Una delle prime cose che si sono notate del terrorismo di matrice islamica operante nei conflitti in Siria e in Iraq è che, in tutte le occasioni in cui si è trovato in difficoltà o comunque costretto ad arretrare a causa dell’azione delle forze governative, ha prontamente sostituito l’iniziativa militare con quella terroristica. In un certo senso, a causa delle sconfitte patite, esso prontamente regrediva dalla sua recentemente conquistata posizione di “organizzazione divenuta Stato” a quella precedente di “organizzazione clandestina e terroristica”. Gli esempi si sprecano e contarli tutti non avrebbe del resto neppure troppo senso. Basti solo sapere che, impossibilitato dal poter continuare il suo progetto di trasformarsi e consolidarsi in forma statale, incapace anche solo in quella forma di reagire in modo credibile e soprattutto sufficiente a preservare quello status, la sua unica opzione a quel punto è stata solo quella di ripiegare sul terrorismo individuale.

Un’ulteriore conferma l’abbiamo avuta con l’ultimo attentato avvenuto in Iraq, costato la vita ad 80 pellegrini in massima parte iraniani, avvenuto proprio nel momento in cui le forze irachene di concerto con tutto il resto della coalizione stanno portando a termine la riconquista e la pulizia di Mosul. Un autocarro imbottito di esplosivo si è lanciato contro una stazione di servizio nei pressi della città di Hilla, nel distretto di Shomali, a circa 120 chilometri dalla capitale Baghdad. La TV satellitare al Arabiya successivamente ha ripreso e trasmesso su larga scala il comunicato con cui l’ISIS rivendicava l’azione terroristica.

I fedeli ritornavano dalla rituale commemorazione dell’Arbaeen, la fine dei 40 giorni di lutto per la morte dell’Imam Hussein, nipote di Maometto morto nel 680 d. C. nella battaglia di Kerbala. Questa città, che si trova in territorio iracheno e che costituisce uno dei principali santuari dell’Islam sciita, lo scorso lunedì aveva attratto tra i 17 e i 20 milioni di pellegrini. “Almeno sette autobus con pellegrini erano all’interno della stazione di benzina al momento dell’esplosione”, ha riferito a France Presse un tenente colonnello della polizia irachena, che ha poi aggiunto: “Quei bus erano pieni di iraniani, iracheni e cittadini del Bahrain”, vale a dire di quei tre paesi che nel Golfo vantano l’assoluta maggioranza di musulmani sciiti, ritenuti nemici mortali e come tali meritevoli di morte da parte dell’ISIS.

Questa strage dimostra come l’ISIS si trovi sempre più in difficoltà e costretta pertanto a ricorrere allo strumento del terrore e della paura per continuare ad alimentare intorno a sé un’immagine temibile ed invincibile. Ma è proprio il fatto che debba ricorrere a strumenti come il terrorismo, mettendo da parte le tattiche militari più confacenti ad una vera realtà statale (l’azione russa, siriana ed irachena sta di fatto dissolvendo lo Stato Islamico o Califfato che dir si voglia), a denunciare il suo auspicabile e desiderato declino.