorato da tutti i giovani dell’Aston Villa, Jimmy Hogan, in patria considerato una sorta di traditore, in Ungheria come una divinità: “E’ stato lui ad insegnarci come si gioca al calcio” affermò il presidente della Federcalcio ungherese Sándor Barcs dopo il sacco di Wembley. Hogan infatti fu allenatore valente negli Anni Dieci e Venti di numerose squadre mitteleuropee, fu lui ad insegnare a far germogliare per primo quel magnifico “calcio totale” ammirato a Wembley, fu proprio per la sua attività di missionario calcistico, oltre che per le sue origini irlandesi, che Hogan fu sempre considerato “il nemico numero uno” dagli spocchiosi burocrati della FA. Siamo sicuri che quel 25 novembre 1953, il buon Jimmy si sia preso con il tempo la sua grande rivincita: ride bene chi ride ultimo! Quella data però è stata davvero uno spartiacque anche per gli ungheresi. Ai mondiali del 1954, quando tutto il mondo aspettava la loro definitiva consacrazione, gli uomini di Sebes s’impantaneranno proprio sul più bello perdendo in finale contro una Germania dopata da cima a piedi e che grazie a quel mondiale seppe risollevarsi dalle ferite della Seconda Guerra Mondiale (tutto programmato apposta?). Due anni più tardi l’invasione sovietica dell’Ungheria causò la fine dell’Aranycsapat: Puskás se ne andò a Madrid a scrivere altre pagine di leggenda, lo stesso fecero Kocsis e Czibor a Barcellona assieme all’altro famoso esule Kubala. Nel 1958, completamente stravolta, l’Ungheria si presentò ai mondiali svedesi con solo tre reduci della squadra d’oro: l’anziano Hidegkuti, il “nazista” Grosics e l’onorevole Bozsik, fedelissimo alla causa rivoluzionaria e al partito. Quel 25 novembre però cambiò per sempre anche il calcio inglese: quella contro la Grande Ungheria infatti fu l’ultima partita internazionale per il terzino Alf Ramsey. Nel 1963, stufi delle solite figuracce con il fantoccio Winterbottom, i parrucconi della FA affidarono la panchina della Nazionale a questo giovane tecnico, capace compiere un miracolo con il modesto Ipswich cui in confronto il Leicester è nulla (tre promozioni in quattro anni dalla terza serie e titolo nel 1962!). Ramsey, che era un uomo molto pratico, cinico e spocchioso come costume inglese ma molto intelligente, capì la lezione di quella partita: comprese che in fase difensiva i terzini dovevano essere coperti e supportati nei raddoppi dal centrocampo e ideò il 4-4-2 “senza ali”, lo schema rivoluzionario (il suo gioco era comunque sempre di squisita tradizione britannica cioè “calcia e corri”) con il quale vinse i mondiali casalinghi del 1966, il primo e unico nella storia dell’Inghilterra, con la mitica “The wingless wonder”, già ma questa è tutta un’altra storia!




