
Orrore, indignazione, disgusto: questi sono i primi sentimenti che si provano alla vista dell’ultima vignetta del tanto decantato e declamato “Charlie Hebdo” sul terremoto avvenuto pochi giorni fa in Italia centrale. Non perdiamo tempo a descriverla: preferiamo che siate voi a vederla e giudicarla, allegandovela in fondo a quest’articolo. Di sicuro quel che è successo ad Amatrice e in molte altre località limitrofe non può essere giudicato come uno “spaghetti séisme”, per dirla alla francese. Al contrario s’è trattato di una tragedia che, se fosse occorsa in Francia, probabilmente avrebbe visto i redattori e i disegnatori di “Charlie Hebdo” esprimersi in maniera ben diversa. Forse sempre senza rispetto, secondo una certa loro concezione di cosa debba essere la “satira”, ma sicuramente anche senza scivolare nel solito becerume razzista nel confronto degli italiani “macaronì”.
Checché se ne dica, una cosa è la satira e un’altra cosa è la mancanza di rispetto verso il dolore e la morte. Ridere dei morti “impilati” nelle macerie paragonandoli a delle lasagne, solo perché sono italiani e come tali per forza di cose “pastasciuttai”, è razzismo stolto e grossolano. Non è di sicuro satira. In un simile contesto, di fronte ad una tale tragedia, la satira si sarebbe semmai espressa con modalità nettamente diverse, non necessariamente invitando al raccoglimento o alla solidarietà (eventualità comunque non esclusa a priori), ma magari puntando il dito sulle responsabilità di chi ha eretto certi edifici di nuova concezione poi crollati esattamente come tutti gli altri se non peggio, sulla mancanza di prevenzione o sulla corsa alla speculazione mediatica e politica da parte di certi esponenti del mondo del giornalismo e così via. Avrebbe insomma rivolto un invito alla riflessione, necessaria e pertanto neppure inopportuna o sgradita. Invece in questo caso s’è preferito infierire sule vittime, sui morti, sui feriti. No, questa non è satira: è “merde”, per dirla alla francese, o forse addirittura necrofilia.
Il fatto che “Charlie Hebdo” abbia subito, lo scorso anno, quello spropositato attacco terroristico di cui tutti ancora ci ricordiamo, non gli fornisce comunque giustificazioni o patenti con cui prendersi gioco di persone innocenti, paragonandole a piatti di pasta e di lasagne solo perché italiane. Il “JeSuisCharlie” non si dà sulla fiducia, o a credito, per i secoli dei secoli. Se “Charlie Hebdo” ha fatto una bischerata, e sto misurando i termini, allora questa bischerata dev’essere stigmatizzata: ciò che è avvenuto un anno e mezzo fa alla redazione del giornale parigino non può servire come scusante.
La satira ha una lunga storia, nata nell’antica Roma. Quintiliano diceva: “Satura tota nostra est”, “La satira è tutta nostra”, di noi romani, per intendere che tra tutti i generi artistici e letterari che caratterizzavano la vita culturale romana, quella era l’unica ad avere un’origine prettamente autoctona, mentre le altre provenivano dall’antica Grecia o dalla Magna Grecia. La Fabula Atellana, antesignana dell’odierna “commedia dell’arte”, anch’essa profondamente ironica se non addirittura satirica, proveniva infatti dalla città greca di Atella, in Campania. I Fescennini, nati in epoca monarchica o al più tardi nei primi scorci della Repubblica, erano invece componimenti e recite di livello molto scurrile, un’esagerazione della satira, anch’essi d’origine prettamente romana. Ma pure nel loro caso ben ci si guardava dal deridere i morti o i feriti. Va poi detta anche un’altra cosa: i romani, a differenza dei greci, non erano neppure particolarmente razzisti. Prova ne sia che nelle epoche successive avrebbero costruito un impero che sarebbe stato il primo “melting pot” della storia, retto da imperatori spagnoli, traci, africani, asiatici, ecc, e nel quale discriminare qualcuno in base al colore della pelle o alla provenienza geografica sarebbe stato un atteggiamento semplicemente inimmaginabile. Nella vignetta di “Charlie Hebdo”, invece, il solito razzismo di chi è abituato a guardare gli italiani dall’alto al basso si percepisce in quantità industriali.
Anche i greci, comunque, nella loro raffinata produzione artistica di stampo ironico erano ben lontani dall’inciampare in simili bischerate. Per quanto fossero fondamentalmente più rigidi dei romani, che dalla loro cultura attinsero comunque a piene mani, mai si permisero certe mancanze di rispetto verso la sofferenza e la morte. Si pensi, per esempio, ad Aristofane, che si faceva beffe del demagogo Cleone o del filosofo Socrate, una mancanza di rispetto indirizzata verso il potere o verso la cultura, ma mai nei confronti del popolo o dei più deboli: e questa è una differenza importante. Lo stesso, tornando ai romani, si poteva dire di Giovenale e delle sue Satire.
Gli antichi ci consegnano dunque una lezione importante: la satira deve rispettare il dolore e la sofferenza, e soprattutto indirizzarsi contro il potente, sia esso il detentore del potere politico o della cultura. Quando prende in giro il popolo, non è più satira: è solo un giocattolo o un passatempo in odor di classismo e di razzismo nelle mani di qualche radical chic annoiato, che del popolo non sa niente o che addirittura ne è inorridito (“questi plebei…”).
Filippo Bovo
Questo articolo si contraddice da solo. Siamo in democrazia, che per definizione è il potere del popolo. Quindi la satira, criticando il popolo, critica il detentore del potere. Mi sembra che questa presunta lezione che ci avrebbero consegnato gli antichi faccia un po’ acqua…
La vignetta riporta con precisione, “Séisme” e non “les morts du tremblement de terre”, per lei questo non significa nulla?…per me è un particolare importante se ci si vuol mettere ad analizzare.
Pare che in sto Paese di sudditi non si riesca a capire che se i deboli continuano a succhiare il cazzo ai potenti, vanno presi per il culo anche i deboli!
Non dice niente di nuovo questa vignetta, fa satira spiccia adattata a cliche’ un po’ trasandati sugli Italiani (che non provocavano piu’ neanche 50 anni fa), e uno sciccosissimo umorismo sui nostri morti. Avremmo potuto fare satira sulle varie bombe e i morti di Parigi, o i morti investiti dal camion a Nizza, ma non l’abbiamo fatto, e ci dimostriamo molto meglio di loro.
L’oggetto della satira di Charlie Hebdo non erano le vittime del terremoto. Mi sembra una sciocca ingenuità leggere la vignetta in questo modo. Il bersaglio era il modo in cui sono morti, mi sembra palese. Un modo che si chiama fatalismo, inerzia politica, stronzate italiote come il bel paese, la superba michiata che si ciama dei identirtà dei luoghi, l’enogastronomia, e tutto l’armamentario di luoghi comuni che nutrono i politicanti e la nostra autostima. Catapechie che sono diventate trappole in un territorio che ogni anno, in media, consegna 100 morti al culto del borgo più bello e del bel paesello.
Mettere mano alla ricostruzione, dalle ultime dichiarazioni, pare riproorre il solito ritornello. Aspettiamo, quindi, i prossimi 300 morti.
La satira fa male? Se non lo facesse non sarebbe tale. La satira deve fr riflettere, non far ridere.
Altri ridono, mi sa, in questo momento.
A mio avviso puntare il dito contro il politico di turno è un qualcosa di così tanto scontato che, oramai, un qualsiasi imbecille sarebbe in grado di fare. Son finiti i tempi in cui ci voleva coraggio a fare una battuta contro il governo, ora la satira deve far riflettere da un punto di vista nuovo: è giusto che un comico satirico punti il dito contro i deboli, è un qualcosa di diverso e capovolgente. Io penso che la satira debba buttare giù i luoghi comuni e la stessa battuta contro il politico corrotto è ormai un luogo comune. Detto ciò la satira deve anche far ridere, se non riesce a farlo è solo di cattivo gusto, come in questo caso.
Sara’ anche satira ma questo giornale e’ immondo, chi ride dei morti non merita comprensione ma (per rimanere in francai) merita la ghigliottina.
ma siete cosí sicuri di aver capito la vignetta? a me non sembra che abbia preso di mira le vittime, mi pare piuttosto che abbia sottolineato la mancanza di rispetto da parte di chi da sempre marcia sulle disgrazie del paese…
Concordo….siamo un
Paese di pagliacci…i francesi vengono da una rivoluzione che ha dato valori di nazione…noi abbiamo i politici che ci meritiamo poiche’ senza fiatare li lasciamo li’ nei loro assurdi privilegi e nel loro mondo “fuori dal mondo”
La satira è “Satira” , a 360 gradi . https://www.davidpuente.it/blog/2016/09/03/le-vignette-di-charlie-hebdo-la-strage-di-nizza/
Saluti
Premesso che: a me la satira di Charlie Hebdo in genere non piace perchè troppo spesso mi puzza di cattiveria gratuita e di consapevolezza di sensazionismo.
Ma.
La satira non nasce per far ridere. La satira è denuncia per contrasto. Deve provocare un sorriso amaro che aiuti a guardare l’orrore in tutto il suo orrore senza distogliere lo sguardo.
L’Italia che si pregia della sua pasta e non difende i suoi cittadini con onestà e leggi adeguate.
Chi muore per mafia e malavita.
Chi (donna) viene bruciata con l’acido.
Chi muore per mano della corruzione che fa costruire palazzi non sicuri.
E chi urla che è offensiva…forse forse ha interesse a farla passare per tale.
Invio alcune riflessioni che ho condiviso oggi su Fb:
“Ho seguito ieri sera un dibattito accanito, qui su Fb, a cui ha partecipato attivamente anche Sabina Guzzanti. Non è una persona stupida e ho cercato di capire le sue ragioni, ma non posso assolutamente accettarle. Capisco che la satira è per definizione spietata, capisco che non guarda in faccia nessuno, capisco che lo scopo potesse essere quello di puntare il dito sui colpevoli (anche se, ma cosa c’entra la mafia? forse non capisco io). Tuttavia sono convinta che il bersaglio deve essere il politico corrotto di turno, l’assolutismo liberticida, ogni forma di fondamentalismo cieco. Ma il mezzo per mettere alla berlina non possono essere le vittime stesse. Possiamo forse anche rappresentare dei soldati come carne da macello, l’idea di soldati mandati alla guerra senza sapere e capire. Ma non le vittime di un sisma appena sepolte, quelle persone, quei bambini. Lo trovo ancora una volta disumano. Pensavo stanotte che gli antichi quando volevano colpire lo facevani con maggiore eleganza. Pensavo a Euripide che vuole mettere in luce le falle di una società in crisi, che mette in scena una madre assassina, ma non mostra l’atto dell’infanticidio. I bambini sono nella casa e ne sentiamo solo le grida. L’effetto lo ha sicuramente ottenuto lo stesso. Forse l’esempio non calza, non si tratta di satira, ma è quello che ho pensato.
A me non passa neanche per un momento per la mente di proibire niente. Difendo ogni giorno, e non solo a parole, la libertà di espressione. Ma, di nuovo, anche il buon gusto e, soprattutto, la dignità di ogni essere umano. Anch’io ho pensato alla grande satira di Dante e agli stessi canti della Commedia. Certo, alcune immagini fanno proprio schifo e, attraverso lo schifo, suscitano quello sdegno che vogliono suscitare. Ma, come dicevo precedentemente, il poeta prendeva di mira esattamente quello che era il suo bersaglio. Niccolò III e, attraverso lui, Bonifacio e tutti i Papi corrotti. Non li colpiva mostrando le immagini delle sue vittime. La differenza sta in questo, sta in quella carne da macello di tanti innocenti, trasformata in ragù per lasagne. Questa non è satira, rimane solo violenza contro chi non può più difendersi e non è giustificata neanche dallo scopo che vorrebbe raggiungere. Aggiungo che, nonostante l’età, nonostante sia una madre a cui a volte vanno spiegate le cose (mi riferivo a “la vignetta di Charlie Hebdo spiegata a mia madre”), aver attraversato il famoso ’68, aver passato gli anni di piombo, aver visto scorrere fiumi di corruzione, non mi ha annientata, anzi, fa sì che ancora riesca (per fortuna) ad indignarmi e a non accettare supinamente le verità facili e comode. Anche questa volta però, seguo l’istinto.”
Grazie
Riporto, in accordo perfetto con quanto leggo, alcune riflessioni che ho condiviso oggi su Fb.
“Ho seguito ieri sera un dibattito accanito, qui su Fb, a cui ha partecipato attivamente anche Sabina Guzzanti. Non è una persona stupida e ho cercato di capire le sue ragioni, ma non posso assolutamente accettarle. Capisco che la satira è per definizione spietata, capisco che non guarda in faccia nessuno, capisco che lo scopo potesse essere quello di puntare il dito sui colpevoli (anche se, ma cosa c’entra la mafia? forse non capisco io). Tuttavia sono convinta che il bersaglio deve essere il politico corrotto di turno, l’assolutismo liberticida, ogni forma di fondamentalismo cieco. Ma il mezzo per mettere alla berlina non possono essere le vittime stesse. Possiamo forse anche rappresentare dei soldati come carne da macello, l’idea di soldati mandati alla guerra senza sapere e capire. Ma non le vittime di un sisma appena sepolte, quelle persone, quei bambini. Lo trovo ancora una volta disumano. Pensavo stanotte che gli antichi quando volevano colpire lo facevani con maggiore eleganza. Pensavo a Euripide che vuole mettere in luce le falle di una società in crisi, che mette in scena una madre assassina, ma non mostra l’atto dell’infanticidio. I bambini sono nella casa e ne sentiamo solo le grida. L’effetto lo ha sicuramente ottenuto lo stesso. Forse l’esempio non calza, non si tratta di satira, ma è quello che ho pensato.
A me non passa neanche per un momento per la mente di proibire niente. Difendo ogni giorno, e non solo a parole, la libertà di espressione. Ma, di nuovo, anche il buon gusto e, soprattutto, la dignità di ogni essere umano. Anch’io ho pensato alla grande satira di Dante e agli stessi canti della Commedia. Certo, alcune immagini fanno proprio schifo e, attraverso lo schifo, suscitano quello sdegno che vogliono suscitare. Ma, come dicevo precedentemente, il poeta prendeva di mira esattamente quello che era il suo bersaglio. Niccolò III e, attraverso lui, Bonifacio e tutti i Papi corrotti. Non li colpiva mostrando le immagini delle sue vittime. La differenza sta in questo, sta in quella carne da macello di tanti innocenti, trasformata in ragù per lasagne. Questa non è satira, rimane solo violenza contro chi non può più difendersi e non è giustificata neanche dallo scopo che vorrebbe raggiungere. Aggiungo che, nonostante l’età, nonostante sia una madre a cui a volte vanno spiegate le cose (mi riferivo a ‘la vignetta di Charlie Hebdo spiegata a mia madre’), aver attraversato il famoso ’68, aver passato gli anni di piombo, aver visto scorrere fiumi di corruzione, non mi ha annientata anzi, fa sì che ancora riesca (per fortuna) ad indignarmi e a non accettare supinamente le verità facili e comode. Anche questa volta però, seguo l’istinto. Grazie degli spunti interessanti.”
Grazie
Comunque Atella è in Basilicata
Cara Giovanna,
Non è quella Atella lì, si parla dell’agro aversano. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Atella_(citt%C3%A0_antica)
Cordiali Saluti