In questi giorni così difficili per l’emergenza Coronavirus è venuto a mancare uno dei maestri del giornalismo sportivo italiano, Gianni Mura, che ci ha detto addio ieri, dopo essere stato ricoverato all’ospedale di Senigallia (provincia di Ancona) in seguito ad un attacco cardiaco all’età di settantaquattro anni. Per il mondo della carta stampata italiana è un duro colpo perché Mura è stato uno di quegli ultimi esponenti di quella vecchia scuola di giornalismo dalla schiena sempre dritta, protesa sempre alla ricerca della veritas e di significati più profondi che sanno dare il mondo dello sport magari con un pizzico di ironia e di spirito controcorrente che mai fanno male.
Nato a Milano da padre sardo e madre milanese, Mura ha avuto la fortuna di passare direttamente dal Liceo Classico Manzoni alla sede della Gazzetta dello Sport guidata allora da Gualtiero Zanetti, correva l’anno 1964. L’anno dopo conoscerà quello che sarà il suo grande maestro: Gianni Brera, un personaggio che gli cambierà letteralmente la vita e che Mura considererà sempre come il suo grande maestro di giornalismo; dal grande giornalista pavese infatti coglie, oltre che la passione per il calcio e il ciclismo anche quella per la buona cucina. Oltre che articoli di calcio e ciclismo infatti Mura curerà per anni anche rubriche enogastronomiche su Il Venerdì di Repubblica.
Dal 1976 infatti Mura inizia a collaborare con il nuovo quotidiano La Repubblica e dal 1983 diventa membro fisso al fianco del suo grande maestro Brera. Nel 1992 quando il suo grande maestro muore in un incidente stradale scrive a braccio un commovente coccodrillo: da quel giorno infatti Mura si definirà il primo dei “Senzabrera” quasi a testimoniare un legame indissolubile, quasi di sangue, con la sua guida spirituale.
Il grande merito di Mura è stato quello di non aver seguito in maniera pedissequa lo stile del suo grande maestro riuscendo a ritagliarsi un’impronta giornalista tutta sua. Brera infatti aveva una concezione molto anatomica e quasi scientifica dello sport (mutuata probabilmente dall’atletica leggera, il primo sport di cui Brera iniziò ad occuparsi negli Anni Quaranta sulle colonne de La Gazzetta dello Sport) con frequenti escursioni nella storia, nella sociologia e nell’etnografia. Mura invece ha sempre mantenuto uno stile più umanista volto ad evidenziare sì l’aspetto tecnico ma inserendolo in una cornice più umana e alla portata del lettore medio. Da Brera Mura ha comunque ha comunque mutuato lo stile arguto e sempre sincero, talvolta controcorrente ed irriverente ma mai banale.
Negli ultimi anni, nonostante non si riconoscesse granché nel calcio e nel ciclismo attuali, il giornalista milanese ha sempre cercato di raccontare quel poco di umano che resta in questi due sport che ormai sono diventati pure e semplici forme di show business. Celebri in questo merito le forti prese di posizione di Mura contro José Mourinho, le sue filippiche contro il tecnico portoghese ricordavano molto quelle del suo maestro Brera nei confronti di Arrigo Sacchi.
Ciò che è sicuro è che la perdita di Gianni Mura sarà enorme per tutto il settore del giornalismo sportivo: ormai sono rimaste davvero poche le penne del suo calibro in un mondo dove ormai tutto si è appiattito sul tifo urlato da stadio o sul racconto puramente agiografico, con tanto di corredo di articoletti strappa-like. Siamo convinti che da lassù Mura non sentirà la mancanza di molti suoi attuali colleghi e che quaggiù noi comuni terrestri appassionati di calcio o ciclismo saremo sempre di più “Senzamura”. Che ti sia lieve la terra Gianni!