E’ passato quasi sotto traccia ma il rischio è stato grande. Solo grazie alla fermezza del ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, è stato “affondato” un emendamento al Decreto crescita, già approvato in Commissione, contenente una norma capace di equiparare il vero made in Italy a quello falso.

La modifica, pubblicata sul Bollettino delle giunte della Camera, andava ad incidere su una questione particolarmente scivolosa: l’utilizzo sulle confezioni dei beni prodotti nel nostro Paese del tricolore in tutte le possibili varianti assieme alla dicitura “made in Italy”.

L’emendamento presentato da tre deputati del M5s, Maria Laura Paxia, Marialuisa Faro e Raffaele Trano, avrebbe scelleratamente consentito alle imprese nazionali ed estere che producono beni sul territorio nazionale di apporre, ai sensi della normativa comunitaria, “segni descrittivi recanti l’emblema dello Stato assieme alla dizione Made in Italy, in congiunzione con contrassegni recanti i medesimi elementi, finalizzati al contrasto della contraffazione”.

“Contrasto della contraffazione” ma richiamo alla disciplina Ue, che purtroppo consente l’utilizzo della bandiera tricolore su prodotti ricavati da materie o semilavorati importati nel nostro Paese.

L’articolo 60 del Codice doganale dell’Unione europea, intitolato “Acquisizione dell’origine”, è chiaro: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi sono considerate originarie del Paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata”. La toppa dei pentastellati sarebbe stata quindi peggiore del buco.

Fortunatamente l’emendamento è stato stralciato perché il ministro leghista delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, è riuscito ad ottenere che tornasse in Commissione per verificarne la “congruità ordinamentale”, cancellando del tutto la norma dal testo finale del Decreto crescita.

“È stato sventato un vero e proprio blitz ai danni della produzione agroalimentare nazionale con lo stop alla proposta emendativa che proponeva la facoltà di utilizzare l’emblema di Stato con la dicitura ‘Made in Italy’ per beni alimentari ottenuti anche con prodotti stranieri”. Lo afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, nell’esprimere apprezzamento per il positivo lavoro congiunto svolto con gli Uffici competenti del Ministero delle Politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo guidato da Gian Marco Centinaio.

“Un risultato importante, sottolinea Prandini, per evitare di legittimare l’inganno dei prodotti stranieri spacciati per italiani usando come criterio il codice doganale ai sensi del quale il luogo d’origine è paradossalmente quello dell’ultima trasformazione sostanziale cosicché cagliate importate dall’estero consentono la produzione di formaggi italiani o carni macinate ugualmente provenienti da Paesi europei o extraeuropei determinano la produzione di salumi nazionali”.

L’impegno della Coldiretti “per evitare la recisione del collegamento tra filiere e territorio, ponendo a rischio investimenti produttivi, posti di lavoro e occasioni di successo dei nostri prodotti autentici a livello del commercio internazionale, ha fatto sì, precisa Prandini, che quell’emendamento sia stato ritirato per ragioni di congruità ordinamentale”.

Per il presidente della maggiore organizzazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana, occorre “uno stop all’utilizzo di contrassegni ingannevoli per i consumatori ai quali va garantita la trasparenza delle informazioni dando ora piena attuazione alla legge sull’obbligo di etichettatura di origine di tutti gli alimenti, accelerando sull’emanazione dei necessari decreti applicativi”.