Probabilmente non si sono mai lette così tante generalizzazioni come nel caso dei rapporti tra Cuba e Washington. Si è parlato di “una piccola guerra fredda” oppure di “un ultimo muro” che finalmente avevano fine, dopo un insensato ventennio in cui s’era voluto dar loro un seguito malgrado “l’ineluttabile, ovvio e scontato” crollo del comunismo sovietico. Conseguentemente, ragionando in questi termini, non si può che approdare ad un’unica possibile conclusione: Cuba s’è finalmente arresa agli Stati Uniti; i cattivi hanno deposto le armi arrendendosi ai buoni; ecc, ecc.
Insomma, trionfa la mentalità da film western, dove i buoni erano i cowboys che sterminavano gli indiani e i cattivi gli indiani, perennemente raffigurati come predoni e delinquenti, che si lasciavano sterminare troppo malvolentieri. Come ben sappiamo, l’evoluzione della specie, in questo caso quella umana, richiede milioni di anni: non possiamo quindi pretendere che l’uomo abbia messo a segno chissà quale evoluzione dagli Anni ‘50 e ‘70, epoca d’oro dei western, ad oggi. La mentalità, purtroppo, rimane la stessa di quegli anni; che è poi la stessa del secolo prima, quando i fatti rappresentati in quelle pellicole avvenivano.
La realtà è che Cuba è una piccola isola, sebbene la più grande dei Caraibi, che è passata pari pari dal colonialismo della Spagna a quello degli Stati Uniti, attraverso la guerra tra Washington e Madrid a cavallo tra Ottocento e Novecento, partita con una delle prime “false flag” della storia statunitense (l’affondamento di un bastimento degli Stati Uniti, un’opera che i nordamericani attribuirono poi agli spagnoli). In seguito, con l’umiliante Emendamento Platt, Cuba divenne una colonia statunitense a tutti gli effetti, in cui negli anni successivi la Mafia italo-americana e non solo avrebbe trasferito molte delle sue attività minacciate dal Proibizionismo: dalla produzione e dal contrabbando di alcolici ai casinò fino, ovviamente, a grandi classici senza tempo come la droga e lo sfruttamento della prostituzione.
E tale somma di malcostumi sarebbe ovviamente durata almeno fino al 1959, quando Fidel Castro avrebbe imposto una rivoluzione moralizzatrice ancor prima che socialista e marxista. Questa è la storia, molto per sommi capi, di Cuba e dei suoi primi decenni d’indipendenza: risparmiamo al lettore gli aspetti più approfonditi, come Grau San Martin, Machado, Batista e compagnia bella: altrimenti esuleremmo decisamente troppo dalla nostra trattazione. Se vorrà, potrà tranquillamente cercarseli da sè, anche se confidiamo nel fatto che egli sia adeguatamente preparato anche in proposito.
Che ci piaccia o non ci piaccia, quella che a partire dal 1959 abbandonò Cuba per rifugiarsi a Miami e nel resto della Florida non erano gli “esuli cubani” o la “comunità cubano-americana” (commettendo peraltro un gravissimo errore, di lessico e di concetto: anche i cubani sono americani, e gli americani non sono solo gli statunitensi), ma prima ancora la parte peggiore di quel paese, che seguì Batista fuggito da L’Avana con tutto il tesoro della Banca Nazionale. Gente che s’è infatti distinta per le connivenze mafiose, ad esempio per il narcotraffico, per le frodi e i raggiri politici (è noto che molto del suo peso politico, in Florida, dipende dal fatto che riesca a far votare anche i morti), e così via. Questa comunità, invero molto piccola rispetto al resto dei latinos che vive negli Stati Uniti, ha un alto peso specifico in termini politici ed economici (a differenza dei messicani o dei colombiani che vivono, proprio come gli afroamericani, in quartieri a dir poco “sfigati”, sprofondando nella miseria, nella disoccupazione, nella droga e nell’alcolismo) ed issa, ad ogni elezione, le proprie forche caudine sotto le quali ogni candidato alle primarie o alla presidenza deve passare, promettendole mari e monti in termini di fermezza, ostilità e boicottaggio nei confronti della Cuba socialista.
Il bello è che Obama era riuscito a farsi eleggere senza i voti di questa comunità, tanti erano quelli presi dal resto della nazione, a cominciare dagli afroamericani e dai latinos. Eppure, alla fine, s’è comportato come un Bush qualsiasi, cercando d’isolare il più possibile Cuba nel contesto internazionale e regionale, per esempio boicottando ed abbattendo i governi locali che maggiormente la sostenevano: dall’Honduras all’Ecuador, dal Venezuela alla Bolivia, e così via. Soltanto ora che la sua presidenza è agli sgoccioli ha deciso di tendere la mano a Cuba, riconoscendo così la propria sconfitta. Ma, si badi bene, è una dichiarazione di pace fatta a denti stretti. Quando il Sacro Romano Impero venne sconfitto dalla Lega Lombarda, gli Imperatori della Casa di Svevia, Federico I e Federico II (che avevano fino ad allora aspirato a riaffermare la sottomissione dell’Alta Italia al loro potere), dissero che concedevano a Milano e ai suoi alleati, dall’alto della loro magnanimità, usando il plurale maiestatis, la giusta autonomia. Tutte chiacchiere: in realtà avevano perduto la guerra, i comuni italiani l’avevano vinta e l’Impero cercava solo d’infiocchiettare la propria sconfitta per farla passare alla stregua di una vittoria. Quel che gli Stati Uniti stanno facendo oggi con Cuba è la stessa cosa: hanno perso la guerra ma, malgrado ciò, cercano di recitare la parte dei vincitori clementi e magnanimi.
Il fatto che dopo la visita di Obama a L’Avana arrivino anche i Rolling Stones non dev’essere vissuto come una fine del comunismo: tutti hanno ancora in mente l’immagine dei primi concerti che si tennero a partire dal 1989 a Berlino dinanzi al Muro cadente. Finiva la demonizzata DDR e l’Occidente esultava. In questo caso, però, ci troviamo dinanzi ad uno scenario decisamente diverso. Non dobbiamo dimenticare che prima dei Rolling Stones e di Obama, a L’Avana, sono atterrati anche Jimmy Carter e Giovanni Paolo II, probabilmente il papa più anticomunista della storia, quello che finanziava Solidarnosc e che era stato eletto proprio per dare una svolta alla Guerra Fredda: e questa sua visita avvenne quando Cuba era al massimo punto di vulnerabilità, davvero completamente isolata a livello internazionale (gli alleati latinoamericani ancora non c’erano) ed in pieno “periodo speciale” (ovvero con tutto razionato, perchè le sanzioni internazionali erano sempre applicate rigorosamente a livello globale e Cuba doveva praticamente cavarsela da sola).
Cuba ha sopravvissuto a tutto questo, agli Eisenhower, ai Kennedy, ai Johnson, ai Nixon, ai Ford, ai Carter, ai Reagan, ai Bush senior e junior, ai Clinton e agli Obama, al terrorismo dei Posada Carriles, al crollo dell’URSS e del Comecon, agli embarghi e ai periodi speciali, e dovrebbe liquefarsi per un Presidente che ormai è un’anatra zoppa e per una gloriosa band di rocker attempati?