
Si è spento nel sonno a 98 anni Carlo Vichi, fondatore della Mivar, la più grande azienda italiana di televisori. Nato a Montieri, in provincia di Grosseto, era cresciuto e vissuto sempre nel Milanese, dove si era trasferito da bambino. Aveva costruito la sua prima radio in un piccolo laboratorio ricavato a casa, per poi passare alle tv. La sua prima creatura, nata nel dopoguerra, si chiamava Vichi Apparecchi Radio (Var), specializzata nella costruzione di radio a valvole. Successivamente venne alla luce la sua prediletta: la Mivar.
Vichi è stato molto più di un ordinario imprenditore di successo. E’ stato innanzitutto un visionario dalla schiena dritta. Un galantuomo figlio di un metronotte, abituato alla fatica e al sacrificio. Ha passato la vita con i suoi operai, in mezzo a loro, fisicamente. Nei decenni d’oro, nel suo stabilimento pranzavano e cenavano fino a mille operai. Il fondatore della Mivar li conosceva uno ad uno e li considerava persone di famiglia.
“In fabbrica si dice sissignore, come nell’Esercito, nessuno può venire a comandare in casa mia”, diceva. Ma poi era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, come testimoniano queste parole pronunciate qualche anno fa da uno dei suoi storici “ragazzi” dello stabilimento di via Dante: “Ho disegnato televisori per venticinque anni. Anche se il vero designer è il signor Vichi, io la mano. È rimasto sempre in trincea, al suo tavolo con le rotelle in mezzo a noi, la sua morsa, le sue idee, il suo compasso. Lavorando anche di sabato e domenica”.
La sua Mivar era progressivamente cresciuta, attraversando il boom degli Anni ’60, ’70 e ’80, fino ad arrivare ad avere quasi mille dipendenti, prima dell’inesorabile discesa dovuta alla lotta impari con i colossi asiatici sul “ring” del mercato globale. Le sue tv a tubo catodico avevano invaso il mercato italiano tanto che lo storico stabilimento di Abbiategrasso era riuscito a produrne in un anno oltre 917 mila.
Il suo ultimo sogno, purtroppo infranto, è stato il nuovo stabilimento di due piani, 120 mila metri quadri totali, con parcheggi, una grande mensa ed presidio medico. Negli ultimi anni di vita produttiva, la Mivar aveva provato a rilanciarsi, senza fortuna, con i televisori smart con sistema operativo Android.
L’azienda aveva dismesso completamente la produzione nel 2015. Il commiato dell’ultranovantenne Vichi era stato al tempo stesso battagliero e malinconico, romantico e rivoluzionario: “Se una società di provata serietà accetta di fare televisori in Italia, io gli offro la mia nuova fabbrica, pronta e mai usata, gratis. Non voglio un centesimo. Ma chiedo che assuma mille e duecento italiani, abbiatensi, milanesi. Questo chiedo. Veder sorridere di nuovo la mia gente”.