Secondo i nostri media “mainstream”, con l’ultima riforma approvata dal Congresso del Popolo adesso Xi Jinping sarebbe “presidente a vita”, addirittura “più potente di Mao”. Ma, come spesso avviene, dietro a titolo e definizioni tanto eclatanti, si nasconde una ben più cauta realtà.

Certo, la votazione del Congresso è stata plebiscitaria o quasi: ben 2958 i voti favorevoli, tre gli astenuti e due i contrari. Il limite dei due mandati, introdotto nel 1982 da Deng Xiaoping, è stato così abrogato e adesso, effettivamente, Xi Jinping potrà candidarsi per un terzo mandato e, teoricamente, anche per un quarto e così via. Secondo molti analisti potrebbe rimanere fino al 2035, quando avrebbe ormai 82 anni, perché in base alle sue previsioni a quel punto avrebbe finalmente completato la modernizzazione della Cina, elevandola a “grande Paese socialista, prospero, forte, culturalmente avanzato, armonioso e bello”.

Tuttavia ben poche democrazie parlamentari ed occidentali, nel mondo, conoscono limiti al numero dei mandati per i loro primi ministri e capi dello Stato. Negli Stati Uniti vige il limite dei due mandati solo perché venne introdotto dal poco amato Richard Nixon: prima di lui un presidente poteva candidarsi quanto voleva. Infatti Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal e della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, restò in sella dal 1933 al 1945, e a fermarlo fu soltanto la morte, non un limite costituzionale a quel tempo ancora inesistente. Nel vicino Canada invece il liberale Pierre Trudeau, padre dell’attuale premier Justin, fu premier dal 1968 al 1979 e quindi dal 1980 al 1984.

Anche l’Europa vanta un discreto numero di primi ministri e capi di Stato a lunga durata. In Finlandia, per esempio, il centrista Urho Kekkonen è stato primo ministro dal 1950 al 1953 e dal 1954 al 1956, quando è divenuto presidente della repubblica, carica che ha detenuto fino al 1982, ovvero per ben 26 anni. Nessuno tuttavia direbbe che la Finlandia sia una dittatura e men che meno che sia stato un dittatore il moderatissimo Kekkonen. In Svezia, altro paese sul cui coefficiente democratico nessuno mai oserebbe dubitare, il socialdemocratico Olof Palme ricoprì la carica di primo ministro dal 1969 al 1976 e quindi dal 1982 al 1986, quando venne assassinato: altrimenti avrebbe avuto davanti a sé altri anni ancora di governo. Nell’allora Germania Ovest il cristiano-democratico Konrad Adenauer tenne il cancellierato dal 1949 al 1963, ben quattordici anni, mentre il suo compagno di partito Helmut Kohl, il padre della riunificazione tedesca, è stato cancelliere addirittura per sedici anni, dal 1982 al 1998. In Francia, invece, Charles De Gaulle, è stato primo ministro dal 1958 al 1959 e presidente con ampi poteri fino al 1970, quando la sua vita è giunta al termine: altrimenti, esattamente come nel caso di Roosevelt, sarebbe rimasto al potere molto più a lungo. In Inghilterra Margaret Thatcher e Tony Blair hanno retto l’incarico di premier rispettivamente dal 1979 al 1990 e dal 1997 al 2007, e in entrambi i casi hanno dovuto lasciare i loro scranni anzitempo e al di fuori delle loro previsioni. In Spagna, infine, il socialista Felipe Gonzalez è stato primo ministro dal 1982 al 1996, mentre nel piccolo Lussemburgo un certo Jean-Claude Juncker, oggi presidente della Commissione Europea, è stato primo ministro dal 1995 al 2013, ovvero per ben diciotto anni, ben più del suo predecessore Jacques Santer, in carica dal 1984 al 1995.

Non abbiamo citato, in questo articolo, anche i paesi del resto del mondo, non soltanto per questioni di sinteticità ma anche perché sul “coefficiente democratico” delle democrazie orientali, africane o latinoamericane più di un lettore potrebbe sollevare le proprie riserve: ci siamo accontentati, quindi, di elencare solo i casi più eclatanti di longevità politica all’interno del mondo occidentale, dove spesso si è portati a pensare che il livello di autoritarismo di un sistema politico coincida con la durata nel tempo di chi lo governi. Una visione troppo semplicistica, che non tiene neppure conto della storia di casa nostra.

UN COMMENTO

  1. La nostra stampa e informazione è come ovvio sempre falsa e tendenziosa.
    Si basa sulla bassa informazione dell’opinione pubblica italiana per cui basta dire una idiozia come quella eliminazione del limite dei mandati in Cina a gridare ad un mandato a vita a un premier.
    Questo ovviamente vale per tutte le notizie che ci vengono propinate e che risultano praticamente tutte imprecise e spesso addirittura false.
    Dare notizie in questo modo (come la notizia di Londra sul gas nervino alle spie russe ) riportando solo speculazioni del servizio segreto inglese dimostra quanto il sistema informativo sia pilotato e manipolato.
    Ricordo che i servizi segreti inglesi sono quelli che inventarono le le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein mai esistite per cui Tony Blayr fu condannato da un tribunale per aver avvalorato una tesi falsa utilizzata apposta per giiustificare una guerra in medio oriente .
    E noi dovremmo credere questi farabutti?

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