Se fosse ancora vivo, sarebbe un giovane novantenne con i sogni negli occhi e il fuoco della rivoluzione nel cuore. Oggi è il compleanno di quel burbero medico di Rosario, il cui coraggio, come scrisse Carlos Puebla, “sulla storica altura ha posto un confine alla morte”.
Il “guerrigliero eroico”, consegnato al mito dal celebre scatto di Alberto Diaz “Korda”, il “sole di primavera”. “La luce del suo sorriso” ha destato la gioventù latino-americana dalla rassegnazione della sottomissione al gendarme yankee.
Il “Che” è il combattente indomito che rifiuta i compromessi, l’eterno ribelle che non si sente nato a far da fedelissimo a nessuno, il visionario che considera il presente unicamente in funzione del futuro.
La sua figura giganteggia nel tempo, facendosi beffa della polvere degli anni e dei veleni di chi tenta di riscrivere la storia con l’inchiostro avvelenato dei vincitori. Ernesto Guevara de la Serna “era uno di noi, forse, il migliore di noi”, “el mas grande revolucionario”, come scrisse Juan Domingo Perón, era un uomo oltre gli schemi della destra e della sinistra, un uomo libero.
La squallida mercificazione della sua immagine, non è stata casuale. È il vilipendio voluto da quell’imperialismo aspramente combattutto dal “libertador” non solo a Cuba ma in Congo e in Bolivia. È un’operazione studiata per impedire che la gioventù, già fortemente omologata ed incapace di giocarsi il minimo frammento di cuore anche quando vale la pena di rischiare, possa vedere in Ernesto Che Guevara un riferimento.
Il mondo odierno ha poco in comune con quello attraversato ed “incendiato” dal “Che”. Il quadro geopolitico è profondamente mutato, ma non è cambiata la fonte primaria di tutte le ingiustizie, le predazioni e le disuguaglianze.
“In definitiva – disse il “Che” – cinquantuno anni fa, bisogna tenere in conto che l’imperialismo è un sistema mondiale, l’ultima tappa del capitalismo, e che bisogna batterlo in un gran confronto mondiale. La finalità strategica di questa lotta è la distruzione dell’imperialismo. Il nostro compito è quello di eliminarne le basi di sostentamento: i nostri paesi oppressi, derubati dei propri capitali, delle materie prime, da dove traggono manodopera a basso costo e dove importano nuovi capitali – strumenti di dominazione-, armamenti, guerre e merci di vario genere, a volte inutili, ridotti ad uno stato di dipendenza assoluta. L’elemento fondamentale di questa finalità strategica sarà, allora, la liberazione reale dei popoli oppressi”.
Era il 1967. E’ ancora così. Ma non tutto è perduto. Fino a quando degli uomini saranno “capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”, il 14 giugno sarà sempre il compleanno del Che.
Quel lontano 9 ottobre, a La Higuera, uccisero solo un uomo, non le sue idee.