In questo momento, in Brasile, è in atto uno scontro istituzionale sotterraneo, ma sempre più serrato ed evidente, intorno alla figura del Presidente Jair Bolsonaro e al ruolo della sua famiglia, così come di tutto il governo nel complesso. La volontà d’una resa dei conti, a dire il vero, c’era già da tempo, quantomeno fin dai primi giorni dell’insediamento, ed ha tratto dalla successiva condotta del Presidente e della sua cerchia di fedelissimi ulteriori ragioni per un suo irrobustimento.
Sono state soprattutto le politiche ultra-neoliberiste portate avanti sin dal principio a creare i maggiori malumori, anche perché accompagnate da un’enfasi trionfalistica e spavalda che spesso e volentieri smascherava le intenzioni di chi aveva appoggiato il Presidente, e che preferiva piuttosto poter agire in silenzio, senza avere addosso a sé riflettori d’alcun genere. Del resto, ormai, a livello internazionale e quantomeno soltanto a parole anche gli Stati Uniti e le grandi banche d’affari riconoscono che troppa austerità possa fare più male che bene. Il caso dell’ex Presidente argentino, Mauricio Macri, mandato in pensione dopo aver quasi portato per la seconda volta al collasso economico e finanziario il proprio paese, e sostituito dai più discreti Kirchner-Fernandez che pure ne continuano ma con minor clamore e maggior eleganza la solita politica “fondomonetarista”, lo sta bene a dimostrare. Anche per fare la macelleria sociale, o per continuarla, ci vogliono le facce e i metodi giusti, e del resto anche noi italiani, coi vari Monti e suoi eredi, possiamo fornire qualche conferma in merito. Bolsonaro, decisamente, è troppo “guascone” per svolgere un’operazione del genere e, coi suoi metodi a dir poco mediatici, finisce soltanto per dare troppo nell’occhio attirandosi contro le ire dell’opinione pubblica e persino l’ironia degli ambienti internazionali: bocciato.
In questo senso, il Coronavirus è stato quasi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Al pari d’altri politici, non soltanto brasiliani ma anche europei e diciamo pure nostrani, non ha esitato a definirlo fin da subito come qualcosa di poco conto, una bazzecola che i soliti media cattivi ed incapaci avevano trasformato in una sorta d’isteria collettiva. Tuttavia, quando le cose si sono fatte più serie, gli altri quantomeno hanno avuto la furbizia o l’opportunismo di tacere o di cambiare registro; non lui, che invece ha continuato fino a farsi fotografare mentre, per le strade di Brasilia, abbracciava passanti e commercianti, quando già l’OMS lanciava accorate raccomandazioni tese a limitare il più possibile i movimenti e i contatti. Ad un certo punto, e non poteva essere diversamente, la frittata è stata fatta, e a poco è servito cancellare dal profilo del Presidente su Twitter queste foto e le sue dichiarazioni di sprezzante scetticismo in merito al pericolo rappresentato dal Coronavirus: il danno, non soltanto d’immagine ma soprattutto sanitario, era ormai stato bell’e fatto.
L’economia brasiliana, già in crisi da prima della pandemia, adesso non sembra promettere meglio. Negli Stati Uniti, il tempio del liberismo, un Presidente che di certo non può essere accusato di simpatie socialdemocratiche e nemmeno rooseveltiane come Trump ha identificato lo soluzione all’impasse economica in un piano d’intervento pubblico pari a quasi due trilioni di euro. Ma Bolsonaro ha continuato a rifiutare, schifato, qualsiasi idea d’un coinvolgimento dello Stato nell’economia brasiliana. Questo, mentre ordinava che le varie attività, a cominciare da quelle industriali come la produzione automobilistica legata alla presenza di gruppi stranieri quali Volkswagen e FCA, restassero aperte, alla faccia d’ogni eventuale rischio di contagio fra i lavoratori. Chiaramente alcuni governatori del paese non ci sono stati, a questo “gioco al massacro”, decidendo unilateralmente d’avviare dei blocchi e delle misure di cautela per la salute pubblica; ma il governo centrale ha messo in piazza, per tutta risposta, dei suoi manifestanti, prevalentemente imprenditori e loro dipendenti o sostenitori, a protestare contro di loro e in favore del “mito”, come viene chiamato da loro il Presidente Bolsonaro. Così s’è venuta a creare anche un’ulteriore occasione a favore dei contagi, in un clima di caos non più soltanto istituzionale ma anche d’ordine pubblico.
Ad un certo punto il governo centrale ha dovuto prendere in esame l’ipotesi di sospendere le attività produttive: peggio che andar di notte. Il Ministro dell’Economia, l’ultraliberista Paolo Guedes, ha inizialmente caldeggiato una misura che autorizzava la sospensione del contratto di lavoro fino a quattro mesi e senza indennizzo, ma poi ha dovuto fare retromarcia a causa delle crescenti pressioni popolari e ha proposto, in cambio, una pezza non molto più convincente: una sospensione fino a due mesi oppure una riduzione dei tempi di lavoro che può andare dal 25 al 70%, ma con parziale compensazione da parte dello Stato. Ciò, tuttavia, non esclude il rischio d’un licenziamento immediato, e a poco può servire, come contropartita voluta dal Congresso, una legge che autorizza l’erogazione di cento euro per tre mesi ai 54 milioni di lavoratori irregolari o precari del paese. Il governo, all’inizio, non voleva andare al di sopra dei 35 euro, ma ai parlamentari era sembrato decisamente troppo poco, praticamente meno che un’elemosina: già cento euro al mese, in fondo, bastano appena per la spesa alimentare per una sola persona.
Notizie migliori, nel frattempo, non arrivano di certo dal fronte sanitario: secondo il Ministro della Salute, Luiz Henrique Mandetta, già da lunedì 6 aprile gli ospedali brasiliani, da sempre affollati ed incapaci di soddisfare le richieste dei pazienti, arriveranno ufficialmente al collasso. Tutta questa situazione, comprensibilmente, non alimenta molta fiducia, anche fra gli ambienti finora più vicini a Bolsonaro, circa le sue capacità d’affrontare davvero le sfide di questa crisi: è anche per questo se, già da alcuni giorni, soprattutto negli Stati Uniti girano voci in merito ad una sorta di “golpe bianco” che potrebbe portare ad un accantonamento di fatto del Presidente e dei suoi più fedeli collaboratori a vantaggio d’altre figure ritenute quantomeno un po’ più abili o smaliziate. Certo, tutto ancora da verificare, ma di fatto già da tempo Bolsonaro ha visto erodersi non soltanto la propria popolarità, ormai sempre più in caduta libera, ma anche la propria autorità ed influenza all’interno dell’esecutivo e delle istituzioni brasiliane. Per esempio, si ritiene che le sue condizioni di salute non siano delle migliori, anche a seguito della coltellata subita durante la campagna elettorale e dopo la quale il suo intestino non si sarebbe mai pienamente ripreso; e che per questo motivo fatichi a star dietro a tutti gli affari di governo, vedendosi così costretto a demandare molte scelte a collaboratori evidentemente non ritenuti fra i migliori sulla piazza da coloro che, anche dall’interno, criticano le critiche dell’amministrazione. Sono in particolare i militari di maggior calibro a manifestare la loro insofferenza, e Bolsonaro e i suoi cercano così di controbilanciare appoggiando sugli ufficiali di medio grado; ma il conflitto è anche all’interno dei vari ambienti religiosi, dato che l’accresciuta importanza che nel paese gli evangelici hanno conosciuto a danno dei cattolici ha creato a sua volta non poche conflittualità.
Sarà anche per questo se ora, per cercare di salvarsi in corner, il Presidente ed il suo “cerchio magico” stanno cercando di fare un brusco dietro-front sul Coronavirus, cominciando a trattarlo con serietà e gravità. Tuttavia, sono ormai già 25 sul totale di 27 i governatori che si sono messi contro di lui, mentre il malcontento s’è allargato anche al Congresso e alla Suprema Corte, istituzioni un tempo ritenute sue grandi “amiche”. Da quando è stato eletto, Bolsonaro ha dovuto fare ben tre rimpasti di governo, ed ogni volta i militari hanno visto crescere la loro quota di potere, col Generale Walter Souza Braga Netto ormai divenuto capo dello Staff Presidenziale, Capo di Stato Maggiore e Capo dell’Esercito: il paese, virtualmente, è ormai già suo e Bolsonaro sa che a Braga Netto basterebbe letteralmente un minuto per prenderselo anche in termini letterali. Ed infatti, in questo momento, in un Brasile in cui la disoccupazione è raddoppiata all’11% ed il rapporto fra debito pubblico e PIL è volato al 90%, il Generale Braga Netto è diventato per forza di cose l’eminenza grigia che gestisce il paese capeggiando una sorta di giunta militare formata dal Ministro della Difesa e dai tre comandanti militari al governo, come sancito anche da un documento ministeriale che essi hanno firmato lo scorso 31 marzo.
Che la situazione sia chiara anche all’opinione pubblica brasiliana è espresso pure da un sondaggio, effettuato dall’agenzia demoscopica Datafolha e pubblicato dal quotidiano Folha de Sao Paulo, dove s’evince come la maggioranza dei cittadini continui pur sempre a dichiararsi contraria alle dimissioni immediate di Bolsonaro. Il 59% è infatti sfavorevole, a differenza del 37%; tuttavia il numero dei favorevoli alle dimissioni cresce di giorno in giorno, mentre cala analogamente quello di chi si professa a sfavore. In un solo mese, chi criticava pesantemente l’operato di Bolsonaro nella lotta al Coronavirus in Brasile è passato dal 33 al 39%. I militari, che per il momento hanno posto Bolsonaro sotto tutela, sanno che se la sua popolarità dovesse ulteriormente precipitare e i membri della sua cerchia compiere nuovi passi falsi, la sua defenestrazione sarebbe a quel punto ben più che una semplice eventualità.