Proteste a Manama, Bahrain, in Piazza della Perla nel marzo del 2011.

Situato fra il Qatar e la costa nordorientale dell’Arabia Saudita, il Regno del Bahrain deve il suo nome, etimologia alla mano, alla sua realtà di arcipelago, dato che in arabo “al-Bahrayn” significa “i due mari”, e compare almeno cinque volte nel Corano. Con una popolazione di poco più di 1,2 milioni di abitanti e una superficie di 780 chilometri quadrati, è considerata la terza nazione più piccola dell’Asia insieme alle Maldive e a Singapore.

Anticamente fu sede della prospera e leggendaria Civiltà di Dilmun, e dopo l’avvento dell’Islam ospitò lo Stato integralista ed efficientissimo dei Carmati, noti per le loro incursioni che raggiunsero persino La Mecca e il cuore della Penisola Arabica. Occupato dapprima dai Portoghesi e successivamente dai Persiani, il Bahrain alla fine del XVIII Secolo passò nelle mani del clan dei Bani Utbah e quindi della Casa reale degli al-Khalifa, con Ahmed al-Fateh come suo primo hakim. Il dominio degli al-Khalifa si mantenne intatto nel tempo, anche quando nel XIX Secolo l’arcipelago diventò un protettorato dell’Impero Britannico, fino a raggiungere la totale indipendenza nel 1971 dopo una lunga serie di scontri interni. Inizialmente emirato, nel 2002 è diventato un regno, ma in ogni caso il legame con la Gran Bretagna e quindi anche con gli Stati Uniti non è mai stato messo in discussione. La Royal Navy e la Sesta Flotta USA hanno sempre avuto in Manama, la capitale del Bahrain, un affidabile ed indiscutibile porto per le loro navi.

Approfittando della guerra civile scoppiata nel Libano a metà degli Anni ’70, il Bahrain ha iniziato ad ospitare molte banche libanesi e questo è stato il primo passo verso la realizzazione della prima economia post-petrolifera di tutto il Golfo Persico. Oggi Manama, che prima del boom del petrolio viveva soprattutto della pesca e del commercio delle perle, è oggi un importante centro finanziario a livello mediorientale ed internazionale. Secondo la Banca Mondiale il piccolo regno ha un elevatissimo livello di sviluppo umano, ma questi dati cozzano con una realtà ben diversa. La minoranza sunnita, riunita intorno alla Casa reale degli al-Khalifa, ha nelle proprie mani il grosso delle risorse nazionali, mentre la maggioranza della popolazione, di rito sciita, deve accontentarsi del poco che avanza. E questa è stata, in ultima analisi, la principale ragione delle sollevazioni verificatesi a partire dal 2011 e ben presto messe a tacere col tempestivo intervento delle forze militari e di polizia dell’Arabia Saudita nel quadro di una missione voluta da tutto il Consiglio di Cooperazione del Golfo che ha puntellato la traballante monarchia sunnita.

Bisogna comunque dire che, oltre alle sollevazioni anti-britanniche precedenti al 1971, nei quarant’anni successivi si registrarono anche molti altri episodi di tensione che misero a nudo le forti contraddizioni sociali ed economiche del paese. Per esempio nel 1981, come diretta conseguenza della Rivoluzione Iraniana avvenuta due anni prima, anche nel Bahrain vi fu un tentativo di rivoluzione e di golpe che mirava a costituire una Repubblica Islamica sulla falsariga del modello iraniano. Il colpo di mano, fomentato dal Fronte Islamico di Liberazione del Bahrain, venne represso a fatica ed indusse la preoccupatissima Arabia Saudita, insieme a tutti gli altri alleati regionali, a costituire il Consiglio di Cooperazione del Golfo, col fine di vigilare e d’impedire che altri episodi del genere potessero ripetersi. Già quel grave fatto, avvenuto a pochi chilometri dall’Arabia Saudita, fece capire a quest’ultima come la partita con l’Iran per contendersi l’indipendenza e il predominio nell’area del Golfo fosse soltanto agli inizi. Da notare come in quello stesso periodo, finanziato dall’Arabia Saudita e dalle altre petromonarchie del Golfo, Saddam Hussein stesse combattendo proprio contro l’Iran.

Un nuovo episodio di tensione si verificò nel 1994, con un attentato durante una manifestazione sportiva, e da quel momento fino al 2000 liberali, esponenti della sinistra ed islamisti si coalizzarono insieme nelle proteste contro il governo e la monarchia degli al-Khalifa. Ci furono almeno una quarantina di morti e la tensione scemò solo quando Hamad Ibn Isa al-Khalifa divenne il nuovo emiro. Il nuovo sovrano fece alcune importanti concessioni e riforme, per esempio istituendo le elezioni per il Parlamento, concedendo alle donne il diritto di voto e liberando tutti i prigionieri politici. Ciò, però, se da una parte alleggeriva il peso della contestazione togliendole alcune rivendicazioni, dall’altra spostava su un livello più alto e più istituzionale le contraddizioni e le tensioni intrinseche nella società bahrenita.

Con l’arrivo di George W. Bush alla Casa Bianca, il Bahrain venne promosso come “miglior alleato degli Stati Uniti al di fuori della NATO”, pur opponendosi alla guerra contro l’Iraq ed offrendo addirittura a Saddam Hussein l’asilo politico nei giorni precedenti all’invasione anglo-americana dell’Iraq avvenuta nella primavera del 2003.

Nel 2011, con l’avvio delle primavere arabe, si presentò così il caso del Bahrain, unica nazione dove a scendere in piazza era una maggioranza composta di sciiti, in lotta contro un governo ed una monarchia formate da sunniti. Le manifestazioni si concentrarono soprattutto a Manama, la capitale, nella Piazza della Perla, dove il famoso monumento venne poi abbattuto in quanto associato alla contestazione contro gli al-Khalifa non appena lo sgombero da parte delle forze saudite e bahrenite andò a buon fine. Sono state numerosissime le accuse di torture ai manifestanti arrestati dalle forze militari e di polizia del Bahrain e dell’Arabia Saudita, e si parla di decine di morti. Pare che fino al marzo del 2014 le vittime siano state non meno di un’ottantina fra i civili, a cui devono assommarsi anche 13 morti fra gli agenti e i militari. L’Arabia Saudita e il Bahrain hanno accusato, insieme al Consiglio di Cooperazione del Golfo e agli Stati Uniti, l’Iran di essere il mandante della “guerra civile” che sconvolge il piccolo paese del Golfo.

Le varie associazioni per i diritti umani, compresa Amnesty International solitamente piuttosto “dimentica” o “compiacente” verso gli alleati degli Stati Uniti, vista la gravità della situazione alla fine si sono trovate costrette a puntare l’indice contro il governo bahrenita per le torture e la repressione sistemica del dissenso, mentre anche il Segretario di Stato USA Rex Tillerson non ha potuto evitare di criticare Manama per la forte repressione applicata sugli sciiti. Anche il governo di Londra, al pari di quello statunitense, ha dovuto usare toni molto duri verso l’alleato bahrenita, e così Human Rights Watch e Freedom House, che al pari di Amnesty International hanno dovuto dichiarare il Bahrain un luogo “non libero” dove la situazione degli sciiti “è molto più che tragica”.

Tutto questo avviene in una terra ricca e magica, dalla storia così antica da affiorare quasi nel mito, e dove ci potrebbero essere risorse e benessere per tutti. Ma la dura “ragion di Stato” o “ragion politica” legata alla necessità di salvaguardare gli interessi sauditi nella regione e di fronteggiare a qualsiasi costo l’espansione dell’influenza iraniana nel Golfo e nella regione fa sì che l’antico ed orgoglioso popolo bahrenita debba vedere le proprie aspirazioni sacrificate sull’altare degli al-Saud e degli al-Khalifa.

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