Nonostante i dati parzialmente confortanti che arrivano dall’economia reale cinese, per il primo trimestre dell’anno, numerose fonti tra cui autorevoli blog e testate giornalistiche preannunciano l’imminente esplosione della bolla economica su cui il Paese asiatico sarebbe seduto.
Sostenibilità del debito: mal comune…
A tal proposito, i parallelismi con la crisi americana dei subprime e con quella giapponese del 1990 si sprecano e ci propongono il medesimo scenario di crisi finanziaria. Le banche, non solo cinesi ma anche europee si sono recentemente imbottite di debito, chi per finanziare una transizione della propria economia (la Cina) chi per far fronte alla crescente richiesta di credito che arriva dalle imprese e dalle famiglie che non possono più contare sul sostegno dello Stato (l’Europa). L’economia dei Paesi periferici dell’eurozona ormai al collasso, rende i crediti contratti dalle banche difficilmente recuperabili, perché le aziende, sempre più in difficoltà, non sono in grado di restituirli. Il fallimento di quattro “banchette” italiane, scongiurato prelevando forzatamente i risparmi degli obbligazionisti, potrebbe essere solo una piccola anticipazione di quello che potrebbe accadere a causa del deterioramento della bontà dei crediti bancari. Nel momento in cui i risparmiatori (creditori) avvertiranno il pericolo, perdendo la fiducia nel debitore (banche) cercheranno di rientrare in possesso del proprio denaro provocando una corsa agli sportelli, sino al potenziale rischio di collasso del sistema finanziario.
Origini del debito cinese
Da un lato, i risparmiatori cinesi continuano a preferire di gran lunga il deposito tradizionale rispetto a forme più innovative di risparmio ed investimento, non avendo ancora confidenza con il mercato azionario e con quello assicurativo, solo recenti traguardi del boom economico. L’evoluzione del sistema finanziario, come la transazione dal risparmio al consumo sono processi lenti, cui bisogna concedere tempo perché possano mostrare effetti positivi. Il tasso di risparmio in Cina, infatti, è molto più alto rispetto a quello dei paesi occidentali, ciò si traduce in più consistenti passività per lo stato patrimoniale delle banche, che devono necessariamente corrispondere prestiti maggiori rispetto agli istituti finanziari dei paesi più industrializzati.
Dall’altro lato, la crescita delle aziende passa anche attraverso il problema finanziario, ovvero come e dove reperire le risorse in grado di supportare uno sviluppo aziendale sostenibile. Al fine di accedere a nuove risorse, competenze, o sbarcare in nuovi mercati o settori le società cinesi hanno fatto abbondante uso di operazione di “finanza straordinaria” tra cui acquisizioni e fusioni. Le operazioni Merger & Acqusition, come dichiarato da Andrew Li (Manager Pwc) ai media locali, sono diventate parte integrante della strategia a lungo termine per molte aziende cinesi. Un recente rapporto della società di consulenza e revisione PricewaterhouseCoopers, ha riscontrato un forte incremento delle operazioni di acquisizione e fusione condotte da imprese cinesi nel primo trimestre del 2016, ben il 51% in più rispetto lo stesso periodo del 2015.
Tali deal sono stati finanziati prevalentemente da istituti finanziari cinesi ed è ampiamente condiviso che siano il maggior responsabile della crescita dell’indebitamento privato che tanto preoccupa i media internazionali. Le iniziative di M&A sono infatti rischiose e spesso portano ad insuccessi, che rendono aleatorio il rimborso del debito mettendo in difficoltà i prestatori.
Chi rischia di più?
Il pericolo che incombe sulla Cina non è, tuttavia, lo stesso che attanagliava il Giappone prima della crisi degli anni Novanta ed è meno incombente di quello che minaccia oggi il sistema bancario europeo.
Cary Yeung, di Pictet Asset Management, a tal proposito, chiarisce che il controllo dell’espansione del credito è una sfida, ma ci sono molti fattori grazie ai quali i problemi debitori della Cina non si trasformeranno in una crisi finanziaria. Quello che spesso non si considera è che buona parte del debito corporate cinese è stato emesso da società pubbliche, ed i prestatori sono banche anch’esse pubbliche. Il fatto di avere un sistema finanziario non pienamente “liberale” diventa un fattore positivo, essendo per così dire gestibile dalle politiche di governo.
Mentre le aziende europee, e dei Paesi “sviluppati” i default delle aziende sono dettati dal mercato, in una economia parzialmente controllata lo Stato può decidere quali aziende salvare, in modo da tutelare posti di lavoro e permettere che le aziende possano far fronte alla restituzione dei prestiti. Il governo cinese, pertanto, può controllare la velocità dei default e fornire al mercato la liquidità necessaria per scongiurare una crisi finanziaria. Continuare a fornire liquidità è elemento essenziale per la stabilità. Alcuni potrebbero pensare di poter risolvere il problema chiudendo il rubinetto del credito, innescando però una stretta che causerebbe un drammatico credit crunch come accadde in Giappone prima del “decennio perduto”. Anche se aziende “zombie” potrebbero continuare a beneficiare di “denaro gratuito” proveniente dal sistema, questo pare come il minore dei mali dinnanzi ad una crisi sistemica.
Diversamente dagli altri casi, la garanzia implicita del governo mantiene un livello di fiducia nel pubblico che allontana lo spettro di un eventuale bankrun. L’Europa, di fatto, ha deciso (con l’indipendenza delle banche centrali dai governi prima, e con le recenti normative sulla risoluzione delle crisi bancarie poi) di togliere questa garanzia, per cui il rischio risulta inevitabilmente tangibile. Come sostenuto da Chi Lo, Senior Economist di BNP Paribas Investment Partners in una recente analisi, nello scenario peggiore con un basso recupero di “non performing loan”, l’equity delle banche cinesi sarebbe in grado di coprire la perdita e in più non sarebbe esposta alla diffusione del panico come può accadere ad altre economie sviluppate.
Aggiungiamo poi che, anche nell’improbabile eventualità di una crisi, il governo cinese ha la capacità di controllare la situazione dato il livello contenuto di debito governativo ed estero. Su base aggregata, l’indebitamento del governo centrale e delle autorità locali non supera il 55% del Pil cinese, mentre il debito in valuta estera ammonta a circa 856 miliardi di dollari, pari a meno del 10% del prodotto interno lordo.
Le contromisure della Banca Centrale
A differenza delle azioni tardive e inappropriate della banca centrale giapponese che sottovalutò il problema del credito, i cui errori fanno ormai fanno parte della storiografia economica, il governatore della Pboc Zhou Xiaochuan, dopo aver confermato la minaccia proveniente da questa situazione, ha annunciato alcuni interventi per arginare l’indebitamento e sostenere il settore bancario, tra cui:
– Riproporre un programma di Equity-for-Debt Swap (EDS) che ebbe già successo tra il 1999 e il 2004, dove in cambio delle partecipazioni delle società sono stati cancellati i debiti da loro contratti
– Un progetto pilota per la cartolarizzazione dei bed loan, trasferendo parte di questi dalle banche agli investitori istituzionali
– Il consolidamento del debito dei governi locali in debito pubblico sostituendo i veicoli di finanziamento locale (LGFV – Local Government Financing Vehicles) con Titoli di Stato Provinciali, in modo da convertire le obbligazioni esistenti con tassi di interesse elevati in bond municipali con tassi meno onerosi e scadenze più lunghe (Ben 3.200 miliardi di yuan sono già stati convertiti e si prevede che ne convertiranno altri 15.000 miliardi entro il 2017).
– Se a fronte di queste evidenze, qualcuno dovesse continuare a considerare la Cina la bomba ad orologeria del sistema economico globale, probabilmente farebbe meglio a rivalutare la situazione europea, minacciata non solo dallo spettro della deflazione e della bassa e disomogenea crescita, ma anche dalla fragilità del proprio sistema finaziario.
Luca Caselli