E’ di questi giorni la notizia lanciata dal Ministero dello Sviluppo Economico Italiano in merito alla istituzione di una task force interministeriale sulla Cina. L’iniziativa è stata elaborata dal sottosegretario Michele Geraci, uno dei massimi esperti italiani della Cina contemporanea, che intende avviare una serie di ulteriori approfondimenti al fine di raffrontarsi con la Repubblica popolare in modo sistemico e cogliere le numerose opportunità economiche che, negli anni della crescita cinese, non sono state messe a fuoco dal nostro paese. Si tratta di una prospettiva assolutamente innovativa, scevra da pregiudizi ed auspicata da tempo. Per dettagli si veda questo interessante link. Al centro di questa nuova attenzione, segnata nei prossimi giorni dalle missioni di Tria e Geraci, parallele e con obiettivi diversi, vi è la necessità di rafforzare e promuovere il ruolo dell’Italia, come terminale europeo e mediterraneo della Nuova via della seta, la Belt and Road Initiative. Di seguito una breve riflessione sulla natura dell’iniziativa cinese, recentemente pubblicata sul Global Time.
La Belt and Road Initiative (BRI) è uno strumento strategico di Beijing o una leva geopolitica per competere con l’Occidente? E’ un’iniziativa paragonabile al vecchio Marshall Plan, il progetto guidato dagli Stati Uniti all’inizio della Guerra Fredda per affrontare l’Unione Sovietica, oppure una proposta caratterizzata da presupposti politico-culturali differenti?
Molti in Occidente sono sospettosi nei confronti della BRI, anche se c’è un interesse crescente in tutto il mondo. Questi sospetti sono stati recentemente richiamati da Gu Bin in un articolo pubblicato dalla FT. In questo op-ed l’autore demolisce il confronto tra BRI e piano Marshall, un paragone considerato sbagliato, tecnicamente e storicamente.
La BRI è in effetti una proposta cinese di cooperazione internazionale, incentrata sull’aumento della connettività terrestre, marittima ed aerea in Asia, Europa, Africa e nel mondo intero. È una nuova proposta per migliorare la cooperazione mondiale, il multilateralismo ed affrontare i problemi globali. Non è un piano di aiuti e non è concepito per contrapporsi ai competitor geopolitici della Cina.
Ho già avuto modo di scrivere che “il nuovo potere culturale cinese su scala mondiale è supportato, legittimato e profondamente radicato nelle manifestazioni materiali della BRI, che comprende più di 100 organizzazioni. L’iniziativa è già una realtà, in fase di aggiornamento, ed è inclusiva, cooperativa e aperta all’adattamento, essendo libera da discriminanti ideologiche e politiche. Questa realtà è l’opposto del vecchio e più piccolo piano Marshall. I principi intrinseci delle BRI aderiscono a quelli della Carta delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di soddisfare le esigenza strutturali di tutti i partecipanti”.
Considerando le attuali tensioni geopolitiche in Asia, Europa e Africa, è quasi impossibile non vedere la BRI anche in una prospettiva strategica. Da questa angolazione, il progresso della SCO e la sua relazione con l’UEE è certamente una manifestazione della dimensione strategica dell’iniziativa portata avanti da Beijing. Nonostante ciò, sono completamente d’accordo con il professor Gu Bin quando cerca di mostrare le ragioni sottostanti il lancio e l’implementazione della BRI e la sua incomparabilità con il vecchio Piano Marshall. La quantità di risorse finanziarie impiegate è per esempio ineguagliabile, trilioni contro miliardi.
Inoltre, la BRI è stata criticata perché interpretata come un’espansione del potere nazionale cinese, anche se la volontà di acquisire un ruolo più importante nel commercio globale e nelle catene del valore risale a più di 20 anni fa. Le strategie cinesi degli ultimi 20 anni hanno creato le condizioni affinché la BRI possa essere un progetto realistico ed attraente. Mi riferisco alle strategie nazionali “go west” e “go abroad“. La prima è stata dispiegata dalla fine degli anni Novanta, favorendo lo sviluppo della Cina ed aumentando l’interconnessione nazionale e quella con i paesi vicini; mentre la seconda, dal 2000 ad oggi, ha garantito il sostegno agli investimenti cinesi all’estero, gestiti dai cosiddetti “campioni nazionali”. La BRI è, quindi, una conseguenza del successo ottenuto negli anni passati a livello nazionale e molti investimenti, che oggi potremmo riferire alla BRI, hanno avuto luogo prima del suo lancio ufficiale nel 2013 (ad esempio, la ferrovia Chongqing-Duisburg o il porto del Pireo).
Alcuni paesi sostengono che non vi è un chiaro programma nella BRI, né una garanzia di sicurezza. Oltre ai commenti più faziosi dei principali concorrenti della Cina, in generale, queste critiche non catturano la genealogia e il senso della BRI. Non può esserci un’agenda definita a causa del gran numero di paesi coinvolti (oltre 60) e delle incertezze geopolitiche.
Ci sono molte differenze con il vecchio Piano Marshall. La BRI è più multipolare che bipolare; la dimensione economica e geografica è incomparabile; i principi e i valori del proponente, nonché gli obiettivi manifestati, sono differenti. Nel XIX Congresso nazionale del PCC, il partito ha definito due obiettivi ambiziosi: costruire nuove forme di relazioni internazionali incentrate sulla cooperazione vantaggiosa per tutti e sul rispetto reciproco e creare una comunità di futuro condiviso per l’umanità.
In effetti, la strategia cinese di proiezione globale si basa su una serie di principi che derivano dal concetto di rispetto reciproco e dialogo tra pari. Questo è il nucleo dell’idea alternativa cinese di globalizzazione e questo è alla base della BRI. Nulla di simile può essere rinvenuto nel vecchio Piano Marshall. In questo senso, Belt and Road Initiative è un progetto importante per la Cina e il mondo.
Fabio Massimo Parenti