Il referendum che si è tenuto ieri in Catalogna ha riacceso il dibattito sul diritto dei popoli all’autodeterminazione dei popoli e le derive di balcanizzazione che un eccesso interpretativo di tale diritto potrebbe portare.
Circa un anno fa, scrivemmo un altro articolo sui desideri di indipendenza dei catalani, ripercorrendo la storia comune del Regno di Spagna e della Catalogna e la poca coerenza dei catalani che allo stesso tempo, un po’ come vorrebbe fare la Scozia con Londra, desiderano staccarsi da Madrid ma chiedono di restare nell’Euro, nell’UE e nella NATO.
Basta mettere a confronto le due bandiere di Spagna e di Catalogna per notare un’origine comune. Quelle quattro barre rosse su fondo dorato, le Barras de Aragón, antico simbolo araldico dei Conti di Barcellona prima e della Corona d’Aragona poi, comune anche a molte province della Francia meridionale (che ricordano il passato franco della “Marca di Spagna”) e agli stemmi di molti comuni dell’Italia meridionale, dimostra che la storia di queste regioni e dei suoi popoli è indissolubilmente legata.
La stessa Corona di Spagna non è affatto aliena dalla tradizione catalana. Non ci sono mai state conquiste o annessioni imposte con la forza nel Regno di Spagna ma i regni cristiani della penisola iberica si sono uniti e sono diventati uno grazie a matrimoni e successioni dinastiche. Così il Conte di Barcellona diventò Re d’Aragona e questi più tardi divenne Re di Spagna.
Tralasciando i problemi sulla legittimità dinastica e le diatribe sulla successione tra isabellisti, carlisti e austricisti, il Re di Spagna è tale in quanto Re d’Aragona, che allo stesso tempo è Conte di Barcellona.
Ecco forse perché l’Indipendenza catalana non può essere slegata dall’idea repubblicana: sul trono di una Catalogna indipendente e monarchica salirebbe paradossalmente lo stesso Re di Spagna.
Può tutto questo essere ignorato per legittimare una presunta autodeterminazione catalana, al di fuori dei confini spagnoli?
Le tensioni tra Catalogna e stato centrale “castigliano” iniziarono più tardi con l’abolizione dei cosiddetti fueros, che garantivano l’autonomia e il decentramento locale. Fu appunto con l’affermarsi dello stato centralizzato moderno che emersero tutti i problemi, quello linguistico su tutti.
Prima del 1707, anno dell’abrogazione dei fueros de Aragón, la Spagna era stata un Impero, dove ogni territorio locale faceva parte del tutto e la lingua non costituiva alcun problema, visto che le leggi locali venivano promulgate nella lingua locale.
Fu poi in epoca moderna, nel ‘900, che le ragioni catalane si legarono ai sentimenti secessionisti e alle idee di stampo socialista e repubblicano (oggi trasformatesi in ideologia radical, globalista e no-borders), tanto da far pensare che l’indipendentismo catalano abbia ragioni più politiche che non tanto storico-culturali-linguistiche.
Ripetiamo la domanda: può la divergenza di idee politiche legittimare una presunta autodeterminazione catalana, al di fuori dei confini spagnoli?
Dopo la caduta del franchismo, la Catalogna ha ottenuto larghissima autonomia, tanto da avere un proprio parlamento, un proprio governo regionale e una propria polizia. Mancherebbe forse il passo della piena autonomia fiscale, la quale metterebbe fine ai trasferimenti di denaro verso le regioni spagnole più povere.
E forse si riduce davvero tutto a una questione di soldi. La Catalogna è, infatti, la regione spagnola più ricca e sviluppata che, attraverso il sistema dei trasferimenti, contribuisce alla solidarietà statale verso regioni più in difficoltà.
Gli indipendentisti catalani puntano molto su questo, un po’ come da noi la vecchia guardia della Lega Nord punta sul federalismo fiscale per non dover trasferire più i propri soldi alla Calabria.
Ma qui c’è di fondo lo stesso errore: se Lombardia e Catalogna sono così sviluppate è anche perché hanno potuto contare negli anni sulla zavorra delle regioni più povere che gli ha dato da un lato una moneta svalutata rispetto alla forza della propria economia e dall’altro lavoratori a basso costo che emigravano da quelle regioni dove il lavoro scarseggiava. Per tenere in piedi questo sistema e usufruire di questi vantaggi, sono necessari i trasferimenti, che addirittura accentuano le divergenze tra le diverse aree economiche.
Terza domanda: può un certo razzismo di matrice territoriale e la volontà di non voler pagare le tasse per la solidarietà statale legittimare una presunta autodeterminazione catalana, al di fuori dei confini spagnoli?
Tornando ai fatti di ieri, alla reazione dura di Madrid e agli eccessi della Guardia Civil, forse c’è da ammettere che il governo spagnolo ha sbagliato totalmente la sua strategia.
Premesso che nessun ordinamento giuridico e nessuna Costituzione possono legittimare spinte separatiste e secessioniste e che quindi un referendum per l’Indipendenza è in qualsiasi Stato del mondo illegale (a meno che non sia l’ONU o un altro organismo internazionale a pretenderlo e a renderlo legale), probabilmente il governo Rajoy avrebbe dovuto lasciare che le consultazioni illegali si svolgessero regolarmente(come è successo altre volte in passato), per provare a sgonfiare la bolla mediatica che c’era attorno a tale evento. Usando la forza ha forse alimentato ancora di più la sete di scoop dei mass media e allo stesso tempo ha portato dalla parte degli indipendentisti tanti catalani che prima erano a favore dell’unità spagnola.
La reazione spagnola ha di certo complicato le cose e amplificato il problema, oltre che portato dalla parte dei catalani l’opinione pubblica più sentimentalista.
Ma se il governo ha reagito in quel modo probabilmente si è sentito anche sotto pressione e isolato. Mariano Rajoy non è certamente un fine stratega: sarà bastata la pressante attenzione dei media alla causa catalana e il quasi totale mancato appoggio dell’Unione Europea e degli altri Stati (che si sono limitati a una formale richiesta di “rispetto della Costituzione”, ma nulla di più) a fargli protendere per l’uso della forza e la repressione.
Forse ancora dobbiamo guardare a quella ideologia globalista a cui si rifà la classe dirigente catalana e per la quale simpatizzano sia gran parte dei network mediatici internazionali che le stesse istituzioni dell’Unione Europea.
Una Catalogna indipendente che professa questi “valori” fa comodo a molti, perfino all’UE, che non ha da temere per una disgregazione della moneta unica che comincia proprio da lì e che per sopravvivere, in quanto entità sovranazionale burocratico-finanziaria, ha bisogno della perdita delle sovranità particolari e della fine degli Stati nazionali.
Marco Muscillo
….articolo fantastico !…complimenti,,,,
Articolo da 10 e lode. Io aggiungerei che, la borghesia catalana che adesso insulta gli spagnoli e li chiama franchisti, è la stesa che per 40 anni ha leccato il **** a Franco perche continuasse ad investire soldi nello sviluppo industriale della regione in detrimento del sud. Ora ci ricambiano così.
La Catalogna non ha bisogno di autodeterminarsi, perché lo ha già fatto partecipando alla stesura della Costituzione democratica del ’78. Non ha libertà o diritti negati da rivendicare, perché nessuno stato straniero l’ha invasa o la opprime. Se il problema è fiscale, esprima una classe dirigente in grado di trattare con il potere centrale la questione, invece di ammantarla di romanticismi libertari che rischiano solo di innescare lotte fratricide in un paese che la guerra civile l’ha vissuta sulla propria pelle a caro prezzo. Il nazionalismo delle piccole patrie non è meno pericoloso di quello delle grandi nazioni, che abbiamo già conosciuto, ma di cui ci siamo anche dimenticati.
Concordo dunque con l’analisi, ma toglierei il “forse” laddove è scritto che Rajoy ha sbagliato la sua reazione.
La situazione Catalana non puo’ essere paragonata a quella scozzese , sono altre storie e altre situazioni, la Scozia ha veramente le caratteristiche storiche e politiche oltre che etniche e culturali per richiedere il ritorno a stato autonomo. Non sto a ripetere la storia scozzese come ho gia’ fatto in altra data in occasione del referendum perduto dal SNP.
La situazione catalana e’ completamente diversa e la richiesta dei catalani di avere addirittura uno stato proprio non e’ giustificata.
Le soluzioni sono sempre legate a sistemi federali come per esempio la Svizzera o la Germania.
Comunque queste spinte sono anche il risultato di politiche fiscali che per “solidarieta” verso altre regioni piu’ “povere” hanno sostituito prelievi esagerati assolutamente ingiustificati che premiano la inefficienza e lo stato di assistenzialismo perpetuo di certe aree della Spagna.
Quindi le principali responsabilita’ di questa situazione sono da addebitare esclusivamente allo stato centrale spagnolo che continua a vessare la catalogna con prelievi esorbitanti.
La stessa cosa potremmo dire dell’Italia, in effetti ci sono regioni che ormai vivono solo di trasferimenti dal nord al sud e di assistenzialismo che non aiuta lo sviluppo delle regioni del sud ma alimenta un bacino di voti sempre agli stessi gruppi di potere politici che continuano ad avere peso nelle scelte di politica economica.
Non mi stupirei che il precipitare della situazione catalana ( che non ci auguriamo assolutamente) possa innescare simili richieste in Italia.
La situazione fiscale ormai arrivata a livelli insopportabili in italia potrebbe creare le stesse condizioni che oggi vediamo in Spagna.
Il paragone con la Scozia riguardava solo la questione Euro e UE. Per il resto sono abbastanza concorde, anche se dal punto di vista storico dobbiamo ammettere che la anche la Scozia è entrata a far parte del Regno Unito perché Giacomo Stuart, legittimo Re di Scozia, assunse per successione anche la Corona d’Inghilterra alla morte di Elisabetta Tudor.
E’ un fatto da tenere in considerazione.
Sui trasferimenti fiscali: l’articolo non voleva esserne un elogio. Anzi, la mia posizione è molto critica verso tale sistema.
Solo che senza un’alternativa efficiente, il solo fatto di ridurli o eliminarli costituirebbe la morte delle regioni più povere a discapito della felicità di quelle più ricche.
Insomma, in un contesto nazionale anche l’autonomia fiscale dovrebbe essere fatta per promuovere lo sviluppo dell’intero Paese e non per far campare alcuni politici che possono vantarsi del loro “buon governo” facendo propaganda contro le inefficienze e i problemi del Sud, causati da una situazione che è strutturale.
E’ lo stesso discorso che fa la Merkel con noi.
L’autodeterminazione dei popoli significa che i popoli possono auto determinarsi. È una fuffa ideologica il pensare che tale autodeterminazione significhi in realtà autodeterminazione dei governi. Tale principio non può essere visto solo attraverso la prospettiva di chi ha il potere Ma deve essere visto sotto la prospettiva dei cittadini che lo vogliono adottare.