Giusto tre giorni fa, il 26 settembre, è venuto a mancare Jacques Chirac, una figura che sicuramente univa luci ed ombre come del resto ogni altro suo omologo. Eppure, malgrado proprio questo, o forse anche per questo, con lui è venuto a mancare l’ultimo “serio” Presidente della Repubblica della storia francese: perché, se il suo predecessore François Mitterrand fu l’ultimo “vero” Presidente socialista della Francia, Chirac fu invece il suo ultimo “vero” Presidente gollista. Con queste ultime due figure, entrambe bene o male figlie di un’altra epoca e di un altro modo di far politica, non necessariamente migliore rispetto a quella dei “nuovi” ma sicuramente rispetto a loro dotata di una maggior statura politica e persino morale, si è di fatta conclusa la stagione della Francia intesa come la vera e propria Grandeur tanto cara al vecchio De Gaulle.
Ed è tal proposito curioso come sia stato proprio un altro Presidente gollista, Nicolas Sarkozy, a trasformare sostanzialmente in farsa quella storia della Quinta Repubblica che De Gaulle, fondatore del suo stesso partito, aveva invece inaugurato e portato avanti nel solco di una certa “solennità”. Ma, del resto, Sarkozy era anche l’uomo che aveva completamente snaturato il partito gollista francese, imprimendogli una svolta esplicitamente liberista ed atlantista che aveva fatto storcere il naso all’allora uscente Presidente Chirac. Al punto che, ormai preparandosi ad abbandonare l’Eliseo, Chirac aveva confessato con una non celata amarezza di non riconoscere più il suo partito e la politica professata dal suo “erede”. Di Chirac i più giovani probabilmente ricorderanno il suo diniego alla guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein voluta dall’allora Presidente statunitense George W. Bush jr., e questo già basterebbe a tracciare un netto contrasto con l’allegra campagna di Libia che invece il suo successore Sarkozy volle intraprendere al fianco di Obama e di Cameron. Del resto anche nella vicina Germania, altro Paese di riferimento in Europa, una figura più lungimirante come il socialdemocratico Schroeder era stata ormai sconfessata non più soltanto dai suoi stessi compagni di partito, ma soprattutto dalla nuova cancelliera, Angela Merkel.
Certo, dicevamo comunque che Chirac non era una figura del tutto pulita: fra il 2007 e il 2011, infatti, ebbe alcune grane giudiziarie in merito a delle assunzioni fittizie quando ancora era sindaco di Parigi, coi reati contestati di abuso di fiducia e di appropriazione indebita. Alla fine ne venne fuori una sorta di piccola Tangentopoli alla francese, che coinvolse anche il suo ex primo ministro Alain Juppé, e Chirac ebbe una condanna a due anni con la condizionale. Ma ormai l’ex Presidente stava cominciando a soffrire dei sintomi dell’Alzheimer e le sue condizioni di salute si stavano facendo sempre più precarie. Forse anche per questo nessuno si è sorpreso più di tanto quando è giunta la notizia della sua morte, a causa di un’infezione polmonare, sebbene di Chirac ormai non si parlasse più da diverso tempo. Si era ormai ritirato a vita privata e, probabilmente, non soltanto ormai non riconosceva più il suo partito e i suoi eredi politici, ma nemmeno il suo stesso paese. La Francia che aveva lasciato, decisamente, era ben preferibile a quella trasformata dai Sarkozy, dagli Hollande e dai Macron.
Quando, dopo la parentesi come sindaco di Parigi, espressione del gollismo conservatore e rivale di quello riformista, tra il 1986 e il 1988 si trovò a fare il primo ministro sotto il socialista Mitterrand, la coabitazione fu subito dura e non mancarono i momenti in cui i due stavano per entrare in collisione. Sconfitto da Mitterrand al ballottaggio per le presidenziali del 1988, vinse però nel 1995, scontrandosi col suo stesso partito, dove ormai aveva guadagnato un’enorme popolarità Edouard Balladour. Il primo ministro del momento, Philippe Séguin, preferì la linea più sociale e meno liberista di Chirac e ciò gli permise il trionfo al secondo turno sul socialista Lionel Jospin.
La sua prima presidenza, come già detto, ebbe luci ed ombre. Fece importanti dichiarazioni, come il riconoscimento della responsabilità dello Stato francese nell’internamento di migliaia di ebrei parigini presso il Velodrome d’Hiver, da cui sarebbero stati poi deportati dai tedeschi durante l’occupazione nazista, e si guadagnò una forte popolarità dichiarando l’abolizione del servizio di leva. Ma, allo stesso tempo, si attirò contro le ire dei sindacati e della piazza a causa della riforma del sistema pensionistico studiata dal suo primo ministro Alain Juppé, a quel punto costretto a ritirare tale proposta. Non fu una bella pagina per la biografia di Chirac e Juppé, ma rispetto a ciò che fanno i loro successori attuali con le piazze francesi che protestano contro i loro provvedimenti, bisogna pur riconoscere che almeno i “vecchi” ebbero la dignità o il senso di opportunità di ritirare certi provvedimenti, una volta resisi conto della loro impopolarità.
Non fu una bella pagina nemmeno la scelta di riprendere gli esperimenti nucleari sospesi dal suo predecessore Mitterrand, anche perché essi avvenivano nella Polinesia francese, in un ecosistema tanto bello e prezioso quanto fragile. Le critiche non soltanto in patria ma soprattutto all’estero furono notevoli, e Chirac fu non di rado ridicolizzato e definito né più né meno un imbecille e un disgraziato. Tuttavia, rispetto ai suoi successori, anche in questo caso bisogna dire che non si offese e non fece rimostranze, ben sapendo che certe scelte una figura politica importante deve pagarle: è la democrazia.
Alle presidenziali del 2002 si presentò indebolito, anche perché vi erano stati cinque anni di coabitazione col governo socialista di Jospin e con ministri che in seguito avrebbero fatto parlare molto di sé, come François Hollande e Dominique Strauss-Khan. Ma, a sorpresa, i socialisti arrivarono terzi, preceduti dal Front National di Jean-Marie Le Pen e così gran parte dell’elettorato tornò nuovamente a convergere su Chirac, assicurandogli il secondo mandato. Tolto ciò, la seconda presidenza di Chirac non fu migliore della prima: i suoi primi ministri più fedeli, Raffarin prima e de Villepin poi, videro crollare i loro esecutivi a causa dell’impopolarità, mentre Sarkozy e la sua fazione non facevano altro che trarre linfa dalle sconfitte elettorali dell’UMP nelle regionali del 2004 e dalla bocciatura della Costituzione Europea al referendum dell’anno successivo. E anche la riforma voluta contro la disoccupazione attraverso il poco amato CPE (Contrat première embauche) scatenò una nuova rivolta sindacale, che si assommò a quella delle banlieues, cavalcate da Sarkozy per assicurarsi definitivamente la popolarità dell’elettorato moderato e di centrodestra. In tutto questo contesto, il fermo “no” di Chirac alla guerra all’Iraq non fu sufficiente ad appagare quell’elettorato francese che sentiva il bisogno di vedere il proprio paese come grande protagonista internazionale e, forse, riscosse più applausi all’estero che in patria.
Come dicevamo, dunque, il bilancio di Chirac è fatto di luci ed ombre. Di lui, come di Mitterrand, ci restano delle belle memorie scritte, sicuramente più interessanti di certe cose scritte da altri suoi successori, uscite nel 2009 e nel 2011; oltre, ovviamente, ad una sorta di ricordo storico e politico che, anche in questo caso, enfatizza decisamente la minor statura generale dei suoi tre successori “bipartisan”.