Solamente qualche mese fa la notizia che una colonna di mezzi e militari dell’Esercito Turco avesse varcato il confine internazionale e stesse marciando in direzione di una cittadina siriana avrebbe scatenato, se non una immediata guerra, quantomeno vibrate proteste diplomatiche, riunioni d’emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU, ping-pong di chiamate tra le ambasciate e i Ministeri degli Esteri di tutto il Medio Oriente e delle grandi potenze internazionali.

Adesso che questo evento si è appena verificato, nel quadro di una iniziativa militare di Ankara denominata (con mancanza di fantasia di marca tipicamente NATO) “Scudo dell’Eufrate”, invece, le reazioni sono estremamente sporadiche e sottotraccia, prova chiara ed evidente di quanto sia cambiata la posizione del Governo turco rispetto agli sviluppi della situazione siriana.

Dopo essersi speso in prima linea per anni per permettere a migliaia e migliaia di fanatici islamisti di infiltrarsi in Siria e ricevere copiosi e regolari rifornimenti di armi e munizioni, il complesso militare-spionistico turco è stato costretto a un improvviso (e per molti versi imbarazzante) “dietrofront” dall’intervento sempre più massiccio di Mosca a sostegno del suo alleato arabo e, soprattutto, dagli eventi del recente fallito golpe anti-Erdogan e dal riposizionamento diplomatico-strategico di quest’ultimo rispetto a Usa, Europa Occidentale e gli addentellati NATO e UE di costoro.

La task-force dell’Esercito turco, che conta alcune centinaia di uomini e qualche dozzina di mezzi blindati e corazzati, starebbe puntando (col sostegno non é chiaro quanto attivo di alcune formazioni “ribelli” stile FSA e simili) verso lo snodo logistico di Jarabulus, che si trova, appunto, sull’Eufrate, ultimo corridoio sulla frontiera siro-turca rimasto nelle mani dell’ISIS.

L’intervento dovrebbe servire a garantire la bontà e sincerità delle dichiarazioni recenti di Erdogan riguardo la sua volontà di combattere il cosiddetto “califfato” (ricordiamo che la stessa famiglia del Presidente-Padrone della Turchia è accusata nientemeno che di essere direttamente in affari con l’ISIS e in particolare col suo contrabbando di petrolio rubato in Irak e Siria) ma, soprattutto a evitare che Jarabulus possa cadere eventualmente in mano curda.

A quanto riferito dall’Agenzia Anadolu, lo Stato Maggiore turco avrebbe informato dei dettagli dell’operazione il Governo russo; tuttavia si ha notizia proprio in queste ore di una protesta elevata dal Ministero degli Esteri siriano in merito allo sconfinamento.

D’altra parte, visto il recente viaggio a Damasco del Vicecapo del servizio segreto turco (MiT) che si trovava nella capitale siriana il giorno immediatamente successivo al riconoscimento da parte del Premier Yildrim della “legittimità” del Presidente siriano Assad (dopo che per anni Ankara si era fossilizzata sullo slogan washingtoniano “Assad deve andarsene”) fa sorgere il sospetto che la protesta siriana sia più che altro dimostrativa e un qualche genere di accordo tra i due paesi sia stato raggiunto negli ultimi giorni.

Paolo Marcenaro