
Dopo l’ultima semifinale persa di Pep Guardiola, in molti si chiedono se le tre stagioni trascorse alla guida dei bavaresi siano o meno un fallimento, dato che nella bacheca già ricca del tecnico spagnolo non c’è traccia di una coppa campioni di stampo teutonico. Da alcuni anni il Bayern Monaco possiede una rosa costituita da autentici fuoriclasse in termini di tecnica, la società è solida e le vittorie piovono a catinelle, eppure in campo internazionale tutto questo non sembra bastare più. Da quando Guardiola ha messo piede all’interno del club, la squadra sembra aver perso la sua identità calcistica, quella sicurezza ferrea che faceva dei tedeschi una corazzata all’apparenza insormontabile. Evidentemente qualcosa nel meccanismo precedente si è inceppato, per dar spazio ad una filosofia di gioco che non sembra appartenere alla fede teutonica, ossia una circolazione di palla estenuante volta a sfinire l’avversario ma talvolta sterile e inadatta, non solo per la costituzione fisica dei giocatori ma soprattutto in merito al sistema precedente che vedeva tutt’altro modello. Guardiola ha creduto fermamente nella sua disciplina, impostando quella struttura tattica che si confaceva ad hoc per i blaugrana trasportandola in una squadra tedesca, laddove fisicità e gioco aereo sono peculiari – potremmo dire – agli opposti di quello spagnolo. Il primo errore dunque, sembra essere stata la trasposizione di una concezione errata di pensiero da un paese ad un altro, volendo aggiustare la mira adattando con qualche accorgimento quell’idea ad un organico che non ne aveva le caratteristiche. Pep di fatto, avrebbe voluto calciatori diversi rispetto a quelli a disposizione, ma la società non gli concesse tale cambiamento, perché il tempo e il costo eccessivo di questa manovra economica avrebbero messo a dura prova le casse societarie e potenzialmente le probabili vittorie interne ed esterne. Un cambiamento radicale in questo senso non avrebbe portato alcun frutto per almeno un anno. Guardiola perciò si vide costretto ad adattare il modulo alla squadra e non viceversa.
Il modello di gioco impostato da Guardiola ha previsto non solo la consueta circolazione della sfera direttamente dalla propria area di rigore (grazie soprattutto al portiere volante Neuer) , talvolta troppo sterile e inattiva, ma anche snaturato le posizioni di calciatori focali come quella del capitano Lahm, o dell’esterno Alaba, il primo è stato più volte usato come mediano, mezz’ala o esterno di centrocampo più avanzato, pochissime le sue comparse come terzino (suo ruolo predefinito), il secondo ha seguito più o meno la stessa sorte, spesso reinventandosi come ala offensiva. Lo stesso Goetze, calciatore polivalente e ottimo acquisto, spesso veniva inserito a metà partita o sostituito troppo presto, il suo ruolo di centrocampista offensivo fortunatamente è stato quasi sempre mantenuto, assumendo anche l’incarico di ala o esterno in un attacco a 3. Aldilà della sfortuna in ambito infortuni (Ribery e Robben su tutti), Guardiola non ha saputo donare una personalità forte al team, trovatosi spesso fuori asse perché snaturato nelle posizioni, devastante nella circolazione palla, essa non sembra essere stata però fondamentale in Champions League, dove il modello proposto ha spesso fallito contro avversari corti e su verticalizzazioni ben congegnate. Il tecnico del tiki-taka non possedeva un’idea chiara del modulo, come asseriscono le statistiche spesso lo cambiava in corso d’opera o dal principio, poco convinto dalle prestazioni dei suoi, tornava sulle decisioni e modificava di volta in volta. Le sconfitte in campo europeo diramano il discorso sulle molte responsabilità strategiche adottate da Guardiola, l’improvvisa sconfitta contro il Porto e la conseguente sconfitta contro il Barcellona di Enrique, ponendo una difesa a tre per tenere a bada il trio delle meraviglie blaugrana, scelta a dir poco insensata e molto rischiosa. Il doppio schiaffo ricevuto l’anno prima dal Real Madrid di Carlo Ancelotti denotava una chiara difficoltà difensiva e ancor di più un evidente debolezza nelle ripartenze. Infine la recente doppia sfida contro l’Atletico Madrid del Cholo ha messo in luce la poca lucidità e concretezza nel reparto offensivo, zeppo di alternative ma poco incline a tenere il ritmo avversario. Il Cholo ha “imbastardito” la retroguardia fingendo una marcatura a zona (prediletto nel calcio moderno), quando di fatto sembra più a “uomo nella zona”, – es il centrocampista che esce dalla linea mediana per andare a pressare l’avversario che porta palla – tutto ciò sembra aver messo in chiara difficoltà i bavaresi costretti spesso a ripartenze sfiancanti ma non abbastanza decise, il Cholismo sembra infatti inattaccabile. L’Atlético generalmente non fa pressing alto, tende ad aspettare all’altezza del cerchio di centrocampo e poi scatta l’azione di copertura che punta a mettere in tensione l’avversario. I passaggi bavaresi non filtrano a dovere e l’azione ricomincia daccapo.
Guardiola vincerà nuovamente la Bundesliga, la terza consecutiva per lui, ad aggiungersi la coppa di Germania del primo anno e prossimamente dovesse vincere la DFB-Pokal salirà a quota due. I trofei vinti oltre i confini (Supercoppa UEFA e Mondiale) sono un contorno, perché possibili solo dopo l’impresa di Heynckes nella mitica stagione 2012/2013. Guardiola ha fallito l’obiettivo Champions League? La risposta non può essere che positiva, i dati parlano chiaro: 3 semifinali perse. Nessuna novità rivoluzionaria stavolta, solo una ripetizione sbiadita e un po’ contorta di quanto già visto in precedenza in veste blaugrana, che in Germania ha funzionato grazie ad una rosa bavarese nettamente superiore alle dirette concorrenti.
Ben diverso invece è il percorso del suo predecessore, eroe in patria ritiratosi da vincente. Jupp Heynckes infatti ha conquistato negli ultimi due anni al Bayern Monaco: Bundesliga, coppa di Germania, Supercoppa di Germania e infine il trofeo più ambito, la Champions League, realizzando un treble storico. Un peso diverso dal suo successore, non solo per numero di trofei ma per modello di gioco. Osram (soprannome datogli dalla stampa per via delle sue guance rosse) rende il Bayern una squadra invalicabile, nel biennio del ritorno difatti raggiunge la finale della massima competizione europea in entrambe le occasioni, venendo sconfitto solo ai calci di rigore da un Chelsea nettamente inferiore e palesemente fortunato, e vincendo il derby tedesco in finale contro il Borussia Dortmund di Klopp. Il sistema di gioco è un 4-5-1 concentrato in circa 18 metri di campo, una vera rivoluzione in campo tedesco, attuando un pressing di 11 uomini sugli avversari pressoché infallibile. I terzini di spinta, Lahm e Alaba, qui nei ruoli a loro congegnali, spingono in avanti la manovra, rimanendo sempre e comunque sulla linea del pallone, dietro a loro con il compito di far salire la squadra Boateng e Dante, a ridosso dei due esterni sopra citati. In questo modo ripartenze e copertura sono allo stesso modo possibili in poche frazioni di secondo, oltretutto avendo terzini così avanzati vi è una maggior possibilità di verticalizzazione e passaggi in profondità. Nel centrocampo troviamo Scheweinsteiger e Martinez, indispensabili e complementari, il tedesco gioca tra le linee e compie il pressing sul portatore avversario, punta la porta e con la propria fisicità e visione anche senza palla (qualora non vi sia possibilità di tiro) può scardinare la difesa nemica con tagli precisi. Lo spagnolo in fase di impostazione invece è necessario, guardando le spalle di Scheweinsteiger e ricoprendo il ruolo di cerniera tra esterni e trequarti, recuperando più palloni possibili.
Il segreto della macchina di Heynckes è stata però una seconda difesa schierata, ovvero l’attacco formato da Ribery, Muller, Robben, Mandzukic. Lavoro encomiabile sul reparto per palloni giocati e spesso recuperati, grazie alla pressione sul singolo. Le due ali migliori, il francese da una parte e l’olandese dall’altra, sono stati i calciatori più letali dalle fasce, rientrando spesso per servire in velocità i compagni o spezzando la difesa avversaria con serpentine pericolose. Mandzukic e Gomez, attaccanti nella media hanno reso più del loro potenziale perché messi in condizione di segnare con continue palle gol e circostanze favorevoli. Muller, il cosiddetto “jolly” è capace di coniugare profondità e finalizzazione con estrema abilità, tatticamente risulta insieme a Scheweinsteiger il calciatore più intelligente.
Come appurato dal 4-2-3-1 di Van Gaal, Henynckes ha saputo estrapolarne solo il meglio, enfatizzando pressing, profondità e gioco di possesso attivo mantenendo una squadra cortissima in 1/3 del campo. Questa strategia ha permesso al Bayern di vincere in modo netto e meritato la Champions League e strapazzare il Barcellona dei record tra andata e ritorno, rifilando 7 reti e non subendone nessuna. Il Bayern Monaco di Heynckes non vinceva soltanto, dominava.
La differenza sostanziale tra le due squadre messe a confronto, oltre alla tattica e alla personalità, viene anche dal fattore estetico. Pep Guardiola non ha puntato allo spettacolo ma alla filosofia che l’ha reso famoso nel mondo, essa però in quel contesto non si è resa altrettanto concreta in Europa come in Germania, Heynckes invece non ha reso solamente a livello di risultati e coppe, ma anche dal punto di vista rappresentativo, portando sul rettangolo verde un team fortemente coeso e piacevole da vedere. Contro il Barcellona fu l’apoteosi del gioco sovrastante e iper-concreto, fatale nelle ripartenze e negli inserimenti, freddo sotto porta.
L’errore rilevante di Guardiola è stato rendere la macchina bavarese più umana, mortificando i ruoli granitici e spezzando il modello di gioco tipico tedesco. La personalità forte instillata da Heynckes in pochi mesi è scomparsa, lasciando il posto a questo Bayern decisamente senza mordente.
La speranza dei tifosi bavaresi ora è riposta in Carlo Ancelotti, il tecnico più vincente nella massima competizione, persino lo stesso Pep auspica nel suo successore “Spero faccia meglio”. Personalmente con questa affermazione è come aver affermato il proprio fallimento.