Il più grande rumore del mondo è il silenzio
(Thelonious Monk)
Un artista eccentrico ed enigmatico
Sono passati cento anni dalla nascita di Thelonious Monk, ma tutte le volte che, ancora oggi, facciamo girare un suo cd nel lettore, facciamo posare la puntina sul vinile o, più semplicemente, ci guardiamo su youtube un suo video, siamo sicuri che senz’altro ci sfuggirà qualcosa.
Thelonious Monk era una sfida aperta, una sfida al suo tempo (quasi sempre le sue composizioni, divenute standard e imprescindibili nel repertorio jazz, verranno scoperte a distanza di diversi anni), una sfida al cuore e al cervello dell’ascoltatore, quando lo avvolgeva con temi all’apparenza semplici ma armonicamente di una complessità mostruosa.
L’eccentrico, lo strano, il più solitario, quello che indossava buffi cappelli (quanti epiteti in quegli anni) era, in realtà, con la sua musica, lucido, attento e rigoroso come pochi.
Monk è stato ‘Round about Midnight, universalmente riconosciuto oggi come il classico jazz per eccellenza, ma è stato anche Evidence, un pezzo di una radicalità compositiva ed esecutiva sovranamente in anticipo sui tempi. In Evidence, in particolare, il ritmo elastico del suo lavoro lo si nota soprattutto nelle pause, del tema, come ricorda il musicologo Stefano Zenni, rimangono solo accenti isolati. Esiste, tra l’altro, una versione pubblica, rintracciabile su youtube, del pezzo dove ad un certo punto Monk si alza e comincia a ballare (già Julio Cortàzar aveva fatto cenno a Thelonius danzante in un passaggio di Il giro del mondo in ottanta giorni).
Monk è stato il Bebop, ma in maniera decentrata, eccentrica; insomma ovunque, dappertutto, sempre, Monk era Monk. Allora si vada a cominciare e vediamo un po’ cosa salta fuori.
I primi anni
Thelonious Monk (da adesso TM) nasce a Rocky Mount, nella Carolina del Nord, il 10 ottobre del 1917. Nel 1922 la famiglia si trasferisce a New York, dove ancora bambino, inizia da autodidatta, a suonare il pianoforte.
Mostra una spiccata curiosità musicale, ascolta inni sacri e gospel (suona in un coro evangelico), ma anche compositori classici, mostrando un grande amore per Chopin e Rachmaninov. Decisivo è in questa fase l’incontro con la pianista Alberta Simmons che fa conoscere a Monk la musica di alcuni fondamentali pianisti jazz come Fats Waller, James P. Johnson e Scott Joplin. In questi anni Monk apprezza molto lo “stride piano”, che è uno stile pianistico sviluppatosi a New York in particolare nel decennio 1920-1930.
Il Bebop
Ma siamo già alle soglie della grande rivoluzione degli anni Quaranta: sta per nascere il Bebop.
Al Mintons Playhouse di New York in quegli anni si sta facendo la storia del jazz, quando sul palco sfilano il chitarrista Charlie Christian, il saxofonista Charlie Parker, il pianista Thelonious Monk, il trombettista Dizzy Gillespie (pure lui nato nel 1917).
Il bebop è un modo di approcciarsi alla musica, alla vita, al mondo che cambia, alla velocità di quei tempi frenetici. I boppers nelle serate al Mintons sperimentavano continuamente, si confrontavano tra di loro e con il pubblico, improvvisavano nuove soluzioni armoniche e non solo: Parker volava e dopo l’esposizione del tema accendeva l’intera sala in jam infuocate con Gillespie, Monk e Max Roach.
La struttura, sostanzialmente, era dunque un tema a cui facevano seguito numerosissime improvvisazioni e poi veniva riproposto il tema.
Monk fondatore del Bebop?
E Monk? Monk riteneva, indispensabile in questo senso la biografia “Storia di un genio” di Robin D.G. Kelley uscita per Minimun Fax nel 2016, di non aver avuto il giusto riconoscimento del suo ruolo di autentico fondatore del Bebop.
La storia ci ha consegnato Dizzy Gillespie, che incise anche un pezzo dal titolo Bebop, e Charlie Parker quali iniziatori del genere, mentre TM, il Sommo Sacerdote (priest, scherzando sul suo cognome Monk-monaco) del bebop era tenuto in una posizione di rilievo, ma non determinante. Egli, addirittura, affermerà in seguito che gli altri erano stati influenzati da lui, mentre lui non altrettanto. A distanza di qualche anno e seppure indirettamente, Gillespie, replicherà dicendo che negli anni del grande fermento dei boppers era difficile stabilire ruoli, visto che egli stentava a ricordare cosa aveva preso da lui e viceversa.
A scanso di equivoci va, però, doverosamente ricordato che il bop di Monk era per molti versi atipico rispetto a quello di Parker e Dizzy, visto che il suo jazz era meno vorticoso e virtuosistico, preferendo un approccio interrogativo e articolato, che necessitava, per l’ascoltatore di cautela e circospezione nell’approccio alla sua musica.
Si pensi ad Epistrophy: apparentemente assomiglia ad altri pezzi swing dell’epoca, in realtà presenta incredibili arditezze cromatiche, che hanno portato il brano ad entrare con estrema lentezza (come del resto moltissime sue composizioni) nel novero della letteratura jazzistica di altri musicisti.
Il Pianoforte
TM era un pianista unico. Autodidatta, se escludiamo il fecondo rapporto con Alberta Simmons, suonava usando le dita dritte e non arcuate; il suo battere sui tasti bianchi e neri della tastiera sembrava una percussione.
Si diceva sbagliasse le note, al che rispondeva: “Una nota può essere piccola come uno spillo e grande come il mondo, dipende dalla tua immaginazione”.
Provate ad ascoltare da Thelonious Himself del 1957 la classica ‘Round Midnight, seguite le metamorfosi del tema, lasciatevi guidare dai suoi stravolgimenti. Occhio che rischiate di andare a sbattere da qualche parte, ma ne vale la pena. Ascoltate le pause, immergetevi nel sospeso, nel non detto (solo in apparenza), come del resto nel suo tanto amato Chopin, dove accanto alle note vanno assaporati i silenzi.
“Non suonare sempre tutto e sempre, lascia che alcune cose sfuggano, che parti della musica vengano solo immaginate; quello che non suoni può avere più importanza di quello che suoni”, così chiosava Monk. Dunque un pianismo per sottrazione, come nelle numerose Testa di ragazza di Costantin Brancusi o, pure, nella sua Colonna senza fine, asciutta e rivolta verso l’alto, protesa verso il cielo.
Thelonious Monk e John Coltrane
Fondamentale per TM il rapporto con John Coltrane (JC muore nel 1967, dunque questo è pure un anno coltraniano), che Monk accoglie quando Miles Davis lo caccia dal suo gruppo perché ritenuto infaffidabile per colpa della sua tossicodipendenza. Da questa amicizia nasce un quartetto ingaggiato al Five Spot di New York nel 1957 dove suonano per sei giorni alla settimana dalla metà di luglio alla fine di dicembre dello stesso anno.
John Coltrane era letteralmente rapito dalla personalità di Monk, tanto che, per un certo periodo, arriva a frequentare casa sua. Spesso, addirittura, piombava a casa sua e lo svegliava: Monk allora si alzava e si metteva al pianoforte improvvisando e suonando qualsiasi cosa gli saltasse in mente in quel momento. A quel punto Coltrane tirava fuori il sax e cominciava a suonare, quando, poi arrivava un passaggio particolarmente difficile Monk tirava fuori una cartelletta e mostrava al saxofonista lo spartito.
Era, dunque, tutto scritto, anche se, aggiungeva TM, è necessario, sempre, suonare senza spartito, perché occorre, sosteneva, suonare a orecchio; fino a quando, dunque, la musica era entrata dentro al tuo corpo e al tuo spirito. A un certo punto, poi, immancabilmente, Monk usciva di casa, da casa sua, e lasciava Coltrane a suonare da solo, poi tornava e ricominciavano a suonare insieme.
Ascoltate Monk’s mood dal live alla Carnegie Hall con la medesima formazione della stagione al Five Spot, assaporate quel concentrato di speculazione intensa e ritmo incalzante che si viene a creare tra i due musicisti e il resto del gruppo.
Thelonious Monk e il Sax Tenore
Monk ha avuto un rapporto decisamente molto importante con il sax, in particolare con il sax tenore. Hanno suonato con e per lui: Coleman Hawkins, che Thelonious ha voluto al suo fianco per la tenerissima ballad Ruby, my dear (contenuta nel disco Blue Monks del 1957), dedicata alla prima importante donna della sua vita, Rubie Richardson, il già ricordato John Coltrane, Johnny Griffin, Charlie Rouse (che ha lavorato con lui per diversi anni), Sonny Rollins e Charlie Parker (consigliata una splendida Well you needn’t da Monk trane del 1973).
Nel 1957, però, incontrando un suo vecchio amico, Gerry Mulligan, decide di incidere un disco con lo splendido interprete del sax baritono: ne esce un disco morbido e suggestivo dal titolo Mulligan meets Monk, dove, accanto ai suoi classici come Straight No chaser e ‘Round Midnight, si fa notare una trascinante Rhythm-a-ning, composta dallo stesso TM.
Gli ultimi anni
Dal 1976, dopo alcuni episodi agli inizi degli anni settanta che ne denunciavano il precario stato di salute (pare soffrisse di disturbi bipolari non diagnosticabili in tal senso in quegli anni), a partire dal 1976 è ospite della baronessa Pannonica de Koenigswarter a Weehawken nel New Jersey, alla quale aveva dedicato un pezzo contenuto in Brilliant corners, anche questo disco del 1957.
In questi anni si chiude ancora di più nel suo mondo, non parla, non suona, fino alla morte sopraggiunta per infarto il 17 febbraio 1982.
Per finire come cominciare
Si finisce cominciando, il cerchio si chiude e rimane la musica, splendida, a tratti misteriosa, come Misterioso (ascoltatelo dall’omonimo album del 1958) è il titolo di un pezzo che racchiude, a mio avviso una parte notevole dello spirito di Monk: la melodia è costruita su uno schema in fondo assolutamente prevedibile (è un classico blues in dodici battute) e avanza procedendo con una sorta di su e giù; eppure, eppure grazie a pochi tratti di colore, Monk costruisce un pezzo surreale, irresistibile, di difficilissima esecuzione.
Signori: Thelonious Monk.
Davide Gonzaga
Bibliografia
Robin D.G. Kelley, Thelonious Monk: storia di un genio americano – Minimum Fax, 2016.
Stefano Zenni, Storia del jazz – Stampa Alternativa, 2012.
Carlo Boccadoro, Jazz! Come comporre una discoteca di base – ET, 2005,
Ted Gioia, Gli standard del jazz – Edt, 2015.
Musica Jazz, numero di ottobre 2017, Monk, a cura di Giuseppe Piacentino.
Battiti, Radio 3, puntata del 14 ottobre 2017, Monk’s mood.