
Parlano lingue antichissime e molto diverse tra loro, ma sono accomunate da un orgoglio duro ed aspro come le rocce del Caucaso. Le popolazioni di Abkhazia e Ossezia del Sud continuano a vivere in una condizione di non riconoscimento internazionale che le condanna, sotto molti aspetti, ad una condizione di invisibilità.
Sui tavoli che contano, vi sono frontiere che valgono meno di altre. Quelle tra Georgia e Abkhazia e quella tra Georgia e Ossezia del Sud, insanguinate da guerre cruente che hanno lasciato sul campo morti e macerie, continuano a passare inosservate anche in quest’altro torrido agosto.
Ossezia del Sud e Abkhazia sono diventati Stati, formalmente parlando, il 26 agosto del 2008, poco più di due settimane dopo il fallimento dell’offensiva militare georgiana contro l’Ossezia del Sud e la sua capitale Tzkhinval, quando l’allora presidente Dmitrij Medvedev ed il premier Vladimir Putin riconobbero a entrambe le repubbliche, che si erano già proclamate indipendenti sedici anni prima, il ruolo di Stati indipendenti e sovrani.
Un riconoscimento che l’Unione Europea e gli Stati Uniti non hanno mai voluto formalizzare, difendendo il principio proprietario della Georgia (a cui furono “regalate da Stalin, divenendo parte integrante della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia) e quello dell’intangibilità delle frontiere.
Il principio dell’autodeterminazione dei popoli, difeso a spada tratta dal grosso della comunità internazionale nel caso del Kosovo, non ha trovato né tutela né applicazione. In base ai parametri della Convenzione di Montevideo, le due Repubbliche avrebbero tutti i diritti per essere repubbliche indipendenti.
Ridurre due Paesi dalla storia antichissima e le loro genti a meri “interessi strategici” della Russia, è un grossolano errore che continuano a commettere in tanti. La Russia, tra l’altro, per ben 16 anni consecutivi prima dei fatti del 2008, non aveva riconosciuto formalmente la sovranità di Ossezia del Sud ed Abkhazia.
La cosiddetta guerra “russo-georgiana” rappresenta un’ulteriore occasione mancata per l’Occidente e l’Unione Europea. A 13 anni di distanza da quei giorni così drammatici, tanti “attori” continuano ostinatamente a portare avanti una politica ciecamente determinata dalla concezione strategica di Washington che continua a vedere nella Russia un nemico da accerchiare.
Il nuovo 26 agosto assomiglierà tanto a quello vecchio del 2008, con quella stessa obsoleta “logica dei blocchi” che ha tolto dignità e voce ad un pezzo di Caucaso.