In un Partito Democratico dilaniato, da ben prima del famoso 4 marzo 2018 che ufficialmente ne ha spalancato i cancelli del “viale del tramonto”, da numerose forze centrifughe e centripete che lo stanno conducendo allo sfinimento e allo sfaldamento, la notizia dei guai giudiziari riguardanti Mario Oliverio, governatore della Calabria, proprio non ci voleva.
L’accusata imputata ad Oliverio, campione del PD calabrese, è quella di abuso d’ufficio, ed il gip distrettuale di Catanzaro ieri mattina gli ha imposto, dopo la visita d’ufficio degli uomini della Guardia di Finanza, l’obbligo di dimora nel suo comune di residenza, San Giovanni in Fiore.
Secondo La Stampa, “giornale amico”, il primo quotidiano a diffondere la notizia poi rapidamente rilanciata anche da tutte le altre testate italiane (seppur con molta cautela: l’inchiesta a carico di Salvini per la nave Diciotti era stata declamata con molta più enfasi, e lo stesso si può dire per lo “scandalo” del terreno della famiglia Di Maio, e dell’azienda del padre), l’inchiesta vedrebbe il coinvolgimento anche di altre 15 persone, con addirittura l’obbligo del carcere per l’imprenditore Giorgio Barbieri, ritenuto contiguo al clan Muto di Cetraro, Cosenza. Altre sei persone sono finite ai domiciliari mentre a due è toccato l’obbligo di dimora: oltre al governatore, anche l’ex sindaco di Pedace, nel cosentino, Marco Oliverio (che tuttavia non ha nessun rapporto di parentela col governatore della Regione).
Al momento, le indagini della Guardia di Finanza e della DDA di Catanzaro riguardano gli appalti per l’ammodernamento dell’aviosuperficie di Scalea, a Cosenza, e degli impianti sciistici di Lorica, nella Sila, oltre che la successiva fase d’erogazione dei finanziamenti pubblici. L’operazione condotta dagli inquirenti, dal nome “Lande Desolate”, avrebbe permesso di ricostruire già da ora “plurime violazioni ed irregolarità nella gestione e conduzione” degli appalti.
Oliverio ha iniziato subito, per protesta, lo sciopero della fame, dichiarandosi sicuro che da tutta questa vicenda uscirà pulito e che lotterà con tutte le sue energe affinché “si affermi la verità”. Tuttavia, il procuratore capo Gratteri s’è detto subito certo dei risultati delle indagini sinora svolte, aggiungendo poi amaramente: “Parlo con la tristezza nel cuore perché vedo questo rito che continuamente si verifica in Calabria: dover registrare quest’ennesima incompiuta, questo fallimento della ricostruzione della Calabria, che continua a essere, purtroppo ahinoi, l’Africa del Nord”.
Secondo un altro “giornale amico” del PD, la Repubblica, le grandi opere del cosentino sarebbero divenute terreno d’intesa per dirigenti e burocrati regionali corrotti, politici spregiudicati, imprenditori dei clan ‘ndranghetisti. Lo scopo dei lavori, secondo un tipico copione, non sarebbe stato quello di fornire dei servizi ai cittadini, ma un guadagno ai soliti amici. Così, grazie alla complicità della burocrazia regionale e dei suoi dirigenti, le ditte del gruppo di Giorgio Barbieri avrebbero guadagnato milioni grazie ai finanziamenti pubblici. Naturalmente, in cambio del favore, i dirigenti e i funzionari che hanno coadiuvato questo sistema di “furto al cittadino” sarebbero stati lautamente ricompensati, in vari modi, tutti tangibili.
Secondo i pubblici ministeri, Oliverio sarebbe intervenuto per fronteggiare le perplessità sorte negli uffici regionali competenti in merito alla mancata esecuzione dei lavori appaltati alle imprese di Barbieri, che come confermato dal DDA è indubbiamente legato alla ‘ndrangheta, in particolare al clan Muto. In base alla descrizione degli inquirenti, Giorgio Ottavio Barbieri, imprenditore romano di 42 anni, sarebbe “un soggetto senza scrupoli, alla guida di un’impresa priva di adeguate capacità tecniche e finanziarie per la simultanea e positiva realizzazione di lavori di particolare complessità (la costruzione e la gestione dell’aviosuperficie di Scalea, del comprensorio sciistico di Lorica e del parcheggio cittadino di piazza Bilotti a Cosenza), aduso a colludere con altre imprese, con i locali potentati mafiosi e con i pubblici funzionari”. Lo scrivono i magistrati della Dda di Catanzaro che portano ad esempio l’aviosuperficie di Scalea e la “cattiva e ritardata esecuzione dei lavori”.
In particolare, secondo l’accusa, “sin dall’avvio del cantiere di Scalea, la ditta Barbieri Costruzioni, concessionaria dell’opera, versando in grave crisi di liquidità oltre che di adeguate competenze tecniche”, avrebbe trafficato e fatto pressioni per ottenere “l’illecito affidamento di ulteriori lavori a totale carico dell’ente pubblico, sì da procurarsi la provvista economica indispensabile per portare avanti, almeno per po’, l’esecuzione dei lotti di lavori obbligatori previsti dalla concessione”.
Al momento si parla di un milione di euro ottenuto da Barbieri per i lavori complementari, sebbene la ditta fosse già in grave ritardo con l’esecuzione di quelli principali, a tacere poi del fatto che avesse già chiesto 2,5 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto di climatizzazione dentro l’aerostazione, per il rifacimento dei suoi infissi interni ed esterni, oltre che per la posa del cavidotto atto a collegare l’autostazione alla rete di fibra ottica presente lungo la Strada Statale 18.
Per la Calabria, che esce da una lunga stagione d’instabilità politica, con frequenti cambi di governatori e mancanza di continuità nella gestione amministrativa e del territorio, la vicenda giudiziaria di Oliverio è già di per sé una pessima notizia: continua, praticamente, a piovere sul bagnato. Ma anche per il PD tale fatto si traduce in una nuova crepa che ne smaglia la già indebolita e fiaccata struttura interna, non soltanto regionale ma proprio nazionale.
Al Nord, dove alle Europee del 2014 il PD aveva “sfondato”, conquistando con l’arrivo di Renzi postazioni fino a quel momento insperate per il centrosinistra tradizionale, approfittando anche dell’ovvia debolezza che in quel momento caratterizza il centrodestra diviso e ridimensionato, ormai non c’è più partita e tutto quel che era stato guadagnato è stato perso o è sul punto d’esser perso, con gli interessi. Al Sud, del resto, la situazione non sembra più rosea. Lo scontro interno al partito fra Emiliano ed il resto della Segreteria ha portato, infatti, allo scollamento della Puglia, mentre in generale tutti gli altri “uomini forti” del Mezzogiorno puntano ormai a rinchiudersi nel proprio fortino (in primo luogo De Luca in Campania, anche in quel caso con nuove e non certamente gradite vicende giudiziarie).
Il Congresso incombe, anche se ancora non si sa bene cosa sarà e cosa produrrà, e persino gli schieramenti fra i vari concorrenti alla Segreteria sembrano tutt’altro che delineati e definiti. Al contrario, essi appaiono fin troppo mobili ed asimmetrici, con in più un “convitato di pietra”, Matteo Renzi, che continua di fatto a tenere in ostaggio il partito non avendo mai del tutto veramente chiarito se intenda restare al suo interno o piuttosto uscirne. Anche in questo caso, pare che Renzi, preoccupato dall’idea di ritrovarsi ad uscire dal PD da solo, non venendo seguito dai renziani che nel frattempo cercano nuovi referenti e cavalli vincenti su cui puntare, e cercando quindi di salvare il salvabile, voglia convergere su Martina, che d’altronde era una sua creatura. Ma pure in questo caso, la situazione è a dir poco nebulosa e lontano dal guadagnare un facile e rapido chiarimento.
Alla luce di tutti questi fatti, pare piuttosto difficile immaginarsi che, qualora dovesse ipoteticamente cadere l’attuale esecutivo, come paventato o desiderato da molti sulla stampa ufficiale, il PD e per analoghe ragioni anche Forza Italia possano davvero “riciclarsi” o risultare spendibili, in modo affidabile, per una nuova avventura come forze di governo, sebbene unite e cementate insieme da una buona guarnigione di transfughi usciti dai 5 Stelle. Del resto anche quest’ultimi, proprio a causa di quell’opportunismo che facilmente li ha condotti o li condurrà al “salto della staccionata”, non saranno poi così disponibili a compromettersi con avventure che potrebbero precocemente concludere o anche soltanto comprometterne la carriera. L’avventurismo politico può anche accecare e portare a risultati persino controprudenti per le proprie fortune personali, e la storia (non solo) del nostro Paese ben ce lo insegna. Ma, in generale, la politica e la durata di un governo non sono un semplice giocherellare coi pallottolieri.