Trump Gerusalemme

A giugno Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno interrotto le relazioni diplomatiche col Qatar e bloccato le frontiere di terra.

La ragione addotta da parte saudita era che il Qatar avrebbe sostenuto il terrorismo. (Leggasi Iran secondo i Sauditi). Pareva di vedere il classico bue che dava del cornuto all’asino. La situazione è tuttavia molto più complessa per poter essere volta solo sotto il registro sarcastico.

Il Qatar è governato da una famiglia regnante (gli Āl Thānī) wahhabita tanto quanto la famiglia regnante in Arabia Saudita (gli Āl Sa‘ūd). Il conflitto non è dunque “religioso” (sunniti contro sciiti), bensì politico.

Il Qatar, pur essendosi posto sotto l’ombrello difensivo americano e aver sostenuto i fratelli musulmani, ha cercato di mantenere comunque una politica estera a trecentosessanta gradi, tenendo aperti i canali di comunicazione con tutti gli attori regionali.

In particolare ha sostenuto i colloqui di pace tra Hamas e Fatah per favorire l’accordo per la creazione di un governo di unità nazionale palestinese dopo quasi dieci anni di dissidi. Allo stesso tempo, il Qatar ha facilitato alcuni colloqui informali tra Hamas e Israele nel 2015. Ha da più di dieci anni asserito che la stabilità regionale può derivare solo da un equilibrio di potenza tra l’Arabia Saudita e i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, da una parte, e l’Iran, dall’altra, e che solo una normalizzazione dei rapporti arabo-iraniani potrà stabilizzare il Medio Oriente.

Tutte queste cose non sono state gradite molto né a Washington né a Riyadh e il piccolo, spregiudicato e a onor del vero molto ambiguo Qatar si è trovato improvvisamente bersagliato da una serie di decisioni volte ad isolare la piccola monarchia del Golfo.

Passano pochi mesi e Trump incendia politicamente (e forse non solo politicamente) il Medio Oriente, prima cercando in tutti i modi di mandare all’aria l’accordo sul nucleare iraniano, poi promettendo Gerusalemme come capitale d’Israele. A questo punto viene difficile non collegare tutto quello che è accaduto con la visita in Maggio del Presidente americano Donald Trump in Arabia Saudita.

Da questo punto di vista, quella foto coi capi di stato e la sfera di vetro, forse troppo rapidamente consegnata anch’essa al registro del sarcasmo, acquisisce oggi una connotazione assai più rilevante nel definire il blocco sionista, con l’incognita dell’Egitto di Al-Sisi, nemico giurato del Qatar e dei fratelli musulmani, in ottimi rapporti con Israele e Arabia Saudita, ma allo stesso tempo mai nelle grazie occidentali.

Una decisione quella di The Donald che ha incendiato la politica internazionale. Mentre Netanyahu gongola ringraziando il presidente Usa: “È una giornata storica, un passo verso la pace”, l’Europa afferma la propria contrarietà nella voce di Lady PESC, Federica Mogherini: “Ogni mossa che vada contro lo sforzo di ottenere la pace andrebbe evitata” ha dichiarato l’ex Ministro degli Esteri italiano ai media. “La strada deve essere trovata attraverso le negoziazioni, per consentire a entrambi i paesi (Israele e Palestina, ndr) di avere Gerusalemme come capitale” ha concluso la Mogherini, appoggiata anche dal presidente francese Emmanuel Macron.

Insoddisfazione anche per Abu Mazen: “gli Usa si allontanano dal processo di pace” ha spiegato il leader dell’OLP, che si è rivolto a Vladimir Putin affinché la Russia garantisca la ripresa dei negoziati tra Palestina e Israele, ma il presidente russo è ora tra l’incudine e il martello, considerati i buoni rapporti con la comunità ebraica (molto presente in Russia) e allo stesso Netanyahu.

Minacce, come prevedibile, sono arrivate da Hamas, che ha dichiarato che la decisione “ha aperto le porte dell’inferno”, mentre il presidente turco Erdogan lancia il monito: “conseguenze pericolose” avrebbe secondo lui, la decisione di Trump.

Una questione, quella relativa al Medio Oriente che, contrariamente a quanto si tende a credere nel nostro paese, ci riguarda tremendamente da vicino. Soprattutto considerando il ruolo dei fondi sovrani delle petromonarchie del golfo nell’economia mondiale ed europea. Non sappiamo cosa attenderci da questi venti di tempesta che sembrano addensarsi, ma dopo il gesto compiuto da Trump, il rischio di una deriva dai connotati tragici è dietro l’angolo.

Fabrizio Conti