Il rinnovarsi delle sanzioni alla Russia per la crisi Ucraina e il “contro-embargo” dei prodotti europei rinnovato per altri dodici mesi, ha colpito non solo il settore agroalimentare, ma tutta quella fascia di prodotti che vanno dalle tecnologie informatico-elettroniche, sino all’industria bellica e al mercato petrolchimico (ultima tragedia in ordine di tempo, il suicidio dell’imprenditore Egidio Maschio del marchio storico “Maschio Gaspardo”, che negli ultimi anni a fatica sosteneva i costi di produzione grazie all’export nel mercato eurasiatico).

Dinanzi a questa situazione drammatica, favorita da scelte di natura prettamente geopolitica, i numeri pubblicati dall’Istat e riportati dall’ANSA, confermano un andamento drammatico dei dati relativi alle posizioni lavorative rispetto al 2014: «continua nell’industria una ”significativa riduzione delle posizioni lavorative” con un calo quasi del 3% (2,8%) nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e una flessione dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti».

Dinanzi questa situazione ormai divenuta drammatica, le possibilità di manovre monetarie correttive per uno Stato a sovranità limitatissima come l’Italia (che aiuterebbero a rilanciare l’export nei Paesi al di fuori dell’UE), sono quantomai esigue. Secondo quanto esemplarmente spiegato dall’economista Alberto Bagnai in un’intervista non recentissima ma pur sempre attuale, «il problema principale è che adottando un cambio fisso, un paese si priva di un normale meccanismo di risposta a shock negativi provenienti dall’esterno: la possibilità di aggiustare il valore della propria valuta alle mutate condizioni di mercato. […] Se glielo si impedisce, si crea una tensione che fatalmente si scarica sul mercato del lavoro».

In altre parole: non potendo applicare strumenti correttivi di politica monetaria per bilanciare la legge generale della domanda e dell’offerta, si interviene draconianamente sul mondo del lavoro. È proprio in quest’ottica che “compare” il Jobs Act, presentato come panacea contro tutti i mali per portare “l’Italia nel futuro” sulla pelle dei lavoratori e delle piccole e medie imprese; una situazione aggravata ulteriormente dalle miopi politiche immigratorie, le quali naturalmente favoriscono drammatiche flessioni di salari, diritti e tutele. Il crimine è dunque compiuto: si svaluta il lavoro e si aumenta la competizione al ribasso per non svalutare la moneta.

Il problema della piena sovranità politica, per giunta dinanzi alla palese evidenza di un’unione monetaria eterodiretta ed irriformabile, non può che occupare un ruolo privilegiato nell’agenda programmatica di tutte quelle forze politiche realiste e pragmatiche che non sono disposte a scendere a patti con alcun “padrone” (che non sia il popolo italiano).

In altri Paesi alcune forze politiche hanno già formato una cosciente opposizione non limitata alla sterile critica anti-UE che troppo spesso diventa anti-europea tout court: basti pensare al “braccio di ferro” di Tsipras nei consessi internazionali (favorito dall’invito del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ad avvicinarsi alla banca dello sviluppo dei Paesi BRICS) e le recenti dichiarazioni di Marine Le Pen che non nascondono affatto la vocazione gollista e sovranista del Front National: “gli USA non sono né nostri amici né nostri alleati” – ha dichiarato la protagonista del rassemblement bleu marine della politica parigina.

È a livello nazionale, dunque, che iniziano a manifestarsi le prime avvisaglie di un risveglio politico dell’Europa, nella consapevolezza che per dare una risposta urgente ai problemi economici e sociali dei cittadini, bisognerà intervenire sì nel locale, tuttavia senza perdere di riferimento i fondamentali rapporti di forza che si manifestano nella sfera sovranazionale. La politica internazionale impone, dunque, sfide a livelli più ampi; sfide che richiederanno impegno e cooperazione tra tutti coloro i quali vorranno rompere la gabbia della sudditanza geopolitica del continente europeo.

Guido Bachetti