Catalogna

Giovedì si terranno le elezioni in Catalogna, in uno scenario del tutto nuovo rispetto a qualche settimana fa: prima di tutto il fronte indipendentista risulta spaccato, dopo la spaccatura fra la sinistra e i conservatori che fino a questo momento avevano sostenuto insieme lo scontro con Madrid. Ma anche il fronte unionista, benedetto da Mariano Rajoy, non sembra godere di migliore salute, e ciò contribuisce indubbiamente a rendere imprevedibili gli esiti della partita fino all’ultimo minuto.

Carles Puigdemont, fuggito a Bruxelles per evitare l’arresto o l’imputazione per ribellione, continua ancora ad essere il leader di Junts per Catalunya. Anche se continua a presentarsi come “il presidente legittimo della Catalogna”, la vecchia guardia l’ha di fatto abbandonato, o ha comunque preso le distanze da lui, mettendo da parte le velleità indipendentiste. A pesare su questa scelta è la situazione economica, dovuta alla sempre più accentuata fuga delle imprese catalane dalla regione.

Secondo i sondaggi, il nuovo Parlament catalano sarà a dir poco frammentato, con una sostanziale parità elettorale fra i due fronti che permetterà comunque un lieve vantaggio in termini di seggi per gli indipendentisti. Ciudadanos potrebbe in ogni caso diventare il primo partito, grazie anche alla spaccatura fra Puigdemont e Junqueras, mentre anche per la partecipazione al voto si prevedono percentuali storiche: dall’80 fino addirittura al 90%.

Serviranno comunque anni per risanare le lacerazioni fra la Catalogna e il resto del paese, anche perché molto probabilmente queste elezioni non risolveranno i problemi ma piuttosto li ripeteranno. Nel frattempo, dal referendum del primo ottobre ad oggi, risultano essere ben tremila le imprese catalane che hanno spostato la loro sede sociale fuori dalla “Catalunya”, e tra queste vi sono le 62 principali aziende del paese, il cui impatto sul PIL della regione è pari a 11,5 miliardi di euro (il 5,4% dell’intera economia catalana). Anche l’economia spagnola, ovviamente, risentirà del clima di sfiducia generato nei mercati dalla crisi catalana: le stime di crescita del PIL, infatti, sono state tagliate dello 0,1% dalla Banca Centrale sia per il 2018 che per il 2019.