Il prossimo 22 giugno sarà una data epocale per l’Eritrea e la sua vasta Comunità sparsa nel mondo. Gli eritrei in Europa, in segno d’indignazione per i nuovi e recenti attacchi portati al loro paese dalla cosiddetta “Commissione d’Inchiesta del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite”, organizzeranno infatti per quel giorno una manifestazione di protesta a Ginevra. Sarà l’occasione, per tutti i convenuti, per dimostrare come quanto sostenuto dalla suddetta Commissione sia solo una sequela d’illazioni e di malignità. Tutto il popolo eritreo, infatti, è unito nel sostegno e nella difesa del proprio paese, del proprio governo e del proprio Presidente.
Come s’è arrivati a tutto ciò? Innanzitutto la Commissione d’Inchiesta, presieduta dall’australiano Mike Smith e composta da altri due celebri esponenti come il ghanese Viktor Dankwa e la mauritiana Sheila B. Keetharuth, ha presentato nel corso di una conferenza stampa ben cinquecento pagine di documentazione sostenendo che “Il governo di Eritrea è responsabile di sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani, che hanno creato un clima di paura in cui il dissenso è soffocato, una gran parte della popolazione è sottoposta a lavoro forzato e alla reclusione, e centinaia di migliaia di rifugiati hanno abbandonato il paese. Alcune di queste violazioni possono costituire crimini contro l’umanità”.
Ovviamente tutta questa corposa documentazione non è frutto d’ispezioni dei membri della Commissione in Eritrea, dal momento che costoro non vi sono neanche mai entrati, ma di “(…) circa 550 interviste confidenziali con testimoni eritrei fuggiti del Corno d’Africa (…) e 160 contributi scritti”. Tutto materiale ovviamente anonimo perché, a detta della Commissione stessa, “Molti potenziali testimoni che risiedono al di fuori dell’Eritrea avevano paura di testimoniare, anche in via riservata, perché presumevano potessero essere clandestinamente monitorati dalle autorità e quindi temevano per la loro sicurezza e per i familiari in Eritrea”.
Il rapporto della Commissione presegue elencando come autori di tali violazioni “le Forze di Difesa, in particolare l’esercito eritreo; il servizio di sicurezza nazionale; le Forze di Polizia eritrei; il Ministero dell’Informazione; Il ministero della Giustizia; il Ministero della Difesa; il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ); l’Ufficio del Presidente; e il Presidente”.
Per questo motivo decine di migliaia di eritrei in tutto il mondo saranno presenti il 22 giugno a Ginevra per protestare contro questa nuova azione di sabotaggio nei confronti del loro paese, che altro non chiede se non d’essere lasciato libero di portare avanti i propri programmi di sviluppo e rilancio economico e di vedere riconosciuta la propria sovranità nazionale come sancito in modo incontrovertibile dalla “Commissione Confini Etiopia Eritrea” in ottemperanza agli Accordi di Algeri.
Dopo le sanzioni degli anni scorsi, motivate con le ben poco plausibili dichiarazioni dello SMEG (Somalia and Eritrea Monitoring Group), anche in quel caso raccolte senza nessuna serietà, con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1709 del 2009 e 2023 del 2011, la “comunità internazionale” s’appresta dunque a sferrare un nuovo attacco all’Eritrea. Ma, esattamente come in quel caso, anche stavolta troverà a fronteggiarla la combattiva determinazione degli eritrei.