Il sovranismo affievolito: i casi di USA e UK
Dopo i primi cento giorni di mandato presidenziale dell’era Trump, l’entusiasmo sovranista e anti-globalizzazione si è un po’ affievolito.
All’inizio di gennaio, dopo l’insediamento del tycoon alla Casa Bianca, sembrava davvero che presto sarebbe giunta una nuova era, un cambiamento economico-politico che avrebbe investito tutto il globo e di cui avremmo beneficiato tutti.
Invece, dopo neanche due mesi dall’inizio della nuova presidenza americana, sembra che Donald Trump sia stato “normalizzato” dal partito repubblicano, con a capo McCain, e dal cosiddetto “deep state”, lo stato profondo americano, composto dagli interessi delle varie lobby di potere che indirizzano la politica americana su un binario prestabilito. Trump ha quindi dovuto accettare di allontanare da sé tutti i suoi alleati che aveva scelto come collaboratori, da Micheal Flynn a Steve Bannon.
In politica estera sappiamo bene cosa è successo: dopo alcuni timidi tentativi di riavvicinamento tra Mosca e Washington, scaturiti anche da una minima collaborazione e scambio di informazioni sul suolo siriano, la decisione americana di bombardare una base aerea siriana come punizione al presunto uso di gas Sarin nella regione di Idlib ha fatto precipitare nuovamente le relazioni diplomatiche tra Russia e Stati Uniti, tanto che da Mosca hanno dichiarato che mai le relazioni tra i due Paesi erano giunte a un livello così negativo.
In politica interna Trump, invece, ha dovuto fare i conti principalmente con il partito repubblicano, il quale ha assecondato il presidente sui temi etici, tanto cari alla destra cristiana, come ad esempio la battaglia contro l’aborto, ma ha posto ostacoli nella realizzazione del programma economico-sociale del tycoon. E’ il caso ad esempio dell’Obamacare, che Trump aveva intenzione di abolire totalmente e sostituirlo con qualcosa di diverso e meno gravoso per i contribuenti. Alla fine il presidente ha dovuto mantenerlo in vigore.
Sul fronte fiscale, sembra che la grande riduzione delle tasse promessa sia in dirittura di arrivo. Le imprese americane potranno usufruire di una flat tax del 15% che permetterà alle multinazionali e alle grandi compagnie soprattutto, di riportare in america i propri capitali detenuti all’estero, oltre che ad essere invogliati ad aprire nuovi stabilimenti sul suolo americano. L’unico ostacolo potrebbe riguardare le coperture: non sembra plausibile l’ipotesi che il Congresso permetta a Trump di finanziare il taglio delle tasse con l’indebitamento (cosa che gli USA non avrebbero problemi a fare) e confidare nell’aumento del gettito. Quindi probabilmente la grande riforma potrebbe essere affievolita dal dover trovare delle coperture di bilancio.
Nelle ultime ore, il tycoon è tornato a parlare anche di Glass-Steagall Act, la legge abolita da Bill Clinton che separava le banche d’investimento da quelle tradizionali, ma come ammesso da John McCain, c’è differenza tra il Trump che fa gli annunci e il Trump che compie i fatti, come ad indicare che senza l’approvazione del partito repubblicano il presidente non può realizzare nulla di quel che dice.
Abbiamo quindi un presidente americano tenuto a bada dai poteri forti americani allo stesso modo di come, nella saga del Signore degli Anelli, Théoden Re di Rohan era tenuto sotto l’incantesimo malefico di Saruman prima che arrivasse Gandalf il bianco a liberarlo.
Spostando il nostro sguardo verso il Vecchio Continente, notiamo che anche la spinta anti-UE dovuta alla Brexit si sta man mano affievolendo.
Il Primo Ministro britannico Theresa May ha da poco richiesto ufficialmente l’attivazione dell’art.50 del Trattato di Lisbona. I negoziati che porteranno il Regno Unito fuori dalla Gran Bretagna sono quindi praticamente già iniziati, tuttavia, a poche settimane dall’attivazione dell’art.50, Theresa May ha anche annunciato le elezioni anticipate che si terranno in giugno. Potrebbe trattarsi di una strategia per rafforzare l’esecutivo May e la leadership del partito conservatore, e sicuramente così sarà, ma dall’altro canto questa mossa da adito a molti di pensare che all’interno dello stesso partito conversatore ci siano defezioni rispetto all’intenzione di procedere con la Brexit o comunque sembra che le spinte filo-europeiste e le minacce di indipendenza che provengono da Scozia e Irlanda del Nord siano più forti di quanto ci si aspettasse.
Dai più recenti sondaggi sembra comunque che la vittoria dei conservatori sia scontata: il Tory party ha comunque circa 10 punti percentuali di vantaggio sui labouristi. Tuttavia la Brexit avverrà definitivamente tra due anni e ne passerà acqua sotto i ponti.
La crucialità del voto francese: Macron il candidato della Gauche caviar
Veniamo quindi alla Francia. I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali hanno dato ragione ai sondaggi ufficiali che davano negli ultimi giorni Emmanuel Macron qualche punto avanti rispetto a Marine Le Pen: il 23 aprile scorso le urne hanno confermato Macron in testa con il 24% dei consensi e Marine Le Pen seconda con il 21%.
Neanche il tempo di attendere la fine dello scrutinio che François Fillon e Benoît Hamon hanno immediatamente chiesto la ricostituzione del “fronte repubblicano” anti-FN dichiarando la loro intenzione di voto al ballottaggio per il candidato proveniente dalla Gauche caviar. Soltanto Jean-Luc Mélenchon, forte del suo 19% dei consensi, non si è unito al fonte repubblicano e non ha dato precise intenzioni di voto: dopo aver aperto una consultazione per i suoi sostenitori sulla sua pagina facebook (in cui veniva escluso il nome della Le Pen), ha dichiarato pubblicamente che andrà a votare, ma non per l’estrema destra.
Con tutta probabilità, Mélanchon consegnerà scheda bianca e se i suoi elettori non faranno lo stesso, è presumibile che protenderanno in gran parte per l’astensione.
Che una parte dei sostenitori della sinistra di Mélanchon possa votare Marine Le Pen è certamente possibile, soprattutto se questi guarderanno ai programmi di entrambi, i quali sul fronte sociale ed economico hanno molte analogie e ai propri interessi di pancia e non si faranno abbindolare dagli spauracchi ideologici che accusano l’ormai ex leader del Front National di essere fascista, consegnando quindi la Francia al capitalismo finanziario rappresentato da Emmanuel Macron.
Riuscirà, a questo punto, il fronte repubblicano costituito da gollisti e socialisti a reggere ad arginare il lepenismo? I sondaggi ufficiali, che dopo il primo turno meritano più credito anche da parte nostra che eravamo abituati alle smentite della Brexit e di Trump, dicono che sì, Macron riuscirà a vincere con un buon 60% dei voti. Tuttavia non è detto che stavolta gli elettori seguiranno le indicazioni dei candidati dei loro partiti. Per spiegare questo fenomeno abbiamo bisogno di capire meglio chi è Emmanuel Macron.
Come abbiamo già detto, è uno degli esponenti della Gauche caviar, la sinistra radical-chic, che da tempo ha abbandonato la lotta per i diritti sociali in favore dei diritti civili, che ha trasformato l’internazionalismo prima in cosmopolitismo e poi in globalismo e che è diventato il braccio politico del mondo delle élites finanziarie e mondialiste.
Proviene dall’École nationale d’administration (ENA), la scuola creata da De Gaulle per formare la classe dirigente della Repubblica francese. Lo stesso anno in cui finisce gli studi, nel 2004, entra a far parte del corpo interministeriale di ispezione generale delle finanze. Politicamente “creato” da Jacques Attali, l’economista e banchiere sostenitore del “poliamore”, dispezzante verso la “plebaglia europea” e sostenitore dell’eutanasia per i settantenni i cui costi pesano sul bilancio statale, Macron nel 2007 entra come relatore nella “commissione Attali”, la commissione per la liberalizzazione e la crescita francese e nel 2010 ne diventa membro per decreto.
Nel 2008 diventa un impiegato della banca Rothschild & Cie Banque e dopo due anni diviene un associato della stessa banca. Per cui Macron, non è un semplice impiegatuccio di una delle più grandi banche d’affari del pianeta, ma può dirsi a pieno titolo un membro effettivo della “famiglia Rothschild”.
Politicamente più di ispirazione centrista che di sinistra, è iscritto al Partito Socialista dal 2001. E’ nelle grazie di François Hollande almeno dal 2010, anche se i due si conoscono da prima, Macron sostiene l’amico alle primarie socialiste nel 2011 ed è al suo fianco nelle elezioni presidenziali che vedono Hollande salire all’Eliseo. Dopo essere stato segretario generale della presidenza della Repubblica, Emmanuel Macron diventa Ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale nel governo Valls II per il biennio 2014-2016.
Sotto il suo mandato come Ministro dell’Economia viene realizzata e approvata la tanto criticata “loi travail”, il Job’s Act in salsa francese, che per questo prende proprio il nome di “Legge Macron”. E’ in questo periodo che la disoccupazione in Francia cresce repentinamente, tanto da raggiungere attualmente il 10% circa.
E’ europeista convinto, intende rispettare il vincolo di bilancio europeo del 3% che al momento la Francia non rispetta, sostiene il multiculturalismo e non intende porre limiti particolari all’Islam radicale di stampo wahhabita, tanto da dichiarare che il terrorismo non si può combattere e che i francesi devono soltanto abituarsi agli attentati. Si è unito al coro russofobo e auspica un intervento militare diretto in Siria (ovviamente per deporre Assad), con o senza l’autorizzazione dell’ONU.
Per queste elezioni presidenziali è riuscito a farsi passare come outsider staccandosi dai socialisti e fondando il movimento En Marche!, una via di mezzo tra i nostri PD e Movimento 5 Stelle. Per questo motivo dopo il risultato del primo turno, molti analisti hanno dichiarato finito il vecchio dualismo tra gollisti e socialisti, tra destra e sinistra, per lasciar spazio a movimenti politici e categorie del tutto nuove.
Ma se questo può sicuramente dirsi vero per Marine Le Pen, non lo è per Emmanuel Macron, o almeno non lo è totalmente. Certamente le categorie destra-sinistra non valgono nemmeno più per lui che, pur venendo dal partito socialista, è espressione di una politica che guarda più al capitalismo finanziario che non alle questioni sociali (basti pensare che come Fillon, vorrebbe licenziare migliaia di dipendenti pubblici). Eppure, Macron non può dirsi un outsider solo per questo motivo: la sua militanza nel partito socialista, l’aver fatto parte fino a pochi mesi fa del governo socialista in carica, la sua particolare vicinanza a François Hollande, lo rendono il vero candidato socialista per queste elezioni presidenziali.
La débâcle di Hamon sta a testimoniare proprio questo e quei pochi voti presi dai socialisti confluiranno tutti nel calderone di Macron al ballottaggio. Ha detto quindi bene Marine Le Pen quando recentemente ha accusato Macron di essere in realtà “Hollande che vuole rimanere all’Eliseo”.
Anche per questo, la sfidante di Macron al ballottaggio sta puntando sui voti gollisti piuttosto che sull’elettorato di Mélanchon, che come abbiamo detto protenderà per l’astensione. L’elettorato di centro-destra potrebbe fare assai fatica a seguire le indicazioni di Fillon e mandare all’Eliseo il “figlioccio” di Hollande per continuare la politica disastrosa del governo socialista.
Le mosse della Le Pen degli ultimi giorni sembrano testimoniare l’intenzione di Marine di proporre il suo Front National come il vero erede di Charles De Gaulle. Le decisioni di abbandonare la presidenza del Front National, di allearsi con l’ex gollista Nicolas Dupont-Aignan e proporlo come eventuale Primo Ministro, nonché il recente errore di andare a copiare uno dei discorsi di François Fillon, ammiccano tutti all’elettorato gollista.
Il risultato del ballottaggio di domenica prossima è quindi nelle mani di Dio.
Dopo la Francia non ci sono appuntamenti elettorali favorevoli ai partiti sovranisti
E’ evidente che, comunque vada, il risultato che Marine Le Pen raggiungerà non potrà che renderci orgogliosi, tuttavia per la battaglia sovranista, questo ballottaggio ha un’importanza determinante e per i nostri interessi, Marine Le Pen è obbligata a vincere, non soltanto ad ottenere un buon risultato.
La vittoria di Macron porrebbe un freno all’avanzata sovranista e potrebbe politicamente rafforzare il progetto europeista e globalista. Questo si rafforzerebbe non tanto per le capacità di Macron, quanto piuttosto per la mancanza di appuntamenti elettorali determinanti quanto quello francese: premesso che Brexit non metterà in dubbio il futuro della moneta unica più di quanto ha già fatto (e quindi le elezioni inglesi passeranno abbastanza tranquille), gli unici appuntamenti elettorali significativi nel breve termine sono le elezioni tedesche in autunno e quelle italiane che non si sa ancora se verranno anticipate o se il governo Gentiloni verrà tenuto in vita fino a scadenza. Nelle prime comunque vincerà uno tra Angela Merkel o Martin Schulz, essendo AfD troppo debole e forse destinato a indebolirsi dopo le dimissioni di Frauke Petry, in Italia invece sarà testa a testa tra PD renziano e Movimento 5 Stelle, tra i quali, almeno a parere di chi scrive, non c’è molta alternativa. Se i 5 Stelle riusciranno a vincere e a formare un loro governo, nella migliore delle ipotesi faranno la fine di Tsipras, nella peggiore Di Maio diventerà l’erede di Mario Monti.
Passeranno quindi diversi anni prima che un’opportunità, com’è quella francese, venga a bussare alle nostre porte. Non potendo fare affidamento sui prossimi appuntamenti elettorali, anche se i sovranisti vi parteciperanno con tutte le buone intenzioni e non potendo almeno per il momento contare su una disgregazione dell’euro voluta dall’estero (dagli USA per intenderci), ad accelerare il cambiamento politico rimarrebbe soltanto il malcontento popolare.
Il reddito di cittadinanza come arma europeista per contenere il malumore popolare
Se ne parla molto poco, ma nella stessa Francia le proteste e le manifestazioni violente sono ormai all’ordine del giorno. Le proteste contro la loi travail avevano bloccato un intero Paese per settimane. Proteste più violente si verificano quotidianamente nelle banlieue tra autoctoni e seconde e terze generazioni di immigrati. Anche in queste due settimane che separano i due turni delle elezioni presidenziali, ci sono state proteste anti-Le Pen e altre anti-Macron: ieri n gruppo di violenti ha lanciato molotov sulla polizia, ferendo alcuni agenti.
Tra queste proteste e la continua minaccia terrorismo, il governo non riesce più a mantenere l’ordine. Difficile prevedere se una vittoria lepenista possa riportare ordine e a garantire sicurezza ai francesi, ma possiamo certamente dire che con la vittoria di Macron non cambierà molto rispetto ad ora.
E se la situazione economica dovesse peggiorare a causa dell’inasprimento delle politiche di austerità, la soluzione sembra pronta in casa UE: reddito di cittadinanza o reddito di inclusione, che dir si voglia.
Sembra che ormai questa misura sia stata sdoganata negli ambienti europei e anzi ormai i partiti filo-europeisti puntano tutto su questa. Arriverà presto in Italia il reddito di inclusione a firma PD, ma se non bastasse c’è pronto il reddito di cittadinanza che realizzerà un eventuale governo a 5 stelle. In Francia è Macron che ha proposto qualcosa di simile.
Verranno assicuriate poche centinaia di euro ai disoccupati e alle famiglie più povere con lo scopo di sostenere i consumi. Così le multinazionali potranno spostare le produzioni in Polonia, in Romania, in Cina, senza preoccuparsi di non poter piazzare comunque il prodotto finito nel mercato UE. I cittadini europei, dal canto loro, continueranno a comprare i prodotti che desiderano senza domandarsi perché non sono più loro a produrli. Senza dimenticare che sarà tutto fatto seguendo le regole europee, quindi verranno trovate coperture finanziari attraverso tagli di spesa o aumenti di tasse. Questo terrà buono il popolo, finché dura, almeno per un po’. Poi si vedrà.
Marine Le Pen è obbligata a vincere
Per questo la Francia è cruciale e domenica prossima Marine Le Pen è obbligata a vincere. Sarà quasi impossibile: le forze della globalizzazione sono ancora molto forti e Macron ha la vittoria in pugno, ma dobbiamo fare affidamento nel risveglio della coscienza dei francesi che non dovranno assecondare chi grida al fascismo per ogni cosa che ostacola gli interessi dell’élite dominante, ma il popolo francese dovrà guardare al concreto, ai propri interessi, al proprio portafoglio, ai propri bisogni di tranquillità e sicurezza.
Se al contrario vincerà Macron dovremo essere pronti a soffrire ancora e dovremo essere pronti ad ogni conseguenza, confidando magari nella divina Provvidenza affinché riduca il tempo della pena e ci mostri una strada che al momento i nostri occhi non possono vedere.
Marco Muscillo