11 agosto 2019, la “lunga marcia” verso il ritorno a casa

Domenica 11 agosto è l’ultimo mio giorno di permanenza in Cina, mi sveglio con più calma del solito dato che devo prendere l’aereo per Monaco appena all’ora di pranzo. Il Grand Hotel Inner Mongolia è una delle migliori strutture dove ho alloggiato in Cina al pari dell’Hilton Garden Hotel di Dandong, è l’unico hotel dove consumo una buonissima collazione all’occidentale in un buffet da leccarsi ai baffi.

Alle nove volgo un ultimo sguardo su Pechino e poi inizio la “lunga marcia” verso casa prendendo la metropolitana: dalla fermata Donghzimen sulla Linea 2 infatti parte una navetta (25 Yuan, all’incirca 3,25 Euro comunque meno costosa di un autobus o di un taxi) che collega la metro all’aeroporto di Pechino. Il mio consiglio è sempre di arrivare all’aeroporto almeno due ore prima dell’orario di volo perché le procedure burocratiche, soprattutto la compilazione della carta d’immigrazione, sono estremamente laboriose. Inoltre, fatto da non sottovalutare, i tre terminal dell’aeroporto pechinese sono davvero giganteschi ed estremamente dispersivi.

Chi scrive, pur avendo consumato solo un piccolo panino per pranzo, è riuscito a presentarsi al gate aeroportuale giusto in tempo perché tra bagagli da stivare, passaggi al metal detector, carte da firmare il tempo che si perde è davvero molto. Il viaggio di ritorno (nove ore e mezzo da Pechino a Monaco, uno dalla Baviera all’aeroporto di Venezia) fila via comunque liscio come l’olio e alle otto di sera atterro in Italia portandomi dietro un’esperienza fantastica, indimenticabile che un giorno tramanderò ai miei nipotini (se ne avrò).

Ultima veduta di Pechino

Riepilogo: Cina un paese in crescita

Per concludere vale la pena soffermarsi su come io abbia percepito la Repubblica Popolare Cinese e di come essa sia percepita (erratamente) a casa nostra. Credo di aver visto un paese in piena ascesa e che in questi ultimi anni, sotto la leadership di Xi Jinping, sta ulteriormente cementando le basi dopo lo sviluppo incredibile e tumultuoso del quarantennio 1978-2018: per fare un paragone in Italia il boom economico post 1958 è durato comunque meno di quindici anni e con percentuali di crescita del PIL comunque inferiori quasi della metà a quelle cinesi.

Il segreto del “miracolo cinese” a mio avviso va cercato nel particolare sistema politico vigente nella Repubblica Popolare Cinese e cioè il “socialismo con caratteristiche cinesi”, termine coniato da Deng Xiaoping nel 1982 durante il XIII Congresso del Partito Comunista Cinese. Al contrario di quanto pensi la maggior parte della gente il pensiero di Deng non è stata un’uscita fuori strada dai principi del socialismo bensì una sorta di inversione a U che però resta sempre inserita nel solco del socialismo e del suo utopico fine, la società comunista.

Già con Mao Zedong, rispetto ad altri epigoni del socialismo reale, abbiamo una comprensione molto maggiore sulle questioni di tipo economico nell’economia del socialismo: lungi dal rappresentare una semplice struttura della società, l’economia in realtà non è altro che un metodo che serve ad influenzare e modellare un corpo sociale. Mao ad esempio aveva già capito che lo sviluppo militare intensivo a tappe forzate poteva essere un rischio perché rischia di trascurare lo sviluppo economico, intimamente legato a quello sociale e delle forze produttive.

La differenza tra Mao ed i suoi successori sta nel fatto che il Grande Timoniere (e con lui tanti altri esponenti del mondo del socialismo reale) ai suoi tempi non avesse capito che per realizzare la società comunista bisogna prima creare le condizioni di sviluppo di un’inedita forma di capitalismo, una sorta di NEP senza limiti di tempo, che poi sarebbe stata indirizzata verso il socialismo attraverso la forza dello Stato e la mentalità, ancora improntata su rigidi canoni confuciani, della popolazione cinese portata a dare più importanza al benessere collettivo che di quello individuale. E’ la logica del dualismo taoista, dello Ying e dello Yang: un soggetto socialista può benissimo completarsi ed armonizzarsi con un soggetto capitalista nonostante siano alla base siano due elementi completamente opposti.

Un impressionante grafico che dimostra quanto si sia ridotta la povertà in Cina dal 1981 al 2014.

Riepilogo: il modello cinese paragonato ai vicini paesi asiatici

La differenza tra il “socialismo con caratteristiche cinesi” e agli altri regimi a capitalismo di stato asiatici (si pensi alla vicina Taiwan ma anche Corea del Sud o al Giappone) sta nel fatto che nella Repubblica Popolare Cinese il tumultuoso sviluppo economico non si è tradotto in una permanenza delle disuguaglianze sociali ma al contrario, nell’ultimo trentennio la Cina è il paese che ha liberato più persone dalla condizione di indigenza (dal 97,5% al 3,1%). Ciò è avvenuto sia perché il PCC ha saputo “armonizzare” la crescita evitando che si formasse un ceto capitalista alieno alle logiche partitiche e nazionali sia perché Deng Xiaoping si era trovato in eredità da Mao una società comunque ringiovanita e senza più distinzioni di classe.

Negli altri vicini paesi asiatici, dove le classi sociali non sono mai state messe in discussione per paura di bruschi sovvertimenti sociali, lo sviluppo economico (seppur fortemente trainato dal ruolo dello Stato) è coinciso con quello dei ceti dominanti come gli zaibatsu giapponesi ed i chaebol sudcoreani che hanno usato la forza dello stato sì per avviare uno sviluppo intenso delle forze produttive ma che è coinciso con un sempre maggiore divario tra poveri e ricchi, ritmi di lavoro disumani ed alienanti, monte orari quasi proibitivi, un base sociale con pochissimo potere contrattuale. Invece i governanti cinesi, pur in un sistema di base autocratico e gerarchico, hanno saputo benissimo legittimare il proprio potere perché il sistema cinese comunque sa rispecchiarsi in ciò che vuole la stragrande maggioranza del popolo cinese: un lavoro, un tetto dove dormire, sicurezza nella vita sociale, una giustizia efficiente e rapida. E’ il caro vecchio metodo del “do ut des” che rappresenta l’ABC di qualsiasi sistema politico.

Mao Zedong, Deng Xiaoping e Xi Jinping.

Riepilogo: come la Cina viene percepita (erratamente) in Occidente

Inutile dire come la Repubblica Popolare Cinese venga percepita in maniera assolutamente errata in Occidente un po’ da tutti. La percezione che ha l’uomo occidentale medio della Cina è dei cinesi è profondamente deforme e sconfina quasi nel razzismo. I cinesi sono percepiti come un popolo primitivo e arretrato, dei robottini freddi senza anima capaci solo di dire di sì al “dittatore” di turno profondamente alieni al modello civico occidentale. Quindi in sostanza ciò che la maggior parte degli occidentali pensa dei cinesi è che essi debbano essere semplicemente civilizzati e “occidentalizzati”.

La cosa che fa maggiormente impressione è che questa visione quasi macchiettistica degna dell’”italiano pasta, spaghetti, mandolino, mamma” o del francese con la baguette sotto l’ascella sia identica, pari pari, sia per persone che si considerano di “destra” sia per persone che si considerano di “sinistra”. L’unica differenza, forse, sta nel fatto che il destrorso di turno vorrebbe una bella guerra punitiva contro la Cina, una nuova “crociata” contro il “pericolo giallo”. Il sinistro invece auspicherebbe una bella serie di rivoluzioni colorate capaci di “liberare” i cinesi dal “perfido dittatore” Xi Jinping che non permette loro di occidentalizzarsi e di bere la Coca Cola!

Che entrambe queste percezioni sino al limite dell’assurdo lo possiamo evincere anche da esempi concreti. L’uomo di destra ad esempio, che a casa sua si dichiara fieramente “sovranista”, si esalta per le proteste di Hong Kong dimenticandosi che lì i protestanti sfilano con le bandiere di paesi imperialisti come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti! Oppure pensiamo a quella gente di sinistra che si straccia le vesti per il “sultano” Erdogan quando bombarda il popolo curdo ma che allo stesso tempo sostengono i separatisti turcofoni nello Xinjiang che hanno proprio nel “sultano” di Ankara il loro principale benefattore!

Se l’Italia ha seria intenzione di guardare con occhi sempre più interessati al paese del dragone, occorre davvero ripartire da zero e cancellare questi assurdi e ingiustificati pregiudizi. Non bisogna però dimenticare che quella cinese resta comunque una cultura diversa, affascinante, intrigante ma comunque diversa, un’altra cultura in tutto e per tutto rispetto alla nostra. Ma è solo rispettando la cultura degli altri che la propria può trarre un giovamento.

Un esempio di fake news sulla Repubblica Popolare Cinese smontato dal canale Youtube Suleiman Kahani

(Fine)

Le puntate precedenti

  1. Pechino: alla scoperta degli hutong
  2. Pechino: dalla Grande Muraglia a Tienanmen
  3. Pechino: rievocando i fasti imperiali
  4. Dalian: la città dei record
  5. Dalian: un circondario che pullula di storia
  6. Dandong: una finestra sulla Corea del Nord
  7. Si sconfina nella Corea del Nord
  8. Si sconfina nella Corea del Nord (2a parte)
  9. Shenyang: nel cuore della Manciuria
  10. Shenyang: ultimi scampoli di glorie imperiali
  11. Ji’an: sulle montagne lungo il confine sino-coreano
  12. Changbai Shan: un giorno in Paradiso
  13. Yanji: alla scoperta della minoranza coreana in Cina
  14. Yanji-Pechino: un ritorno turbolento