È il sessantunenne Yoon Suk-yeol il presidente eletto della Repubblica di Corea, che entrerà in carica il prossimo 10 maggio, allo scadere del mandato di Moon Jae-in. Il verdetto è arrivato dopo lo scrutinio più combattuto nella storia del Paese, che ha visto fino all’ultimo un testa a testa tra Yoon ed il suo principale rivale, Lee Jae-myung.

Yoon era il candidato del partito ora denominato Potere dei Nazionali (Gungmin-ui him), ma precedentemente noto come Partito Unito del Futuro (Mirae tonghap dang). Questa formazione era a sua volta nata nel febbraio del 2020 dalla fusione di una serie di compagini conservatrici capeggiate dal Partito della Libertà di Corea (Jayuhankukdang), ed al suo interno accoglie sia componenti della destra moderata che alcuni gruppi riconducibili all’estrema destra nazionalista. Il comun denominatore delle forze che hanno dato vita a questo partito è certamente il feroce anticomunismo e l’avversione per il governo nordcoreano.

Dall’altra parte, Lee, ex governatore della provincia di Gyeonggi, si presentava come esponente del Partito Democratico di Corea (Deobureo Minjudang), noto anche come Partito Minju, lo stesso dal quale proviene il presidente uscente Moon Jae-in, impossibilitato dalla Costituzione a concorrere per un secondo mandato. Pur essendo una forza liberale più vicina al centro che al centro-sinistra, il Minju ha sempre avuto posizioni di apertura nei confronti di Pyongyang, come dimostrato anche nel corso dei mandati di Kim Dae-jung (1998-2003), iniziatore della cosiddetta “Sunshine Policy“, e Roh Moo-hyun (2003-2008). L’eventuale elezione di Lee Jae-myung avrebbe dunque garantito una continuità con le politiche di Moon Jae-in e la sua “Moonshine Policy”.

Alla fine, come anticipato, il conteggio dei voti ha dato ragione al candidato conservatore, che si è imposto con meno di 250.000 preferenze di vantaggio, ovvero con il 48,56% dei suffragi validi contro il 47,83% ottenuto dal candidato democratico. In corsa c’erano anche dieci candidati di partiti minori, con Sim Sang-jung del socialdemocratico Partito della Giustizia (Jeonguidang) che ha ottenuto il terzo posto ed il 2,38% dei consensi. Tra i candidati presenti, quella più vicina a Pyongyang era certamente Kim Jae-yeon del Partito Progressista (Jinbodang), considerata come la formazione più a sinistra dello spettro politico sudcoreano: Kim ha ottenuto lo 0,11%, classificandosi quinta. L’affluenza alle urne è stata pari al 77,1%.

Dopo la pubblicazione dei risultati, il presidente eletto Yoon Suk-yeol ha affermato di essere pronto a lavorare con le forze di opposizione. Yoon ha affermato che avrebbe dato la massima priorità alla “unità nazionale“, aggiungendo che tutte le persone dovrebbero essere trattate allo stesso modo indipendentemente dalle loro differenze regionali, politiche e socioeconomiche: “Presterò attenzione ai mezzi di sussistenza delle persone, fornirò servizi di assistenza sociale ai bisognosi e farò il massimo sforzo affinché il nostro Paese si comporti come un membro orgoglioso e responsabile della comunità internazionale e del mondo libero”, ha dichiarato.

Ho fatto del mio meglio ma non sono stato in grado di soddisfare le aspettative”, ha detto invece lo sconfitto Lee. “Mi congratulo con il candidato Yoon Suk Yeol. Chiedo sinceramente al presidente eletto di superare divisioni e conflitti e aprire una nuova era di unità e armonia”, ha aggiunto.

A preoccupare è soprattutto il comportamento che il prossimo presidente potrebbe assumere nei confronti della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Yoon ha infatti effettuato dichiarazioni ostili nei confronti di Pyongyang nel corso della campagna elettorale, affermando “che affronterà severamente le provocazioni nordcoreane e cercherà di rafforzare la cooperazione trilaterale in materia di sicurezza con Washington e Tokyo”. Ha anche fatto sapere che avrebbe fatto di un’alleanza rafforzata con gli Stati Uniti il ​​centro della sua politica estera, preferendo l’alleanza con Washington ai buoni rapporti con Pechino. Questo rischia di creare nuove tensioni nella penisola coreana, in un momento in cui la situazione risulta essere molto calda a livello mondiale.

Yoon ha anche rivolto parole poco lusinghiere nei confronti del leader nordcoreano Kim Jong Un, fatto che sicuramente non è passato inosservato a Pyongyang. In occasione dell’ultimo lancio di missili balistici nordcoreani segnalato sabato scorso, Yoon ha accusato Kim Jong Un di cercare di voler influenzare i risultati delle elezioni sudcoreane a favore di Lee: “Gli [insegnerei] alcune buone maniere e lo farei tornare completamente in sé”, sono state le parole di Yoon.

Questa linea volta allo scontro contrasta con quello che era il programma presentato da Lee Jae-myung, che aveva proposto una maggiore riconciliazione con i vicini settentrionali ed una politica di pragmatismo diplomatico per non restare invischiati nello scontro tra USA e Cina. Yoon, probabilmente, ha pagato la sua rottura con il presidente uscente Moon Jae-in, di cui era stato uno stretto collaboratore nella prima parte del suo mandato presidenziale. I sostenitori di Moon hanno infatti accusato Yoon di aver creato una spaccatura all’interno del Partito Democratico, sostenendo le inchieste giudiziarie dell’opposizione sulla campagna anti-corruzione del presidente Moon.

Certamente, la vittoria del candidato conservatore non aiuterà a stemperare le tensioni. Anzi, potremmo ritornare ai periodi più difficili del mandato di Park Geun-hye (2013-2017) e ad una politica estera sudcoreana decisa a Washington piuttosto che a Seoul.