Arsene Wenger

Dopo ventidue anni intensi con qualche vittoria e tanto bel gioco espresso, Arsène Wenger ha annunciato il suo addio all’Arsenal rinunciando ad un contratto che reca scadenza per la stagione prossima.

In casa Gunners si chiude così un’autentica epoca perché il tecnico alsaziano ha letteralmente cambiato la storia di una delle squadre inglesi più famose e prestigiose del panorama calcistico britannico. Non è affatto scandaloso sostenere che la storia del club biancorosso si possa riassumere in due nomi: Herbert Chapman, cioè il Manager per antonomasia, colui che negli Anni Venti di fatto inventò il calcio inglese con il suo WM regalando un ciclo indimenticabile di vittorie ai londinesi, ed Arsène Wenger che di fatto ha reinventato la storia del club del Nord di Londra dandogli dei connotati particolari e inconfondibili, un autentico marchio d’autore.

Il calciatore laureato

Alsaziano doc, nato a Strasburgo il 22 ottobre 1949, Arsène Wenger è stato un mediocre calciatore, forse più bravo con i libri di scuola in mano (ha conseguito una laurea in Economia e Commercio) che con i palloni tra i piedi. Questo spilungone dall’aspetto sgraziato ha giocato nel ruolo di difensore centrale in svariate squadre alsaziane (Mulhouse, Pierrots Strasburgo) prima di diventare professionista con la maglia del Racing Club Strasburgo sulle soglie dei trent’anni. In maglia blu Arsène vince, seppur con poche presenze, uno storico campionato (il primo ed unico nella storia degli alsaziani) anche se a trentadue anni appende già le scarpette al chiodo perché ha deciso che il suo futuro è quello di allenatore.

Una delle rari immagini di Arsène Wenger calciatore

Dalla Francia al Giappone

Gli esordi di Wenger nelle vesti di allenatore non sono entusiasmanti: i primi tre anni al Nancy sono infatti senza infamia e senza lode e si concludono con una retrocessione in seconda divisione. Nell’estate del 1987 però, una volta approdato sulla panchina del prestigioso Monaco, l’alsaziano vince il campionato al primo tentativo (in anni in cui dominava il grande Marsiglia di Tapie e Papin) e nel 1991 anche la Coppa di Francia grazie al fortissimo tridente formato da George Weah, Youri Djorkaeff e Glenn Hoodle. Quando sembrava il momento del definitivo balzo verso un grande club, Wenger conosce l’onta del suo primo ed unico esonero all’inizio del 1993/94 e così, a sorpresa, decide di andare ad allenare in Giappone il Nagoya Grampus. Nel paese del Sol Levante l’alsaziano conquista un secondo posto e la prestigiosa Coppa dell’Imperatore con una squadra che, al momento del suo arrivo, languiva nei bassifondi della classifica.

Wenger ai tempi del Monaco

La Rivoluzione Francese

Arsène Wenger giunge all’Arsenal da semisconosciuto nell’ottobre del 1996 grazie ai buoni offici di Gérard Houllier, ex tecnico della Nazionale Francese. I gunners sono reduci da una stagione disastrosa con ben tre cambi di guida tecnica (Stewart Houston, Bruce Rioch, Pat Rice, fatto davvero insolito a quelle latitudini), dopo aver disputato un decennio di ottima fattura sotto la guida dello scozzese George Graham che a suon di kick and run ed uno a zero ha portato ad Highbury due campionati, una FA Cup ed una Coppa delle Coppe (sconfiggendo il Parma di Scala in finale). L’Arsenal guidato dallo scozzese non era infatti famoso per il suo bel gioco: la difesa di ferro formata dai terzini Nigel Winterburn e Lee Dixon e dai centrali Tony Adams e Martin Keown proteggeva egregiamente il baffuto portiere David Seaman e davanti il duo di colore formato da Kevin Campbell e Ian Wright di riffa o di raffa qualche golletto lo segnava. I tempi stanno però per cambiare: il “boring Arsenal” di Graham ha i giorni contati perché sta per arrivare la Rivoluzione Francese (anzi alsaziana!) di Arsène Wenger che, nel giro di poche stagioni, riesce a cambiare letteralmente il modo di stare in campo dei londinesi. Basta lanci lunghi dalle fasce, squadre lunghe e disordinate, Wenger introduce a Londra un gioco innovativo fatto di trame palla a terra, attacchi allo spazio, triangolazioni e ripartenze rapide che manda in visibilio il pubblico di Highbury. Sono i dettami dell’école française che stanno per germogliare anche oltremanica, anche se Wenger, da alsaziano germanofono, ha sempre detto di ispirarsi al grande (e impronunciabile!) Borussia Mönchengladbach degli Anni Settanta, squadra per la quale ha sempre fatto il tifo.

Settembre 1996: la presentazione di Wenger all’Arsenal

Da sconosciuto ad “invincible”

La rivoluzione di Wenger è però anche mentale oltre che tattica però e va a scardinare modi, riti, abitudini tipico del football inglese grazie all’arrivo di tanti giocatori stranieri (soprattutto francesi ma anche sudamericani ed olandesi) capaci di adattarsi al suo verbo calcistico. I vari David Bergkamp, Marc Overmars, Patrick Vieira, Nicolas Anelka vanno così ad aggiungersi alla solida base difensiva di marca inglese e regalano uno storica doppietta campionato-FA Cup nel 1997/98. Il successo fa storcere il naso a tanti pasdaran del vecchio della tradizione British, l’ex grande manager del Nottingham Forest Brian Clough arriva persino ad affermare che con l’avvento di Wenger “una cosa è certa: nei prossimi mesi gli spogliatoi di Highbury puzzeranno più di aglio che di olio per i massaggi“. La battuta infelice e cialtronesca di Clough però non spaventa l’alsaziano che ormai nella grigia Londra si sente come un pesce nell’acqua. Il personaggio che però cambia definitivamente i connotati ai Gunnars è un altro francese, scartato dalla Juventus dove era stato impiegato infelicemente a centrocampo sull’esterno: Thierry “Titi” Henry. Wenger da centrocampista lo trasforma in centravanti mobilissimo che negli spazi aperti è letale e l’Arsenal si mette letteralmente a volare. Nel 2001/02 i Gunners stracciano tutti i record in Premier League vincendo uno storico titolo senza sconfitte agli attivi: nasce così la leggenda degli “Invincibles” che riescono così  bissare la storica e remotissima impresa del Preston Nort End del 1888/89, altri tempi, altro calcio. Se il Preston North End ha inaugurato l’epopea professionistica del football britannico, l’Arsenal di Wenger ha chiuso definitivamente quel cerchio, quel modo di intendere il football come fenomeno “Made in UK”. I biancorossi sono infatti una delle prime formazioni britanniche a schierare un undici composto per almeno otto undicesimi da calciatori non nati nelle isole britanniche. 

L'”invincibile” Arsenal edzione 2001/02

Il tabù europeo

La vittoria del titolo rappresenta l’apice della parabola di Arsene Wenger alla guida dell’Arsenal. Dopo aver vinto un secondo campionato nel 2003/04 i londinesi cercano di imporsi anche in Europa, terreno che ha quasi sempre dato più dolori che gioie ai pistoleri della capitale. Il 2005/06 sembra finalmente l’anno buono: Henry e soci eliminano prima i calibri grossi Real Madrid e Juventus e poi la matricola terribile Villareal. In finale però allo Stade de France i favori del pronostico sono per il Barcellona di Ronaldinho, ritenuto all’epoca il più forte giocatore del mondo. L’Arsenal gioca in dieci per tre quarti del match (il portiere Lehmann viene frettolosamente espulso al 18’) ma nonostante ciò passa in vantaggio con un’inzuccata del centrale Sol Campbell e resiste in trincea per ben settantasei minuti. Poi però emerge la classe maggiore dei blaugrana che in quattro minuti piazzano un mortifero uno due con Belletti ed Eto’o e si portano a casa la coppa dalle grandi orecchie. L’Arsenal sciupa così un’occasione che raramente potrà ricapitargli in futuro.

Da “invincible” a “specialista in fallimenti”

La finale di Parigi rappresenta un autentico spartiacque nella storia dell’Arsenal e di Wenger che dal settembre 2006 abbandona lo storico ed affascinante stadio di Highbury per andare a giocare nel nuovo e futuristico Emirates Stadium voluto dai magnati qatarioti che hanno investito ingenti somme nel club biancorosso. Per ripianare i costi dovuti al nuovo stadio la società è costretta a cedere ogni estate i suoi pezzi pregiati. Wenger è così costretto a fare i salti mortali ogni anno riuscendo comunque a mantenere i suoi tra le prime quattro classificate in campionato per ben dieci stagioni consecutive raggiungendo spesso i quarti o gli ottavi di Champions League. Negli ultimi anni però, nonostante le vittorie in FA Cup nel 2013/14 e nel 2016/17 e della Coppa di Lega nel 2017/18, i rapporti tra l’Arsenal ed il manager di Strasburgo si sono molto infreddoliti. Cattivi investimenti sul mercato, l’ostinazione wengeriana nel proporre a tutti i costi il suo “sexy football” nonostante non ci siano più gente come Henry in attacco ed Adams in difesa, o nel proporre ogni anno gente non adeguata agli standard Gunners, hanno un po’ offuscato l’icona di Wenger presso la tifoseria Gunners che da qualche stagione a questa parte ha iniziato a chiedere con insistenza sempre maggiore la sua testa. Spocchia francese e testardaggine teutonica hanno così sporcato forse in maniera immeritata quello che l’eterno rivale José Mourinho ha definito “uno specialista in fallimenti”, giudizio forse troppo severo quello del portoghese perché Wenger non è stato sicuramente tra i grandi vincenti di questo sport ma ha saputo comunque dare un’impronta molto particolare ad un calcio inglese che a cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio ha conosciuto gli effetti della globalizzazione. Vincendo l’Europa League il prossimo mese Arsène Wenger potrebbe rompere quello che per i Gunners è un autentico tabù e congedarsi così nel modo migliore. Adieu monsieur Arsène: magari tra qualche anno fuori dal’Emirates Stadium (sempre se si chiamerà così) accanto alle statue di Herbert Chapman e Thierry Henry troveremo pure la sua!