Per il popolo britannico l’uscita dall’Unione Europea assume sempre di più i contorni del caos. A due anni dall’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che disciplina le trattative tra Bruxelles e il paese che richiede l’uscita dai trattati, il governo May è ancora lontano da un accordo.
Pomo della discordia principale sarebbe legata alla questione irlandese. L’isola, attualmente divisa tra il Nord Irlanda protestante, che continua a costituire parte territorio della monarchia inglese, e l’Eire indipendente, diverrebbe territorio di confine tra Londra e l’Unione Europea. Un’eventualità che andrebbe a scalfire gli attuali equilibri doganali tra le due irlande, mettendo in discussione gli accordi di Belfast del 1998, detto anche Accordo del Venerdì Santo.
Nelle scorse settimane Bruxelles ha proposto un’estensione della scadenza sancita dall’articolo 50. Un’eventualità che farebbe comodo al premier May, che avrebbe l’opportunità di rimandare l’appuntamento con la Brexit. Il tema dell’uscita dall’Unione Europea rappresenta da sempre nei tories un dibattito divisivo, tale da aver costretto l’ex premier Cameron alle dimissioni, all’indomani della sconfitta del Referendum da lui stesso indetto nel 2016. Una sconfitta politica che la May vorrebbe evitare portando la legislatura alla sua fine naturale senza scossoni.
La prospettiva di un rischio no-deal (una Brexit disordinata senza un accordo ufficiale con Bruxelles) o di un accordo per estendere i tempi di trattativa rischia di gettare Londra nel caos politico. Alcuni membri del governo guidato dal leader dei Conservatori hanno promesso di dimettersi nel caso di un mancato accordo, mentre diversi membri del Parlamento annunciano una protesta in caso di esito negativo. La May, attesa oggi alla Camera dei Comuni, ha assicurato ai giornalisti che ci sarà un accordo, così come voluto dai britannici con il Referendum.
Anche l’opposizione tuttavia non se la passa benissimo, Jeremy Corbyn e il partito dei Labour hanno perso pezzi in parlamento, con ben otto membri della camera passati al gruppo indipendente. I fuoriusciti contestano al leader laburista di aver prestato troppo il fianco a posizioni radicali, soprattutto nei confronti della Brexit, tuttavia il malcontento è da etichettare nelle questioni interne ai laburisti. Corbyn dopo anni di terza via blairiana sta riportando i Labour verso una sinistra più tradizionale e popolare, una prospettiva che non deve piacere ai più moderati, che non sempre accettano di buon grado le critiche della sinistra inglese alle politiche di Israele.
Corbyn, sempre più popolare in Inghilterra, sta conducendo da due anni una lotta contro la May, per strapparle un ritorno alle urne, tuttavia il leader laburista si sarebbe detto pronto dopo mesi di tira e molla, a indire un secondo referendum sulla Brexit. Un gioco rischioso per i Labour, che in caso di conferma del Leave rafforzerebbero da un lato la leadership della May, ma indebolirebbero l’unità del Partito Conservatore inglese, da sempre diviso sull’Unione Europea. Mentre un capovolgimento di fronte a favore del Remain consegnerebbe probabilmente il paese nelle mani dei Labour, ma non si sa a che prezzo per la stabilità e la credibilità di Londra.