L’uccisione dell’ambasciatore russo Andrej Karlov in Turchia è stata vista come uno shock dai russi, soprattutto se si considera che essa ha avuto luogo sullo sfondo di un riavvicinamento tra la Russia e la Turchia. Questa estate, infatti, la Russia aveva sospeso le sanzioni anti-turche che erano state imposte in seguito all’abbattimento di un aereo russo da parte della Turchia, ed aveva teso una mano al presidente Recep Tayyp Erdogan in seguito al tentato Colpo di Stato.

Gli eventi successivi avevano dimostrato che la Russia aveva tratto grandi benefici dalla riconciliazione. Era infatti riuscita in gran parte a neutralizzare le azioni della Turchia volte a rovesciare il legittimo presidente della Siria, Bashar al-Assad.

La Russia è stata anche in grado di realizzare il progetto per la costruzione del gasdotto Turkish Stream, il secondo ramo del quale verrà incontro alle esigenze dei Paesi dell’Europa meridionale. La decisione sulla costruzione del Turkish Stream è stata approvata all’inizio di dicembre da parte del parlamento turco.

Con questo scenario positivo a fare da sfondo, è improvvisamente avvenuta l’uccisione dell’ambasciatore russo. Questo evento interromperebbe la marcia della Russia nel Medio Oriente.

Oltre alle dichiarazioni del Ministero degli Esteri, in Russia circolano diversi commenti e vari punti di vista sulla situazione. Il punto di vista ufficiale è che l’omicidio fosse una provocazione al fine di smantellare la neo-alleanza tra la Russia e la Turchia. Infatti, anche se i due Paesi si sono riconciliati, i russi per la maggior parte non si fidano dei turchi, ricordando le 12 guerre russo-turche del passato. Tra i sostenitori di questa teoria vi è anche il famoso politico nazionalista dell’opposizione Eduard Limonov, il quale ha affermato che l’ambasciatore russo è stato assassinato con l’acquiescenza delle autorità turche: in un Paese in cui infuria la guerra civile (il movimento di liberazione curdo contro il governo nazionalista turco), non sarebbe stata fornita sufficiente protezione all’ambasciatore.

Ai primi di dicembre, ad Istanbul si era tenuta una protesta, durata un paio di giorni, nei pressi del Consolato Generale russo, in cui alcuni studenti turchi avevano protestato contro le azioni della Russia ad Aleppo. Sembrerebbe infatti che essi avessero compreso che la Russia aveva neutralizzato le azioni turche in Siria. Infatti, tra gli ufficiali stranieri di alcuni Paesi NATO, che sarebbero stati catturati dalle truppe siriane nel campo dei combattenti islamici, insieme a militari statunitensi, tedeschi e di altri Paesi, vi sarebbero stati anche 62 ufficiali turchi. Si tratterebbe di istruttori militari ed ufficiali per la comunicazione tra gli islamisti e la coalizione occidentale.

Alcuni commentatori russi hanno notato che l’assassino di Andrej Karlov non era un comune terrorista, ma un ufficiale delle forze speciali di polizia, che in 8 casi aveva fatto parte della scorta di protezione del presidente Erdogan. Si tratterebbe dunque dell’élite della polizia. Il fatto che un membro di questa élite fosse l’assassino dell’ambasciatore russo, ha portato i russi a formulare due teorie opposte:

1. Erdogan non avrebbe alcun controllo sulle forze di sicurezza (il governo turco aveva accusato il predicatore turco dell’opposizione, Gulen, che vive negli Stati Uniti, dell’assassinio dell’ambasciatore, lasciando intendere che dietro la manovra vi fossero gli USA).

2. Erdogan sarebbe andato incontro ai nazionalisti turchi, sacrificando così i rapporti con la Russia, per mostrare ai nazionalisti di essere consapevole della situazione dei fratelli turco-siriani ad Aleppo.

Il 22 dicembre si sono tenuti a Mosca i funerali dell’ambasciatore. Nel frattempo, una squadra investigativa russa è partita per la Turchia per indagare sull’omicidio. In ogni caso, i rapporti russo-turchi hanno subìto gravi danni, ed i nazionalisti russi sono sempre più dell’idea che non ci si può fidare dei turchi.

Silvia Vittoria Missotti

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Reporter di politica russa interna ed estera. Vive in Russia dal 2014.