Giuseppe Sala

Il Dalai Lama sta per ricevere la cittadinanza ordinaria di Milano. E la otterrà direttamente dalle mani del presidente del consiglio comunale Lamberto Bertolè (PD), dopo che si sarà recato all’Università Bicocca per tenere una lezione sull’etica nel mondo globale, in programma il 20.

Non sarà infatti il sindaco Sala a partecipare alla cerimonia, forse per evitare di mettere la faccia in una onorificenza gravida di conseguenze politiche. Se già il sindaco Letizia Moratti incontrò il Dalai Lama nel 2007, la decisione di consegnargli le chiavi della città causerà molti più danni nei rapporti con la Cina, come ci si poteva aspettare ed anche come avvenne in passato.

Un caso diplomatico. Ancor prima dell’arrivo di “Sua Santità”, il fuoco diplomatico si sta già accendendo: il governo cinese e la comunità cinese di Milano si oppongono fermamente al conferimento della cittadinanza milanese al capo del cosiddetto “governo in esilio” tibetano, reo di promuovere attività considerate separatiste e nemiche da Pechino.

L’indecisione di Sala. Anche il sindaco Sala ha dichiarato che incontrerà il Dalai Lama, anche se “non abbiamo ancora deciso dove ma ci incontreremo”. Pur non volendo comparire direttamente, sa che si tratta di un’occasione troppo ghiotta per aumentare l’appeal della nuova amministrazione.

La visita di “Sua Santità” culminerà poi, il 21 e 22, con una conferenza a Rho Fiera dedicata alla diffusione degli insegnamenti lamaisti in materia di compassione, di etica e di iniziazione.

Insomma, si tratta della prima vetrina diplomatica di rilievo per la nuova amministrazione: eppure questa sorta di rilancio rischia di rappresentare una dura rottura con la comunità cinese della città, che ha già espresso, anche tramite la propria ambasciata, un gran livore verso il Dalai Lama, non in quanto “uomo di religione” ma per quello che politicamente rappresenta: il capo di una amministrazione che si proclama “governo legittimo ed in esilio” su di una vasta porzione di territorio cinese.

La reazione della Cina. Il governo della Repubblica Popolare Cinese, che per “far spazio” all’ingombrante presenza del capo tibetano, si è visto dirottare da Milano a Torino la visita del Ministro della Tecnologia Wan Gang, sta già rispondendo a tono: “Il XIV Dalai Lama non è una figura puramente religiosa, ma è un politico in esilio che da anni si presenta in veste religiosa nello svolgimento di attività separatiste contro la Cina”, ha dichiarato in una nota l’ambasciata cinese, ribadendo che ciò avrebbe “ferito gravemente i sentimenti del popolo cinese”.

Le pressioni della comunità cinese. L’ambasciata, come già avvenne con la visita del Dalai Lama a Palazzo Marino qualche anno fa, cerca di far pressione in due punti: il primo riguardante la figura “politica”, e quindi separatista, del Dalai Lama, spesso obliata dalla suo ruolo spirituale; ed in secondo luogo, diffondendo anche altre versioni sulla storia e sui fatti del Tibet, diverse da quella mainstream narrata dal “governo in esilio” tibetano e tendenzialmente ripresa dai media.

L’ambasciata cinese ha perciò diffuso un articolo di Marco Costa (del Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, autore anche di La grande muraglia, Tibet, crocevia tra passato e futuro, Alla scoperta del Tibet) sulla storia e sulla questione, che, come era prevedibile, ha sollevato un vespaio di polemiche, a metà tra storia, apologia e scelte politiche. In esso si sottolineano gli innegabili legami storici e culturali tra Cina e Tibet («il Tibet era stato parte dell’Impero cinese per circa 700 anni»), si dà una versione diversa delle vicende della Regione Autonoma del Tibet (con particolare riferimento al ruolo svolto da ingerenze straniere e da vere e proprie organizzazioni terroristiche nello stimolare e causare sommosse) e di come sia attualmente la situazione nella Regione. Che secondo l’autore sarebbe, il “tetto del mondo”, in una fase di “costante crescita economica, sempre più aperto al turismo e all’innovazione, rispettoso delle diversità locali e delle autonomie, sempre più pacificato e sempre meno attratto dagli slogan massimalisti del separatismo”.

Una delicata situazione per il nuovo sindaco Giuseppe Sala. Se è vero che la visita non si può certo più annullare, anche perché proposta dalla precedente amministrazione comunale, il modo in cui essa sarà gestita condizionerà il dialogo ed i rapporti col governo di Pechino. Il tutto potrà avere conseguenze nazionali, e non solamente sulla città di Milano. Il rischio è di rovinare i rapporti, in continua crescita, con uno dei più grandi e migliori mercati al mondo, solo per dar lustro alla nuova amministrazione. Sfruttando un personaggio politico-religioso ambiguo e controverso.

Leonardo Olivetti