A distanza di cento anni da quel 23 marzo 1919, la data di fondazione dei Fasci Italiani di combattimento nel corso dell’adunata tenuta da Benito Mussolini nel circolo dell’Alleanza Industriale in piazza San Sepolcro a Milano, non si è ancora presa una visione a tutto tondo quanto obiettiva di quei fatti storici, determinata anche pregiudizi in merito volti anche a sconfessare un’analisi storica che possa portarci a comprendere la nascita di questo nuovo fenomeno che interessò la vita politica nazionale italiana per i successivi 26 anni.
Non possiamo comunque già sostenere che il Fascismo sia già al momento della sua nascita quello che determinerà la vita sociale, politica ed economica degli italiani per poco più di un ventennio, giacché il tutto parte sostanzialmente dalla precedente esperienza politica precedente maturata nella persona dello stesso Mussolini, il quale sarà sì l’artefice della trasformazione del movimento fascista fino ad arrivare alla costituzione del partito stesso il 7 novembre 1921, ma anche a quello che effettivamente il Fascismo volle dichiarare di essere alla sua nascita sotto l’egida del Sansepolcrismo, e cioè una “interpretazione assolutamente nuova e senza precedenti” che si potesse scindere dal concetto tradizionale di partito, quindi già con una visione prettamente antisistema, e che potesse contrapporsi all’immobilismo della stessa classe dirigente, colpevole agli occhi di diversi reduci della Grande Guerra di essersi posta al di sopra di una reale coscienza collettiva della nazione italiana messa ai margini anche per interessi puramente politico-diplomatici.
Gli stessi reduci costituirono una sorta di capro espiatorio per numerosi socialisti oltre che operai, mossi da un clima di risentimento oltre che insoddisfazione, quando furono molti gli episodi di ingiuria e violenza utilizzata contro gli ex combattenti, con il tacito assenso della polizia ma anche grazie all’ambiguità e all’indulgenza della politica stessa di allora.
Il Sansepolcrismo fascista fece intendere una coesione tra gli interessi dei nazionalisti e dei reduci con quelli dei sindacalisti rivoluzionari che erano rimasti marginalizzati dello stesso sindacalismo. Era stato compreso infatti che sia la vecchia classe dirigente liberale sia il partito socialista non erano stati in grado di fornire soluzioni efficaci affinché l’Italia potesse essere considerata una potenza di tutto rispetto in ambito europeo, e l’insofferenza dimostrata anche nei confronti della stessa politica dei vincitori, in particolare nei confronti del presidente americano Wilson, aveva condotto all’idea che le istituzioni italiane, avendo di fatto accettato il fatto compiuto della rinuncia a determinate pretese su territori come la stessa Dalmazia, già promessa a suo tempo con il Trattato di Londra del 1915, oltre che successivamente la città di Fiume, avrebbero posto l’Italia in una posizione subalterna rispetto alle altre potenze europee vincitrici. Cosa assolutamente inaccettabile per chi di fatto aveva combattuto sulle rive del Piave e sul Carso e che, come detto precedentemente, alla fine del conflitto si era ritrovato a vivere in un clima di ostilità da parte di altri cittadini italiani invece che di celebrazione per i sacrifici fatti in nome della patria.
Nomi importanti si fecero vedere in quel giorno in piazza San Sepolcro. Tra i partecipanti che risposero all’appello di Mussolini si poterono intravedere anche sindacalisti rivoluzionari, anarchici e futuristi. Oltre ai ben noti futuri quadrumviri della Marcia su Roma presenti in quel giorno (Italo Balbo, Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi e Emilio De Bono), un ruolo di primo piano lo assunse lo stesso Filippo Tommaso Marinetti, il quale come esponente principale del movimento futurista, già conosciuto come Partito Politico Futurista, si accostò al Manifesto di Sansepolcro e alle sue linee guida, contestando pesantemente il ruolo del partito socialista visto inefficace quanto ambiguo nei confronti degli stessi lavoratori italiani. Egli stesso compose un poema dedicato all’evento in questione e che ricordava gli scontri combattuti tra il 1918 e il 1919 contro i militanti socialisti e anarchici. Assieme a Marinetti, altri protagonisti di quella giornata furono gli stessi Mario Carli e Alceste de Ambris, i quali successivamente saranno delle figure di spicco nell’ambito dell’Impresa Fiumana di Gabriele d’Annunzio a Fiume a partire dal settembre dello stesso anno.
Benito Mussolini intervenne per primo spiegando all’assemblea quali sarebbero stati i punti focali del suo movimento e si soffermò in particolare a ringraziare i reduci e i caduti italiani che avevano combattuto in trincea, sottolineando che l’Italia non avrebbe accettato politiche straniere miranti esclusivamente a condizionare le stesse scelte dell’Italia in materia estera. L’obiettivo di Mussolini di creare una “Terza Via” era dettata dal fatto che un governo avrebbe dovuto essere al di sopra delle singole opinioni divergenti dei partiti stessi e che di fatto si sarebbe dovuta presentare un’alternativa sia al sistema capitalista sia al sistema comunista nell’ambito dei diritti sociali e del lavoro. Queste proposte vennero solamente in parte applicate durante il Ventennio fascista e trovarono nuova linfa vitale nel breve periodo del fascismo repubblicano sotto la Repubblica Sociale Italiana nell’ambito della cosiddetta socializzazione delle imprese e dei mezzi di lavoro.