Ci ha lasciati questa notte Gustavo Giagnoni, ex giocatore e allenatore di Torino, Milan, Cagliari, Roma. Aveva 85 anni.
Nativo di Olbia, e conosciuto come l’uomo con il Colbacco per la sua usanza di indossare il noto copricapo ai tempi del Torino, Giagnoni dopo una carriera da mediano roccioso e grintoso nel Mantova (dove conosce anche un giovane Dino Zoff, suo testimone di nozze, tra gli anni Cinquanta e Sessanta), brucia subito le tappe come tecnico: in due anni porta il Mantova dalla salvezza stentata in B alla promozione in Serie A, e l’anno successivo si siede sulla panchina del Torino, guidato dal presidente Pianelli.
Giagnoni, juventino dalla nascita, sarebbe dovuto andare ad allenare proprio i bianconeri di Carlo Parola e compagni, ma Boniperti preferì al riccioluto sardo il cecoslovacco Vycpalek (zio materno di Zdenek Zeman). Nella stagione 1971-1972 il Toro ancora scosso dalla prematura scomparsa di Gigi Meroni, è in fase di costruzione, tuttavia si rivelerà sotto la guida del Giagno la sorpresa del campionato, grazie a dei giovani Claudio Sala e Paolino Pulici.
Complice anche la maxisqualifica di Rivera, Torino sponda granata riesce a inserirsi nella lotta scudetto tra la Juventus, il Cagliari di Riva e il Milan di Rivera, e a quattro giornate dal termine si ritrova in testa alla classifica. Il destino però si rivelerà avverso: mentre i bianconeri infilzano l’Inter di Boninsegna, i granata cadono in casa di un Milan orfano di Rivera. La compagine di Giagnoni finirà così il campionato a un punto dalla Vecchia Signora. Fino a quel momento il miglior risultato dopo la tragedia di Superga.
Il tecnico sardo dopo l’exploit iniziale non si ripeterà più: nel 1974 finisce sulla panchina del Milan scalcagnato della crisi societaria, conclusasi poi con il “golpe Rivera”, che rileverà la società da Buticchi, e del quale pagherà le conseguenze. Di fatto la sua carriera come allenatore di calibro finisce nel 1975 quando verrà rimpiazzato da Trapattoni. In seguito allenerà una Roma anonima da ottavo posto, poi si siederà sulla panchina, tra le altre, di Pescara (con il quale retrocede) Udinese e Cagliari (entrambe si salvano dalla retrocessione in B), fino al periodo 91-92, quando prima ottiene la promozione in A con la Cremonese, ma non riesce a evitare la retrocessione l’anno successivo.
Giagnoni con il suo colbacco portafortuna resterà tuttavia nel cuore dei tifosi granata: il tecnico olbiense non aveva peli sulla lingua e nonostante la sua fede bianconera, non indugiava nel denunciare la sudditanza psicologica della classe arbitrale, soprattutto negli accesi derby degli anni Settanta.
Tra le note dolenti un pugno scagliato nei confronti di Causio durante il derby di Torino del 9 dicembre 1973, reo di averlo preso in giro dopo la vittoria dei bianconeri per 1-0 (rete di Cuccureddu). Un gesto del quale Giagnoni si è sempre scusato: “Subito dopo aver compiuto quel gesto mi sono pentito e vergognato ma, da quel giorno, per i tifosi del Toro sono diventato un mito”. Recentemente in un’intervista ad Avvenire, ripensando a tutta la sua carriera di allenatore Giagnoni ha dichiarato: “oggi mi vergogno un po’ di quella storia e di tutte le “testate” che ho dato in campo, ma non sono del tutto pentito: agivo sempre d’impulso e per un senso di giustizia”.
Il Giagno sarà ricordato da tutti per sempre come un ribelle, ma il suo desiderio di libertà era il grido disperato di un’anima pura: “Non si vive di solo calcio – dirà nelle sue ultime dichiarazioni pubbliche, rilasciate circa tre anni fa – E la bellezza di questo sport mi ha permesso di riconoscere l’estetica di un quadro di Caravaggio, della musica di Mozart, magari suonata dal violino del mio amico Salvatore Accardo”.