Getta proprio nello sconcerto l’intesa, veramente diabolica, creatasi in questi ultimi giorni fra i vari media nazionali nei confronti dell’Azerbaigian. Basta solo scorrere la rassegna stampa per imbattersi in titoli ed articoli a dir poco inquietanti: “Azerbaigian, dietro la facciata dei giochi europei”1, “L’Azerbaigian potenza bastarda: tra arresti, petrolio e Olimpiadi”2 o ancora “Azerbaigian, iniziano i giochi della repressione”3. Questi sono solo i primi titoli che vogliamo riportare, essendo invero la lista assai più lunga, e costituiscono comunque anche quelli più pittoreschi.

Il ritornello è sempre lo stesso: i soliti gruppi editoriali di matrice “atlantista” come Rizzoli-Corriere della Sera o L’Espresso-Repubblica fanno a gara a chi dimostra la maggiore solerzia nell’accontentare il proprio comune padrone, il cui nome è facilmente intuibile. L’Azerbaigian ha la colpa d’aver voluto sfruttare le proprie immense risorse petrolifere per il benessere nazionale, senza regalarle a chicchessia, e d’aver, sempre con tutte quelle ricchezza, aver varato un’ambiziosa politica di riqualificazione della propria immagine internazionale che mette in ombra altri paesi, più fedeli al padrone d’oltre Oceano, e che coinvolge non soltanto i Giochi Olimpici Europei ma anche la candidatura alle future Olimpiadi e il Gran Premio di Formula 1.

Insomma, la colpa dell’Azerbaigian è di considerarsi, nei confronti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, un interlocutore ed eventualmente un alleato, ma non un suddito. Come si permette, il governo di Baku, di stabilire rapporti di buon vicinato anche con l’odiatissima Mosca? Come osa, una piccola nazione caucasica, pensare di decidere i propri destini da sola?

E allora ecco che si scatena tutta la solita corte dei miracoli, fatta di servi che dimostrano un impareggiabile zelo ogni qual volta si tratti d’abbaiare contro il nemico di turno: quando la Russia, quando la Libia di Gheddafi, quando la Siria, quando l’Eritrea, quando l’Ucraina di Yanukovich, quando la Bielorussia, e così via. Ciò che conta è demonizzare il nemico, reo di volersi considerare alla pari coi padroni della terra.

Un paese che, senza cedere le proprie riserve energetiche alle avide compagnie occidentali ma che al contrario le usa per abbattere in dieci anni di oltre trenta punti il tasso di povertà, dà oggettivamente fastidio. Ecco allora che le varie ONG, Amnesty International, i giornali filo-occidentali e compagnia bella si scatenano, mettendosi a raccontare guardacaso i soliti ritornelli che avevamo già sentito in occasione delle Olimpiadi di Pechino, degli Europei di Calcio in Ucraina, dei Giochi Invernali di Sochi e così via.

Il lettore o il telespettatore occidentale dovrebbe essere ormai abituato a questi giochetti e non farvi, pertanto, nemmeno più caso: ed in effetti l’interesse per tutte queste polemiche, gira e rigira, risulta essere sempre piuttosto basso. E tuttavia non si mettono in dubbio tali bugie, anche perché è stata nel frattempo instillata nelle menti dei cittadini occidentali l’idea che il loro continente ed i loro paesi siano gli unici “territori di libertà” in un mondo rimasto al Medioevo o peggio ancora.

Fintantochè resisterà questa mentalità, secondo cui la “civiltà” esiste solo in Occidente (perché, ahinoi, si tende a fare di “civiltà” e di “Occidente” due sinonimi, implicando così che al di fuori dell’Occidente non vi siano altre civiltà meritevoli di pari rispetto, ma solo barbarie), gli occidentali continueranno a ragionare con schemi degni del Congresso di Berlino del 1878: ovvero, “noi abbiamo la civiltà ed il dovere di portarla a coloro che, non essendo occidentali, ne sono privi”. Come se poi non si sapesse che, dietro tutta questa manfrina della civiltà e dei diritti umani non si nascondano ben altre mire, che sono il possesso dell’energia, del petrolio, dei mercati e degli Stati.

Siamo rimasti ai tempi delle Crociate e quella contro l’Azerbaigian è, in effetti, una nuova Crociata: s’attacca un paese contestandone la politica, ma in realtà si mira al suo portafoglio. E non è, questo, proprio quel che facevano i nostri Crociati quando, partendo alla volta di Gerusalemme, più che a diffondere il Vangelo (operazione decisamente già di per sé deprecabile) pensavano a mettere le mani sulle immense ricchezze di quei territori disgraziatamente in mani altrui?

A buon intenditor, poche parole.