Quando si valutano le tendenze protezionistiche al livello commerciale sarebbe necessario uscire dall’assunto ideologico prevalso negli ultimi decenni di globalizzazione, secondo il quale il cosiddetto libero scambio sarebbe sempre più vantaggioso rispetto al protezionismo, etichettato come dannoso e negativo. Questo approccio idiosincratico è metodologicamente ed empiricamente sbagliato.
Nel corso della globalizzazione neoliberale, non solo i principali promotori del libero commercio (le potenze occidentali) hanno mantenuto misure protezionistiche in vari settori, ma nuovi divari e disuguaglianze socioeconomiche sono emerse proprio contestualmente alla diffusione del paradigma libero scambista. Storicamente, non possiamo dire che il libero scambio abbia sempre rappresentato la strada migliore da percorrere. Come in ogni ambito, ci vuole equilibrio tra politiche volte alla protezione ed altre all’apertura. Se guardiamo al caso della Cina, il processo di graduale e controllata apertura verso l’estero ha permesso di conseguire numerosi successi, senza tuttavia abbandonare misure protezionistiche.
Attualmente, l’inclinazione al protezionismo dell’amministrazione di Donald Trump ha una ragione principale: sostenere la produzione interna e i lavoratori dei settori manifatturiero e agricolo. Tuttavia, le strategie per raggiungere questi obiettivi non sono facili e richiedono tempo e negoziazioni internazionali, perché possono avere effetti negativi improvvisi sui consumatori ed alimentare una spirale di tensioni nelle relazioni tra stati.
Innanzitutto dobbiamo riconoscere che la distribuzione spaziale del potere economico e politico sta profondamente cambiando. Quindi, combinare misure protezionistiche con nuovi accordi bilaterali o minacciare tali misure per raggiungere nuovi compromessi non è né folle, né irrazionale. Al riguardo, gli attuali compromessi e il risultato dei colloqui Cina-USA sono un buon esempio.
Infine, se guardiamo alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ora sospese, sembra che l’Europa sia più vulnerabile: i principali paesi europei dipendono maggiormente dal commercio con l’estero rispetto alle altre due grandi potenze citate (rispettivamente il 30% e il 40%). Almeno in termini di incidenza del commercio sul PIL, Germania, Francia e Italia registrano cifre più grandi, che vanno dal 60 all’80 per cento. Molte considerazioni deriverebbero da queste cifre. Tuttavia, ciò che mi preme sottolineare è che gli Stati Uniti stanno operando bilateralmente con i propri partner commerciali per trovare nuovi accordi. Questa sembra essere la riproduzione della principale modalità cinese di affrontare questioni sensibili e strategiche per ottenere un risultato vantaggioso per entrambe le parti.
Tornando alla Cina, è rilevante chiedersi quali siano le implicazioni delle nuove politiche di apertura. Quali le opportunità per l’Italia e altri paesi? A livello produttivo, la Cina sta puntando sulla qualità piuttosto sulla quantità, mentre nel contempo sta aumentando le dimensioni del suo mercato interno attraverso un nuovo ciclo di apertura, che prevede tra le altre cose una riduzione delle restrizioni finanziarie agli stranieri. Queste tendenze, definite dal XIII programma quinquennale, rappresentano un’altra manifestazione delle continue riforme che hanno caratterizzato lo sviluppo della Cina negli ultimi decenni.
Riguardo agli sforzi per migliorare la struttura dell’offerta, la società cinese può diventare un alleato importante di molti paesi, disposti a muoversi in una direzione simile. L’Italia, per esempio, ha un enorme bisogno di innovare oltre i suoi tradizionali punti di forza. Migliorare la cooperazione con la Cina in settori come le tecnologie avanzate per l’ambiente, le fonti energetiche rinnovabili, le auto elettriche o la robotica, per non parlare della cooperazione nel mondo delle arti e della cultura, potrebbe aprire un “nuovo panorama” di migliaia di applicazioni in settori nuovi e tradizionali.
La Cina sta investendo molto per migliorare il livello di qualità dei propri sistemi di produzione e ha opportunità uniche in termini di economie di scala. Tuttavia, i principali ostacoli sono rinvenibili nelle dinamiche geopolitiche e nelle relative differenze culturali. Per cooperare tra pari e per stabilire una cooperazione proficua, è necessario andare oltre la logica dei blocchi politici e l’universalizzazione di esperienze storiche peculiari, accettando senza pregiudizi la via cinese verso lo sviluppo.
Nonostante le diverse prospettive nazionali, gli scambi commerciali e di investimento UE-Cina sono migliorati da quando la Cina è entrata nel WTO. Pertanto, le nuove misure di apertura pianificate dalle autorità cinesi sono particolarmente promettenti per l’Europa e il resto del mondo. Lo stesso vale per le nuove opportunità potenziali rispetto all’attenuazione da parte della Cina delle regole per gli investimenti stranieri nel settore finanziario. Questa apertura è fissata per il 30 giugno – anche come incentivo per ridurre le dispute tariffarie – ed è considerata una sorta di rivoluzione.
Secondo Bloomberg, “nel momento in cui la Cina è entrata nel WTO, essa ha rivoluzionato l’industria manifatturiera; l’apertura del settore finanziario potrebbe trasformare l’allocazione del capitale e le modalità di gestione della ricchezza in Cina” e in tutto il mondo.
Negli ultimi 10 anni, l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese ha riferito che il risparmio delle banche cinesi ha raggiunto 60 trilioni di yuan (9,4 trilioni di dollari), solo una parte dei 42 trilioni complessivi del settore finanziario cinese. Un incremento anche modesto della co-partecipazione di società finanziarie straniere nella gestione di una parte di queste risorse sarebbe una grande opportunità per il sistema finanziario italiano e per le imprese finanziarie di altri paesi stranieri.
Come conseguenza della nuova apertura, Bloomberg Intelligence ha stimato, ad esempio, che i profitti bancari e assicurativi del ramo vita potrebbero aumentare di 10 volte nei prossimi 12 anni e che la quota di mercato delle imprese straniere potrebbe passare dall’1% al 5,4%.
Tuttavia, come detto, è necessario stabilire un campo di gioco culturale e politico aperto, riconoscendo e rispettando la diversità di tutte le peculiarità del sistema cinese, senza giudicarle attraverso le nostre lenti, la nostra esperienza storica e i nostri pregiudizi ideologici, come spesso accade.