Donbass

Domenica 24 aprile siamo stati ospiti dell’associazione culturale italo-russa “Speranza” che organizzato a Roma una tavola rotonda dal titolo “La cultura come strumento di lotta al terrorismo internazionale”. Promotrice ed organizzatrice dell’incontro, svoltosi nel pomeriggio, è stata Irina Vikhoreva, presidente dell’associazione, molto attiva nella promozione della cultura come strumento di lotta a supporto della libertà e del volontariato nella tutela dei diritti umani e nel contrasto agli atti di terrorismo verso la popolazione di cui alcuni governi si macchiano, come sta purtroppo accadendo nel Donbass, tra censure e disinformazione. L’incontro è servito anche a ribadire che in Italia esiste un fronte trasversale costituito da realtà movimentiste, associazioni ed operatori della comunicazione che vede nella Russia un bastione contro il dilagare del terrorismo e nel Donbass una trincea di tradizione, spiritualità ed eroismo quotidiano. A noi è stato chiesto di tracciare un quadro generale della situazione geopolitica mondiale attuale. Nei limiti del tempo a disposizione e tenendo presente la complessità della materia che richiederebbe giorni e giorni di analisi e ragionamento, abbiamo provato a mettere in evidenza aspetti e passaggi, a nostro avviso, particolarmente importanti.

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L’attuale situazione geopolitica globale, è il risultato, chiaramente transitorio, di una serie di fasi che, senza andare troppo a ritroso, possono essere fatte risalire alla dissoluzione del blocco sovietico e quindi alla fine dell’equilibrio bipolare venutosi a creare dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Con uno spazio ex-sovietico frammentato ed in preda alla crisi economica ed alle lotte intestine, una Cina in forte crescita ma ancora arretrata sotto molti aspetti per poter esprimere le sue enormi potenzialità, molti paesi alle prese con cambi di regime e tanta strada da percorrere davanti per raggiungere livelli adeguati di sviluppo ed un’Europa subalterna agli Stati Uniti d’America, iniziava così l’effimera era dell’unipolarismo statunitense. Erano gli anni in cui la Russia era sotto la chemioterapia finanziaria somministrata da Boris Eltsin, Yegor Gaidar, Anatolij Chubais ed i loro gregari, i cosiddetti “liquidatori”, incaricati di smantellare l’intero apparato economico e sociale del paese. Con il suo principale avversario geopolitico assoggettato al volere di simili individui, il cui unico scopo era quello di relegare la Russia al ruolo di mero fornitore di materie prime a basso costo per l’Occidente, gli USA accarezzavano sempre più il desiderio di imporsi come potenza egemone globale per un tempo indefinito. Tale piano, oltre che criminale, si è rivelato presto una chimera.

Il nuovo corso russo, segnato dall’elezione alla presidenza di Vladimir Putin, il consolidamento della Cina e lo sviluppo sempre più rapido di India, Brasile, Vietnam e di altri stati di Asia, Africa e America Latina, hanno ben presto provocato il tramonto dell’era unipolare, aprendo il nuovo millennio con la fase multipolare. La lunga alba chavista in Venezuela, la stagione di riforme e di riscatto patriottico dei Kirchner in Argentina, l’orgoglio indigeno di Evo Morales in Bolivia, la battaglia per “la supremazia del lavoro umano sul capitale” di Rafael Correa in Ecuador, la rottura, ad opera di Lula e Dilma Rousseff, del patto oligarchico e elitista dei gruppi egemonici che per 500 anni hanno avuto tra le mani il timone del potere in Brasile, hanno privato gli States di un’area strategica che era stata gestita per anni come una sorta di “giardino di casa”. Questo nuovo ordine mondiale, ha presto reso necessario ripensare molte delle teorie geopolitiche fino ad allora adottate ed obbligato le nuove potenze che si stavano affacciando sulla scena globale ad un nuovo approccio. Appariva fin troppo chiaro che una volontà egemonica avrebbe portato a conseguenze più negative che positive per tutti. Era quindi necessario creare una condizione di sviluppo e di bilanciamento tra i vari interessi, pur nei limiti e nelle contraddizioni che l’economia di mercato inevitabilmente presenta. Nonostante ciò, l’imperialismo statunitense prosegue imperterrito per la sua strada, cercando in ogni modo di mantenere la sua posizione di predominio, ormai insostenibile, attraverso una politica estera caratterizzata da pesanti ingerenze negli affari interni non solo degli stati sovrani non assoggettati, ma anche di quelli alleati non totalmente sottomessi.

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Nell’implementare questa politica, gli statunitensi ricorrono all’uso smodato di operazioni di intelligence, al finanziamento di formazioni politiche di ogni sorta (ultranazionalisti xenofobi ed ultraliberisti come in Ucraina, estremisti islamici come in Medio Oriente e Nord Africa, ma anche in Cina, separatismi di varia natura, da quello kosovaro a quello tibetano) o all’intervento militare diretto. La cosiddetta guerra ibrida descritta mirabilmente dai colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui in “Guerra senza limiti”, manuale cinese scritto negli anni 90’, in cui si legge: “Chi voglia vincere le guerre di oggi, o quelle di domani, e tenere la vittoria saldamente in pugno deve “combinare” tutte le risorse belliche a disposizione e servirsene come mezzi per perseguire la guerra…”. In questa loro aggressiva politica, gli States sono affiancati dagli alleati della NATO e da quegli stati che quanto più lontano sono dal concetto di “diritti umani” tanto sventolato, quali l’Arabia Saudita o la Turchia (solo per citarne alcuni). I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Il ricorso al terrorismo islamista, è forse quello più palese. Oggi assistiamo al risultato dell’aggressione alla Libia, un tempo, prima dell’assassinio del colonnello Gheddafi, lo Stato africano con il più alto tenore di vita ed oggi in preda al caos e alla miseria, dilaniato dalle lotte tribali, punto di partenza per migliaia di disperati e sicuro approdo per quegli stessi terroristi che l’Occidente afferma di voler combattere. Si è cercato di creare una situazione simile in Siria, ma in questo caso ci si è trovati di fronte alla resistenza determinata della gran parte della popolazione che si è stretta attorno al proprio Stato, rappresentato dal Presidente Bashar Al-Assad e difeso da un esercito composto da soldati di leva che lottano per la propria terra. Alla base della guerra contro Assad, finanziata da Yankees e sauditi, vi sono chiaramente anche ragioni economiche. Finché Siria, Iraq ed Iran, rimarranno alleati o comunque in ottimi rapporti con la Russia, gli americani non potranno utilizzare le riserve di gas naturale del Qatar per rifornire l’Europa attraverso la Turchia. Un potenziale gasdotto turco-qatariota verrebbe fermato dal “muro” geografico formato da questi tre paesi. Con il finanziamento e il sostegno ai salafiti o ai finti “moderati” delle opposizioni, Turchia e Qatar stanno cercando di frantumare quest’argine in Siria e Iraq e con la guerra allo Yemen (finito sotto l’influenza iraniana) i sauditi cercano di fare lo stesso con Teheran, già impegnata a difendere la Siria e che comunque non può intervenire in Yemen, per non rischiare di trovarsi contro una coalizione di stati sunniti. I ribelli in Siria e in Iraq sono finanziati anche dall’Arabia Saudita, che si sente minacciata dalla crescente influenza iraniana nella regione.

Altra vicenda spinosa è quella Ucraina. In questo caso, al posto dei tagliagole islamici allevati nelle periferie delle capitali europee o nella serra del fondamentalisto impiantata nei Balcani, è stata messa al potere da McCain e Victoria Nuland, su mandato obamiano, una cupola di oligarchi ultraliberisti (molto simili ai liquidatori dell’epoca eltsiniana) che si servono, come manovalanza, di una commistione di militanti “demo-liberali” ed ultranazionalisti, entrambi caratterizzati da un feroce odio russofobo, che li porta, volenti o nolenti, coscienti o meno, tra le braccia dell’imperialismo occidentale. La loro propaganda, partendo da oggettive situazioni di disagio ed ingiustizia sociale effettivamente esistenti in Ucraina dagli anni della perestrojka fino ad oggi, è caratterizzata dall’addossare qualsiasi responsabilità alla Russia. La panacea di ogni male, propagandata da organi di stampa ed Ong, è una svolta decisa verso occidente o una farneticante “terza via” tra Russia e USA che si riduce ad una bassa manovalanza atlantica. Ad arroventare il clima nel paese, ci ha pensato anche l’ineffabile Soros, signore del caos ed acerrimo nemico della Russia. Di lui, gli autori di “Guerra senza limiti” scrissero quanto segue: “[…] Può trattarsi di un analista di sistemi o di un ingegnere software, come anche di un finanziere con un ingente capitale mobile o di uno speculatore di borsa. Potrebbe anche essere un magnate dei mass media che controlla molti tipi di mezzi di comunicazione, un famoso editorialista o il conduttore di un programma televisivo. La sua filosofia di vita è diversa da quella di alcuni terroristi ciechi e disumani, ma spesso è incrollabile e la sua fede, in termini di fanatismo, non è inferiore a quella di Osama Bin Laden. Né gli mancano motivazione o coraggio per ingaggiare una battaglia in caso di necessità. Partendo da questi presupposti, chi può dire che George Soros non sia un terrorista finanziario?”. Un ritratto perfetto di un vampiro che ha dissanguato mezza Europa con le rivolte telecomandate e la destrutturazione delle economie statali per sacrificare agevolmente interi paesi sull’altare dei debiti e dell’usura. L’abbraccio con l’Europa, invocato a gran voce dai manifestanti di piazza Maidan, si è tradotto in un pesante indebitamento dello Stato, senza alcun miglioramento sociale e con una classe politica che, oltre che corrotta ed incapace, si è macchiata della morte di migliaia dei propri cittadini, brutalmente massacrati per l’unica colpa di volersi opporre al governo illegittimo e golpista che oggi ha sede a Kiev.

Di fronte a questa situazione come si deve porre il nostro paese? Quale linea dovrebbe adottare in politica internazionale? Innanzitutto sarebbe necessario alleggerire sempre di più, fino alla sua cessazione totale, qualsiasi forma di influenza statunitense in Italia, fatte salve le “normali” relazioni diplomatiche e commerciali. Ma ci rendiamo conto che, con 113 tra basi ed installazioni militari statunitensi sul nostro suolo, politici, gruppi di potere ed una buona parte della magistratura sensibili ai richiami di Washington, tutto ciò, al momento, è praticamente impossibile. Lo stesso deve essere fatto verso l’ingerenza degli apparati dell’Unione Europea. Detto in parole semplici: bisogna recuperare la nostra sovranità territoriale, politica, energetica, culturale ed alimentare. Nel contempo è necessario intensificare e promuovere l’integrazione dell’Italia con il continente eurasiatico, sua naturale terra di appartenenza. In particolare, ci riferiamo alla sottoscrizione di accordi non solo economici, ma anche politici e militari con gli stati che si contrappongono all’egemonia statunitense, in quanto, come detto in precedenza, la loro linea di limitata o nulla ingerenza negli affari interni dei paesi sovrani è per noi assolutamente vantaggiosa oltre che eticamente corretta. Va promossa un’alleanza internazionale contro il terrorismo, non solo verso le organizzazioni terroriste vere e proprie (ISIS, Al-Qaeda e i loro affiliati per fare un esempio), ma anche contro quegli stati, come Qatar, Kuwait e Arabia Saudita, che lo sostengono anche non direttamente (e si giustificano dicendo che gli emolumenti ai terroristi non provengono da fondi statali, ma da “privati” residenti sul loro territorio, verso i quali naturalmente non prendono alcun provvedimento). Tuttavia perché dei risultati duraturi si possano ottenere, va ripensato l’intero sistema di gestione del potere. Finché le decisioni in termini di sviluppo economico e di gestione degli interessi configgenti resteranno appannaggio di una élite dedita al finanziarismo predatore, scollegata dalle classi lavoratrici e produttive, ossia dall’enormità della popolazione, ben difficilmente si potrà giungere ad un risultato concreto. Finché questa classe dominante sarà lasciata libera di gestire ogni aspetto della politica interna ed internazionale degli stati, godendo dei “profitti” e scaricandone gli effetti negativi sulla grande massa della popolazione (come il gigantesco fenomeno migratorio indotto per creare eserciti industriali di riserva da utilizzare per ricattare i lavoratori e comprimerne i diritti o lo stesso terrorismo made in Cia, figli dell’imperialismo guerrafondaio di marca atlantica) non si otterranno che risultati parziali ed effimeri. Occorre che l’interesse nazionale sia affiancato dall’interesse delle classi popolari, che le decisioni politiche siano prese in funzione dello sviluppo e del benessere della comunità nazionale. Bisogna riaffermare il primato della politica sui comitati d’interesse e d’affari e garantire la supremazia dell’economia di produzione su quella di speculazione. Ci può essere pace solo in uno scenario multipolare caratterizzato dalla presenza di stati sovrani.

Nel frattempo, va sostenuta con forza l’azione politica, diplomatica e militare di Putin contro la holding del terrore. In Siria e nel Donbass si sta combattendo molto più di una semplice guerra.

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Dietro le trincee dei soldati di leva siriani e delle milizie novorusse, vi è una concezione del mondo, della società e della vita che il nichilismo atlantico non è riuscito ad infettare. Tra il fango, la sabbia e la polvere, giovani e meno giovani, stanno difendendo fino all’estremo sacrificio la speranza di un mondo multipolare.