
Dal controllo di tacco contro l’Inter al sensazionale e patetico addio al calcio con il Verona. Una carriera condita da cavolate e bizze con qualche giocata nel mezzo. In diciotto anni ha fatto veramente poco, troppo poco per essere considerato un campione, per essere un rimpianto. Un personaggio goffo e troppo spesso “costruito male”.
Colpa soprattutto di quella stampa banalista, del giornalista “pardiano” che ne esalta la figura senza un motivo valido, mettendo l’interesse personale davanti a tutto, anche alla professionalità. Un tiki-taka di inspiegabili e inspiegati comportamenti che non hanno spento i riflettori intorno a lui, grazie al sistema calcio del 2000 dove il talento è ricercato più nei procuratori che nei calciatori.
Beppe Bozzo, agente di primissimo livello, ha trascinato Cassano, lo ha sopportato e supportato, se ne è arricchito, perché questo è il suo mestiere, a suon di contratti e chissà quante volte lo ha bonariamente maledetto per quelle bizze, quelle cassanate che ne hanno frenato (forse) la carriera. Va via dalla sua Bari per andare a Roma dove lo si ricorda per qualche prestazione proporzionale al costo del cartellino, una bandierina rotta, le bizze con chiunque, anche con Totti, le corna a Rosetti. Via da lì passa al Real Madrid e ci vuole “culo” perché quando arriva al Bernabeu ha già la fama del “Cassano” e pure lì, a parte riscuotere milioni e mangiare cornetti, fa poco altro. Racconta in un’autobiografia fatta uscire a 26 anni, il che la dice lunga sulla presunzione che ha, di aver avuto circa 600 donne e sarebbe curioso capire come le ha quantificate. Forse ha le fatture da parte.
Ma, come detto, questo è il calcio dei procuratori e malgrado i disastri tra Roma e Madrid, l’Avvocato Bozzo lo porta a Genova, sponda Samp dove sembra finalmente rinascere… Anzi nascere perché di fatto ha sin qui combinato poco e niente. Grande intesa col compagno di reparto Giampaolo Pazzini, sfiora la Coppa Italia e dopo tre anni di amore decide che forse è troppo e combina la già ennesima pagliacciata litigando con Garrone che portandolo a Genova lo aveva salvato dal baratro.
Passa al Milan dove resta una stagione soltanto per poi venire inserito nella trattativa che porta Pazzini dall’Inter all’altra parte dei navigli. Il rapporto con Stramaccioni sembra buono, il barese gioca spesso al fianco di Milito ma come al solito decide che è giunta l’ora di fare il clown e al termine di un allenamento apostrofa sarcasticamente il proprio allenatore. Stagione finita anticipatamente e passaggio al Parma in estate.
Un anno e mezzo di prestazioni all’altezza delle speranze riposte in lui ma a gennaio della seconda stagione è il primo a togliere le tende quando il Parma è ormai avviato verso il viale del fallimento. Forse stavolta può aver fatto la cosa giusta, o forse no. Dopo quindici anni bizzosi poteva tentare per una volta di uscire da signore e tirare fino a fine stagione al fianco di quel Mister, Roberto Donadoni, che gli ha voluto bene veramente. Il ritorno a Genova a 33 anni, dopo 5 mesi di inattività, parte piano e prosegue senza decollare. La stagione successiva non rientra più nei piani societari e il contratto in essere viene sciolto soltanto a gennaio dopo mesi di allenamenti con la Primavera.
Da allora fino a al 10 luglio scorso si susseguono voci e silenzi, fino a quando il Verona del Presidente Setti trova il coraggio di puntare su di lui e regalare al Bentegodi una coppia d’attacco di tutto rispetto: Pazzini-Cassano. Due settimane di tentennamenti e colpi di scena, smette, anzi no, anzi sì. Il 24 luglio decide di lasciare il Verona e di dire addio al calcio.
Ha deciso di smettere nella stessa estate di Francesco Totti, anche se Ferrero ha dichiarato che continuerà a giocare. Con quale testa, con quale credibilità non si può sapere ma al momento è un’ipotesi da scartare. Ha siglato 113 reti in Serie A, 10 in Nazionale dove anche lì ha fatto danni, vedi litigata con Gentile.
Idolatrato senza motivo, ha cercato di fare il George Best, senza successo, perché non è Best, né mediaticamente, né calcisticamente. È un ragazzo di periferia arricchito, che ha vissuto il calcio credendosi onnipotente perché nonostante le cassanate ha sempre riscosso, profumatamente, troppo per quello che ha fatto vedere. Figlio del calcio business, potrebbe ritornare… speriamo di no! In molti vorrebbero rivederlo a Bari ma certamente riuscirebbe a far casino pure lì.
Ha smesso come lo hanno fatto in tanti e ce ne faremo una ragione. Poteva risparmiarsi l’ultima firma e la sceneggiata messa in piedi dalla moglie. Dovrà farsene una ragione pure il Verona che passerà un’intera stagione con il fantasma di Cassano perché siamo certi che la stampa, troppo spesso mediocre e banale, collegherà il barese alla stagione degli scaligeri, nel bene e nel male, i “chissà se” si sprecheranno.
Poca testa per giocare, non il phisique du role per fare il divo bello e dannato come voleva apparire specialmente nei primi anni di carriera.
“Se penso quello che dico”…. magari l’avesse fatto ogni tanto! È partito accanto a Enyinnaya, finirà come lui: lo ricorderemo ogni tanto, stampa pardiana permettendo.