“Le riforme della nuova era” è il titolo dell’ultimo numero di “Scenari Internazionali. Rivista di Affari Globali”, fondata e diretta da Andrea Fais. Al direttore chiediamo subito: perché un nuovo numero sulla Cina, dopo quelli già pubblicati in passato? E, soprattutto, perché quest’attenzione rivolta alle grandi riforme portate avanti dall’attuale presidente cinese Xi Jinping? Quali potrebbero essere il loro impatto sugli affari e sulle vicende mondiali, oltre che ovviamente cinesi?
Le riforme della nuova era è il nono numero di Scenari Internazionali, ed il terzo sulla Cina. In pratica, un terzo dei nostri numeri cartacei totali ha fin’ora riguardato il Paese asiatico. Sebbene Scenari Internazionali mantenga un’apertura sul mondo a 360 gradi, riserviamo tuttavia un occhio di riguardo alle economie emergenti, grandi e piccole, allo scopo di colmare un vuoto presente nell’informazione italiana, spesso viziata da pregiudizi o timori infondati. Anche il nostro è ovviamente un punto di vista europeo ed occidentale, ma aperto alla condivisione. Quando realizziamo un’inchiesta non facciamo mai un semplice report, ma ci “immergiamo” all’interno di un Paese o di una regione per comprenderne i rispettivi punti di vista, cercando poi di “riaffiorare” in superficie con una nuova ricchezza di informazioni, dati e sensibilità.
Questa pubblicazione prosegue sulla scia degli altri due numeri dedicati alla Cina: il primo, col quale debuttammo nell’autunno 2014, cominciò a parlare di “Nuova Via della Seta” quando quasi tutti in Italia ancora ignoravano o marginalizzavano l’argomento; il secondo, uscito nel giugno del 2016, si era invece concentrato sul 13° Piano quinquennale che, tra le altre cose, ha sistematizzato la riforma strutturale dell’offerta, incentrata sulla riduzione fiscale e sulla semplificazione burocratica a vantaggio di decine di milioni di piccole e medie imprese, in particolare per incentivarne l’upgrade tecnologico. Si tratta di un passaggio fondamentale nel quadro economico cinese, che vede il Paese passare da un modello di crescita basato sull’alta intensità di manodopera, trainato dall’export, ad un modello basato sui servizi e sull’innovazione, trainato dai consumi. Questo passaggio chiarisce anche la fase di nuova normalità cominciata oltre tre anni fa in Cina. Chi oggi si stupisce dei recenti dati sulla crescita del Paese nel 2017 (+6,9%), in risalita rispetto agli anni precedenti, evidentemente non aveva ben compreso le decisioni della leadership e le dinamiche della trasformazione industriale in atto in Cina.
Lotta alla povertà, tutela dell’ambiente, governance della globalizzazione così come del web, senza dimenticare la nuova visione dei rapporti internazionali introdotta proprio dalla Cina, e i cui frutti sono maggiormente rappresentati dalla Nuova Via della Seta: come potremmo riassumere tutto questo? Quale può essere il collegamento con le riforme di Xi Jinping?
L’iniziativa Belt and Road, finalizzata alla ricostruzione in chiave moderna delle antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta, è stata ufficialmente lanciata nell’autunno del 2013. Non a caso fu introdotta da un discorso che Xi Jinping, da pochi mesi nominato presidente, tenne all’Università Nazarbayev di Astana, in Kazakhstan. Si tratta di un piano estremamente ambizioso, che modificherà radicalmente la prospettiva delle relazioni internazionali, riportando l’Asia al centro dell’economia mondiale, come è stato per molti secoli in passato.
Chiaramente, il nuovo dinamismo della Cina, del Subcontinente indiano, dell’ASEAN e delle altre economie emergenti asiatiche guarda anche all’Europa dove, malgrado le crisi e i fenomeni di instabilità, si concentrano ancora i risultati di almeno tre secoli di costituzionalismo, sviluppo economico, scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. Si tratta dunque di una grande opportunità di rilancio anche per l’Italia, non soltanto in materia di commercio ed investimenti ma anche per quanto riguarda la logistica e il turismo. La Cina non ha mai nascosto il suo interesse ad investire sui porti di Venezia e Trieste, inquadrati come potenziali snodi intermodali tra la Via della Seta marittima, proveniente dal Mar Rosso via Bab el Mandeb-Suez-Pireo, e quella terrestre, proveniente da Rotterdam via Istanbul-Mosca-Duisburg.
Le riforme indicate da Xi Jinping stanno rendendo e renderanno la Cina sempre più semplice, più trasparente, più orientata al mercato, più aperta agli investimenti esteri, più innovativa, più efficiente e più green, venendo incontro a tutta una serie di requisiti ritenuti indispensabili per attuare i propositi indicati nell’Agenda Strategica 2020 per la Cooperazione UE-Cina. Al contempo, tuttavia, Bruxelles dovrà cambiare atteggiamento, mettendo da parte quella saccenza che talvolta la rende insopportabile anche agli occhi di molti cittadini europei.
Quali sono, a suo giudizio, le aree mondiali in cui la Cina di Xi Jinping sta ottenendo i risultati più soddisfacenti, per ambo le parti? Certamente, l’Africa è il Continente dove l’impegno cinese, in questi anni, è risultato più massiccio o quantomeno più visibile, ma sappiamo benissimo che Pechino vuole coltivare un rapporto proficuo col mondo intero. Da questo punto di vista, cosa possiamo dire dei rapporti fra la Cina e l’Europa, considerando anche certi recenti dissapori come quello sulla negazione del riconoscimento dello status di economia di mercato?
Come dicevo prima, Bruxelles dovrà cambiare atteggiamento. Uno degli ostacoli principali è proprio questo. Alla fine del 2016, stando ai termini dell’accordo-quadro del 2001, l’UE avrebbe dovuto riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato, come hanno già fatto oltre 80 Paesi membri del WTO. Alla luce delle riforme in atto, non c’è più alcuna ragione di negare questo riconoscimento alla Cina per timori di concorrenza sleale, legati ad un immaginario di quindici o venti anni fa. Lo scorso anno, il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani accusò addirittura la Cina di condurre una politica colonialista in Africa, provocando naturalmente la replica piccata di Pechino. Pochi giorni fa il Commissario Günther Oettinger ha puntato il dito contro la Cina per il blocco all’importazione di rifiuti plastici europei, misura che rientra nella nuova strategia ambientale di Pechino, a seguito della firma degli Accordi di Parigi.
Questo doppio standard da parte dell’Europa finirà col ridurre ulteriormente una credibilità internazionale già ai minimi storici a seguito dello scellerato intervento militare in Libia del 2011 a fianco degli Stati Uniti di Obama, della Brexit, della pessima gestione dei flussi migratori, e delle azioni terroristiche in Francia, Belgio e Germania. Il Vecchio Continente sta recuperando qualche punto soltanto grazie ad Emmanuel Macron, apprezzato per aver rilanciato alcuni dossier di politica estera europea, evidenziandone realisticamente i limiti.
A Bruxelles c’è anche chi rimprovera alla Cina di condurre affari bilaterali separati coi singoli membri, scavalcando l’Unione nel suo insieme. Eppure, come si può pretendere che, per portare avanti la sua politica estera in Europa, Pechino debba attendere il completamento della definizione della complessa ripartizione delle competenze tra Commissione, Consiglio UE (legato alle indicazioni del Consiglio Europeo) e Parlamento Europeo da un lato, e Stati e regioni dall’altro? Le relazioni UE-Cina sono fondamentali ma se l’Europa continuerà a seguire certi orientamenti, è bene che l’Italia non perda tempo e conduca autorevolmente accordi separati e reciprocamente vantaggiosi con la Cina. Il nostro nuovo governo, qualunque sarà il suo colore politico, dovrà mettere ai primi posti della sua agenda di politica estera questo tema fondamentale.
Entrando più nello specifico, qual è l’attuale stato di salute dei rapporti fra Pechino e il nostro paese? Proprio in questi giorni una delegazione cinese s’è recata a Venezia, senza che un solo ministro italiano si sia presentato per accoglierla ed incontrarla. Perché è avvenuto questo fatto che, intuibilmente, ha un risvolto politico e diplomatico così poco commendevole? Secondo lei, tale episodio come può essere stato vissuto dalle autorità cinesi e dall’importante comunità cinese in Italia? E ancora, che impatto potrà avere sulle relazioni fra i due paesi?
L’iniziativa cui fate riferimento ha inaugurato il 2018 come Anno del Turismo UE-Cina e rientrava in una due giorni che ha approfondito anche le opportunità in materia di trasporti e turismo per la Macroregione Adriatico-Ionica, quale potenziale porzione occidentale della Via della Seta Marittima. In questa fase, per altro, l’Italia detiene la presidenza della Strategia Europea per la Regione Adriatico-Ionica (EUSAIR) che, oltre al nostro Paese, comprende anche Slovenia, Serbia, Grecia, Croazia, Albania, Montenegro e Bosnia Erzegovina. Le regioni italiane coinvolte da Nord a Sud in questa macroregione sono Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Insomma, c’erano grandi opportunità di promozione per tanti territori, anche in difficoltà. Penso ad esempio alla mia regione, l’Umbria, e alle vicine Marche, dove i fenomeni sismici del 2016 hanno affossato il settore turistico. A ricevere Qi Xuchun, vicepresidente della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, tra le massime istituzioni del Paese asiatico, il più alto rappresentante del governo italiano è stato il sottosegretario del MiBACT Dorina Bianchi. Si tratta senza dubbio di un fatto disdicevole. Non ci sono conferme ufficiali, ma non è difficile immaginare il disappunto della delegazione cinese.
Non c’è campagna elettorale che tenga di fronte ad un evento importante come quello andato in scena nella città lagunare. La notizia non ha fatto molto clamore in Italia perché, a differenza di altri Paesi come Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna, Francia, Germania o Russia, nel caso della Cina non esistono forze politiche in Italia, né a destra né a sinistra, che lavorino in modo definito e costruttivo sul fronte dei rapporti bilaterali, come invece avveniva nella Prima Repubblica specie grazie al PSI. Le relazioni tra Italia e Cina hanno sicuramente solide basi anche grazie al lavoro compiuto da pionieri della diplomazia del secolo scorso, ma c’è ancora molto lavoro da fare. In generale, il nostro Paese appare costantemente in ritardo rispetto agli altri competitor occidentali in molte regioni del mondo. Questo è un serio problema ma è anche il segno di una classe dirigente politicamente “anemica” e carente di grandi visioni strategiche. Unica lodevole eccezione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, pur privo di poteri di governo, ha comunque compiuto visite all’estero di grande importanza nel corso degli ultimi tre anni, soprattutto in Asia e in Africa.
Buonasera, mi interesso di scenari riguardanti i Trattati di libero commercio.
Ora desidererei un chiarimento.
I paesi del Pacifico, spinti da Canada, Australia e Giappone puntano al Tpp, forse nato proprio per arginare la Cina che a questo punto si rivolge ai trattati bilaterali di libero scambio.
Ma in tutto questo fervore si parla di garantire i diritti delle persone?