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Ancora guai con la Guardia di Finanza per un colosso statunitense. Questa volta tocca ad Amazon, gigante dell’e-commerce. Nel quinquennio fino al 2014, su un giro di affari di 2,5 miliardi di euro, la multinazionale di Seattle, che come sede legale fino al 2015 aveva il Lussemburgo, è accusata di aver evaso tasse in Italia per circa 130 milioni. Un anno fa i pm milanesi del dipartimento contro i reati societari, guidato da Francesco Greco, hanno iscritto nel registro degli indagati cinque manager europei di Amazon con l’accusa di omessa dichiarazione dei redditi.

Proprio ieri sera il gruppo ha comunicato i dati trimestrali. Il primo trimestre del 2017 si è chiuso con 724 milioni di dollari di utili (+ 41% rispetto ai 513 milioni di dollari dello stesso periodo del 2016) e ricavi in aumento del 23% a 35,7 miliardi.

Lo scorso anno, nel mese di febbraio, Diego Piacentini, già vicepresidente di Amazon, è stato nominato dal governo di Matteo Renzi commissario per il digitale e l’innovazione. Un ruolo che ricopre anche con il governo del premier Paolo Gentiloni, a titolo gratuito. Per consentirgli di occupare la poltrona, è stata necessaria una riforma del Codice dell’amministrazione digitale per aggirare l’ostacolo del conflitto d’interessi. Piacentini è attualmente in aspettativa dal lavoro.

Amazon ha respinto le accuse al mittente, diffondendo una nota in cui sostiene di “pagare tutte le imposte che sono dovute in ogni Paese in cui opera”.

 “Le imposte sulle società, si legge ancora nel comunicato, sono basate sugli utili, non sui ricavi, e i nostri utili sono rimasti bassi a seguito degli ingenti investimenti e del fatto che il business retail è altamente competitivo e offre margini bassi. Abbiamo investito in Italia più di 800 milioni di euro dal 2010 e attualmente abbiamo una forza lavoro a tempo indeterminato di oltre 2.000 dipendenti”.

Ernesto Ferrante
Giornalista professionista, editorialista, appassionato di geopolitica