Dalla Cina con furore: viaggio nella terra di mezzo.

Ji’an, l’antica capitale del regno coreano di Koguryo

La mattinata di mercoledì 7 agosto mi sveglio prestissimo, alle sette, perché alle 10.30 ho appuntamento con il bus alla stazione e devo vedere il più possibile di questa graziosa città che giace lungo il corso dello Yalu. Se non fosse per gli ideogrammi che campeggiano lungo le strade di Ji’an e i passanti con gli occhi a mandorla sembrerebbe di stare in Svizzera perché il paesaggio montano, la pulizia delle strade e l’aria molto pulita ricordano un po’ quello delle nostre Alpi. Purtroppo non ho tempo per visitare il complesso tombale del vecchio regno coreano di Koguryo che dal 37 a.C. al 668 d.C., il cui dominio oltre che alla Penisola Coreana in questo lasso di tempo aveva interessato anche una buona fetta di Cina Settentrionale. Lungo le strade della città si possono vedere taxi che si offrono per portarti a fare un giro sulle colline circostanti a Ji’an dove piramidi, rovine e tombe risalenti al vecchio regno coreano sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Peccato che per visitare queste meraviglie occorra almeno mezza giornata ed io ho solo poche ore a disposizione.

Dopo aver acquistato il biglietto per Erdao Baihé (la località ai piedi del Changbai Shan dove si trovano gran parte delle attrazioni turistiche) alla stazione mi dirigo al solito KFC (non c’erano altri posti), dove per rompere il digiuno mi tocca mangiare la classica colazione cinese: uova, salsiccia e una strana sfogliatina, la minestrina invece la respingo al mittente. Il caffè non è affatto contemplato nella classica colazione cinese, quindi per affiancare queste strane pietanze mi tocca bermi il latte da soia.

La piazza sul lungofiume di Ji’an

In motoscafo sullo Yalu: dalla Cina uno sguardo alla Corea del Nord

L’unica attrazione, se così si può chiamare, di questa graziosa città incastonata in mezzo alle montagne dello Jilin, è il lungofiume sullo Yalu che mi ricorda da vicino quello che ho ammirato a Dandong anche se la sua lunghezza è molto inferiore. Ho modo così di ammirare il paesaggio lungo il fiume che la sera precedente mi era stato celato dall’oscurità che pervadeva il lato nordcoreano. Nonostante il letto sia molto meno ampio e profondo rispetto a quello che ho potuto vedere a Dandong, la portata dello Yalu è comunque discreta ed è possibile anche provare l’ebbrezza di una gita in motoscafo per poter “gustare” da vicino il confine con la Repubblica Democratica Popolare di Corea.

Per il modico prezzo di cinquanta Renminbi Yuan (sei Euro e mezzo pressappoco) per quaranta minuti un motoscafo mi farà sfrecciare lungo le placide acque dello Yalu permettendomi di vedere da vicino per la seconda volta il lato nordcoreano. Sulla sponda della RPDC non c’è in realtà moltissimo da vedere: il solito filo spinato e le solito torrette di guardia punteggiano un paesaggio montuoso abbastanza brullo e monotono che credo sia abbastanza comune nella provincia nordcoreana dello Chagang. Una cittadina, Manp’o si trova a circa nove chilometri a Nord dal mio punto di ritrovo. Qui, nella primavera dello scorso anno è stato inaugurato un nuovo ponte che collega la sponda della Cina con quella nordcoreana, segno che le relazioni sinocoreane stanno tornando su ottimi livelli. In realtà il ponte era già pronto nel 2016, ma in realtà l’ONU ha cercato di ritardare il più possibile l’apertura del ponte a causa del perdurare della questione del nucleare nordcoreano. Il problema è che in pochi capiscono che il piccolo arsenale nucleare nordcoreano è pensato solo ed esclusivamente per proteggersi da quello americano, ben più forte e micidiale…

Durante la gita in motoscafo in questa zona della Cina, l’unica cosa interessante che riesco a osservare dal paesaggio che mi circonda è una carreggiata che lambisce le montagne che si trovano in territorio coreano. Con la mia Nikon riesco così a catturare scene di vita quotidiano lungo questa stradina che costeggia le montagne nordcoreane. Noto così qualche contadino locale sfrecciare in bicicletta, un nordcoreano intento a riparare la sua bicicletta a bordo strada, addirittura uno scooterone guidato da un uomo con capigliatura “alla moda” con alle sue spalle una donna con un gigantesco cappello a visiera. Dopo qualche impennata lungo le acque dello Yalu che mi hanno fatto letteralmente sobbalzare ritorno così a terra dove prima di tornare in albergo a prendere i bagagli scatto qualche altra foto del grazioso lungofiume.

L’apertura del ponte Ji’an-Manpo

In bus da Ji’an a Tonghua

Per arrivare ai piedi del Changbai Shan mi tocca la bellezza di otto ore di autobus, due fino alla città di Tonghua e altre sei fino ad Erdao Baihé dove dovrei arrivare per l’ora di cena. Il tragitto per Tonghua fila abbastanza liscio anche se il bus effettua una sosta per circa una mezz’oretta a metà percorso ritardando un po’ l’arrivo a destinazione. Arrivo a Tonghua a mezzogiorno e mezza circa e ho solo un’ora a disposizione per pranzare, comperare il biglietto e salire sull’autobus. Lo chauffeur tra l’altro ha l’infelice idea di mollarci qualche centinaia di metri prima della stazione così per dieci minuti sono nel panico più completo, anche perché i locali, che in questa zona della Cina di inglese non capiscono letteralmente un’acca, non riescono assolutamente a capire le mie richieste “Bus station! Bus station!” queste sono le uniche parole che ripeto in maniera compulsiva. Per fortuna dopo aver percorso un buon centinaio di metri trovo l’indicazione della stazione, compero il biglietto e mi reco in un negozietto a fianco a comperare due salsicce, un pacchetto di patatine e una bottiglia d’acqua minerale: il mio piccolo pranzo per soli quattordici Yuan (poco meno di due Euro)!

Un volatile sorvola lo Yalu a Ji’an

In bus da Tonghua ad Erdao Baihé: ai piedi del Changbai Shan

Mi lascio dietro così Tonghua, una classica città operaia dello Jilin piena di ciminiere e grattacieli squadrati in stile socialista, e mi inoltro in bus nelle campagne della Cina profonda. Il Changbai Shan è una delle attrazioni turistiche della Cina Nordorientale, lo noto dal fatto che gran parte dei viaggiatori nell’autobus sono turisti cinesi e non cittadini locali, vestiti in maniera molto più semplice e dimessa. Alle sette di sera, mentre cala il sole, giungo ad Erdao Baihé e l’aria, frizzante e ventosa, è totalmente diversa da quella di Ji’an e Tonghua, dove il caldo afoso la faceva ancora da padrone. Per la prima volta nel corso del mio viaggio sono costretto a tirare fuori un maglioncino. Trovo alloggio in un grazioso ostello, lo Woodland Youth Hostel, che più che un ostello sembra un vero e proprio albergo dotato di ogni comfort, anche il noleggio di biciclette e mezzi  (una notte in una camera singola mi costa quattrocento Yuan, circa cinquanta Euro). Dopo aver prenotato con successo la mia camera esco a cercare qualche posto dove mangiare. Questa volta sono abbastanza sfortunato perché gran parte dei locali è sold out, e in uno dei pochi locali con disponibilità di tavoli mi servono un minestrone talmente bollente che la mia lingua rischia di infiammarsi! La mia presenza ovviamente suscita la curiosità dei locali: un ragazzino cinese addirittura viene a sedersi con me sul mio tavolo. Io cerco di insegnargli qualche parola in italiano, lui in cinese: alla fine i suoi genitori, divertiti, mi chiedono addirittura una foto ricordo assieme al loro figliolo. In Italia sono un uomo qualunque, in Cina mi sento una rockstar!

Una coppia di giovani nordcoreani in sella ad uno scooter

(Fine 11a puntata)

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