Il paese di Goffredo di Buglione, Rubens e Magritte, delle patatine, della birra e del cioccolato, è terra di Sharia. Un immigrato su quattro è musulmano e, nel giro di un ventennio, secondo stime autorevoli, coloro che seguono i dettami del Corano, diventeranno la maggioranza assoluta. Mohammed è il nome più comune per i bambini che nascono a Bruxelles e nella città di Anthwerp già ora più del 40% degli scolari più giovani, venera Allah.

Anversa, Boom, Vilvoorde, Amercoeur, Gilly, Angleur, Verviers, Schaerbeek e Charleroi, sono state toccate da importanti operazioni antiterrorismo che hanno fatto emergere il radicamento di consistenti gruppi salafiti. Il più acceso tra i gruppi musulmani del Paese è Sharia4Belgium (La Sharia per il Belgio), capeggiato da Fouad Belkacem alias Abu Imran, 32enne di origine marocchine, condannato a dodici anni di carcere per terrorismo, insieme ad un’altra quarantina di membri del suo gruppo.

Belkacem, considerato il reclutatore dei terroristi inviati a combattere in Siria, Iraq, Yemen e Mali, era finito in manette il 7 giugno del 2012, con l’accusa, tra le altre, di aver introdotto in Belgio un tribunale della Sharia. A fronte di 9 milioni di abitanti, più di 500 combattenti sono approdati in Siria per spodestare il legittimo Presidente Bashar al Assad. Bruxelles è la città più islamizzata d’Europa. Il 20% della popolazione, circa 300mila persone, è di religione musulmana. Un intero quartiere, Molenbeek, una delle 19 communes che compongono la capitale, è “sottoposto alla Sharia”.

A ricordarlo, sono numerosi cartelli gialli con la scritta nera “Sharia controlled zone”. In quelle strade la polizia ha un potere limitato, vi sono 17 moschee e la fermata della metropolitana “Ribaucourt”, è un centro all’aperto di reclutamento di jihadisti. Con più di cinquemila giovani sotto i diciotto anni su 13mila abitanti ed un tasso di disoccupazione che supera il 43%, il rischio di una sempre maggiore capillarizzazione del fondamentalismo è altissimo.

La nazionale di calcio dei diavoli rossi, nella quale “coabitano” i marocchini Fellaini e Chadli, il kenyota Origi, il martinicano Witsel, il kosovaro Januszai ed i congolesi Lukaku e Batshuayi, spacciata per modello di integrazione perfetta dagli apologeti dell’immigrazione a tutto spiano, è solo una patina dorata adagiata sulla bocca di un vulcano pronto ad eruttare. Il buonismo degli ex premier Van Rompuy, Leterme e Di Rupo, ha prodotto disastri e l’attuale premier belga Charles Michel ed il ministro dell’Interno Jan Jambon, non riescono ad arginare la frana causata da decenni di inefficaci politiche di integrazione degli immigrati.

Il Belgio è per molti versi l’emblema del fallimento di molte “mode” in voga anche in Italia: porte aperte in materia di immigrazione e pulsioni separatiste ed autonomiste, con relative “letterature” scientifiche o parascientifiche di supporto. La tradizionale divisione interna tra il prospero nord fiammingo ed il sud francofono, in preda a non trascurabili difficoltà economiche, ha prodotto una frammentazione delle politiche in materia di educazione, welfare e anche di polizia ed indebolito la capacità di risposta del governo.

Le due gravi crisi politiche che hanno lasciato il paese senza esecutivo, per 194 giorni fra il 2007 e il 2008 e per 541 giorni, a partire dalle legislative del 13 giugno 2010, hanno determinato l’abbandono di vaste porzioni del territorio belga e larghe fasce della popolazione, preparando un ambiente ottimale per la proliferazione del germe del fondamentalismo. Nel vuoto, realtà come Sharia4Belgium, prendendo in prestito le parole di Montasser AlDe’emeh dell’università di Anversa, sono riuscite a “dare identità e struttura” a migliaia di giovani e meno giovani che non si sentono né marocchini né belgi.

Il livellamento demenziale e massificante in nome di una non cultura spacciata per multiculturalismo, di un laicismo che spesso sconfina nella blasfemia, di presunti diritti civili muniti di codici a barre e di un liberismo sfrenato che depreda e mortifica, ha scatenato in molti “sradicati” la voglia di un’identità “forte”. Ai sorrisi plastici della borghesia salottiera ed apolide dei quartieri “bene” delle città belghe, fanno da contraltare i ghigni rabbiosi del sottoproletariato delle periferie. Le fioriere e le poesiole, care alle anime candide, lasciano il posto alle cassapanche e a quei versi ripetuti a memoria. E sullo sfondo, tra le luci dei locali e la musica diffusa dagli altoparlanti, s’ode il canto cupo di un mitra.