Il 18 aprile 2019 si terranno in Algeria le prossime elezioni presidenziali. L’attuale presidente ottantunenne, Abdelaziz Bouteflika, ormai gravemente debilitato a causa di un ictus e che governa ininterrottamente dal 1999, ha confermato la sua intenzione di ricandidarsi.
Continuano le manifestazioni di protesta contro il carovita, nonostante il recente incremento del prezzo degli idrocarburi abbia aumentato le entrate fiscali del governo, che ha sospeso l’implementazione delle misure di austerity adottate dal 2017. Ad un fragile quadro politico interno (che vede una debole opposizioni fronteggiare i vari gruppi legati all’esercito) corrisponde un delicato fronte esterno, che vede l’Algeria oggetto dei nuovi flussi migratori trans-sahariani e delle mire dell’ISIS, che sconfitto in Siria ed Iraq vorrebbe sostituire all’Islam tollerante marabuttico quello salafita di origine arabo-saudita.
L’Algeria è il paese più grande dell’Africa ed è da sempre un ponte tra Mediterraneo e Africa sub-sahariana. In esso convivono cultura mediterranea, berbera, araba, ibadita e tuareg. L’Europa rimane un partner d’importanza vitale per Algeri anche per la soluzione della questione libica. Ma gli algerini sono ormai disamorati dalla loro politica: licenziamenti, dimissioni improvvise di alti funzionari ormai non fanno più notizia, la corruzione appare dilagante, e i principali vertici dell’establishment restano i militari. In questo clima di diffusa sfiducia chi scrive ha lasciato alcune memorie e riflessioni su questo grande paese, che deve ora affrontare una nuova pagina della sua lunga e travagliata storia.
L’Algeria condivide ben 2.500 km di confine con il Mali e il Niger e dal 2015 ha speso 20 milioni di dollari per gestire i flussi di rifugiati che abbandonavano i paesi di origine nella regione del Sahel. L’Africa e il riscaldamento globale sono diventati gli emblemi delle disuguaglianze della nostra epoca: sono i paesi ricchi a produrre gran parte dei gas serra, ma è l’Africa – soprattutto quella sub-sahariana, e il poverissimo Sahel – a subirne le conseguenze più gravi, determinando quel processo di desertificazione che poi è una delle principali concause di migrazione verso Occidente.
In Algeria ci sono inoltre forti minoranze etniche che cercano di preservare la propria identità. Circa la metà della popolazione berbera dell’Algeria (6-10 milioni di abitanti) vive in prevalenza nella regione della Cabilia, un’area montuosa ed aspra che pur annoverando un grande patrimonio culturale e naturalistico è quasi completamente ignorata dal turismo e soffre per le condizioni del suo isolamento.
L’eredità di molti algerini riflette sia le influenze berbere che quelle arabe, ma lo Stato algerino ha perseguito e persegue politiche di arabizzazione nell’educazione nazionale e nella politica che sono viste da alcuni berberi come svantaggiose e ingiuste. I gruppi berberi nella regione della Cabilia stanno ancora difendendo i propri diritti linguistici e culturali, e i disordini periodici sono stati alimentati dalla discriminazione e dalla negligenza ufficiali nei loro confronti. La Cabilia è diventata sempre più isolata economicamente, anche se i berberi stanno lottando da molti anni per ottenere un maggiore riconoscimento della propria identità e maggiori diritti sempre nell’ambito di uno stato algerino più “democratico e pluralista”. Le superpotenze occidentali stanno ancora oggi cercando di destabilizzare l’Algeria proprio facendo leva sulle istanze autonomistiche dei berberi della Cabilia, che rischiano di fare la stessa fine dei Hmong del Vietnam e del Laos.
L’Algeria, il paese più esteso di tutta l’Africa, appare ancora oggi un enigma, un mistero culturale e politico. Assurge raramente agli onori delle cronache, pur essendo un paese chiave, una vera e propria cerniera territoriale tra mondo occidentale, Mediterraneo e Maghreb, un territorio strategico per i rifornimenti di gas e petrolio e per il loro sfruttamento. Questo mio personale diario algerino è fatto di memorie e di suggestioni, di dolori e fascinazioni, ripercorrendo territori fertili, rovine, città e deserti.
Non ci sono eventi sensazionali, non ci sono notizie da sbattere in prima pagina ma solo una paziente ricerca sotto traccia: la storia dell’Algeria spesso sprofonda nelle viscere dei deserti o si nasconde tra montagne inaccessibili e tra le dune costiere dei suoi litorali. Il mio approccio è sempre lo stesso: parto dalla convinzione che il presente non derivi inevitabilmente dal passato, ma che il passato non cessa del tutto di essere presente.
L’odierna geopolitica africana resta frammentata tra centri di potere e d’influenza straniera, e questo rende alquanto difficile la creazione di poli sub-regionali. Il sogno di un “rinascimento africano” non è mai tramontato, ma i leader che l’hanno incarnato (Gheddafi, Wade e Mandela tra gli altri) non ci sono più. Ed è così che nelle varie Afriche si disegnano svariati destini. L’Africa del Nord resta tuttavia una delle priorità strategiche della Francia. I tre grandi paesi latini d’Europa affacciati al Mediterraneo raccolgono 174 milioni di abitanti, mentre i tre stati del Maghreb ne contano circa 100. In un periodo in cui l’Unione Europea è spaccata tra logiche continentali e mediterranee, la pista latino – maghrebina resta comunque prioritaria, anche se nessuno ne parla mai.
Alessandro Pellegatta